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Permesso premio negato: collaborazione impossibile

La Corte di Cassazione ha confermato il diniego di un permesso premio a un detenuto condannato per reati ostativi e in carcere da oltre vent’anni. La decisione si fonda sulla mancata prova di una collaborazione impossibile o inesigibile con la giustizia e sulla persistenza di un pericolo concreto di riallacciare contatti con la criminalità organizzata. Secondo la Corte, né la buona condotta carceraria né il lungo tempo trascorso sono sufficienti a dimostrare un reale percorso di revisione critica, soprattutto in assenza di qualsiasi tentativo, anche simbolico, di riparazione del danno causato.

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Pubblicato il 15 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Permesso Premio e Reati Ostativi: Quando la Collaborazione è Davvero Impossibile?

La concessione di un permesso premio a un detenuto, specialmente se condannato per reati di grave allarme sociale, è una questione complessa che bilancia le esigenze di rieducazione del condannato con la sicurezza della collettività. Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha ribadito la necessità di prove concrete per dimostrare un effettivo distacco dall’ambiente criminale, andando oltre la semplice buona condotta carceraria. Analizziamo la decisione per comprendere i criteri applicati dai giudici.

I Fatti del Caso

Un uomo, detenuto da oltre vent’anni, presentava un’istanza per ottenere un permesso premio ai sensi dell’art. 30 ter dell’ordinamento penitenziario. La sua richiesta veniva prima dichiarata inammissibile dal Magistrato di Sorveglianza e, successivamente, il rigetto veniva confermato dal Tribunale di Sorveglianza di Torino. Il detenuto, tramite il suo difensore, ricorreva quindi in Cassazione, lamentando una violazione di legge e un vizio di motivazione. In particolare, la difesa sosteneva che il Tribunale non avesse adeguatamente valutato né la possibilità di riconoscere una collaborazione con la giustizia come ‘impossibile’ o ‘inesigibile’, né l’assenza di elementi attuali che indicassero un pericolo di contatti con la criminalità organizzata.

La Decisione della Corte di Cassazione e il Rifiuto del permesso premio

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso infondato, confermando la decisione del Tribunale di Sorveglianza. Secondo gli Ermellini, la motivazione del provvedimento impugnato, pur sintetica, era coerente e adeguatamente fondata sugli atti del procedimento. La Corte ha ritenuto che il Tribunale avesse correttamente valutato tutti gli elementi a disposizione, fornendo una risposta logica alle obiezioni sollevate dalla difesa.

Le Motivazioni della Sentenza

L’analisi della Cassazione si è concentrata su alcuni punti nevralgici, fondamentali per comprendere i requisiti per l’accesso ai benefici penitenziari in casi di reati ostativi.

Collaborazione Impossibile: Un Onere Probatore non Assolto

Il Tribunale aveva escluso la possibilità di considerare la collaborazione come ‘impossibile’ o ‘inesigibile’ basandosi su specifiche note della Direzione Nazionale Antimafia (D.N.A.) e della Questura. Tali informative evidenziavano come il ricorrente non avesse mai intrapreso un effettivo percorso di revisione critica del proprio passato criminale. La difesa non aveva fornito elementi concreti in senso contrario, rendendo la sua affermazione priva di riscontro.

Il Pericolo Attuale di Contatti con la Criminalità Organizzata

La Corte ha ritenuto ben motivata anche la valutazione sulla sussistenza di un pericolo attuale di collegamenti con la criminalità organizzata. Tale pericolo non era presunto, ma specificato da una nota della Direzione Distrettuale Antimafia (D.D.A.) di Catania. Questo elemento è stato considerato decisivo per negare il permesso premio, poiché la finalità del beneficio è incompatibile con il rischio di riattivazione di legami illeciti.

Riparazione del Danno e Revisione Critica

Un altro aspetto cruciale è stato il mancato adempimento delle obbligazioni civili. I giudici hanno interpretato il totale disinteresse del detenuto nel riparare, anche solo simbolicamente, i danni provocati come un chiaro segnale della mancanza di una reale revisione critica. La sola assenza di infrazioni disciplinari in carcere non è sufficiente a dimostrare un cambiamento interiore, specialmente in assenza di una confessione o di un’ammissione delle proprie responsabilità.

La Personalità del Detenuto

Infine, la Corte ha dato peso a violazioni commesse dal condannato durante un precedente periodo di detenzione domiciliare. Questo elemento, non contestato dalla difesa, ha contribuito a delineare una personalità sulla quale non era possibile riporre la fiducia necessaria per la concessione del beneficio.

Le Conclusioni

Questa sentenza riafferma un principio fondamentale: per i condannati per reati ostativi, l’accesso a benefici come il permesso premio richiede una prova rigorosa del completo e irreversibile distacco dal contesto criminale di provenienza. Non basta il tempo trascorso in detenzione o una condotta formalmente corretta. È necessario dimostrare, con elementi concreti e verificabili, di aver intrapreso un percorso di revisione critica che si manifesti anche attraverso gesti tangibili, come il tentativo di risarcire le vittime. In assenza di tali prove, il pericolo di contatti con la criminalità organizzata rimane un ostacolo insormontabile.

Perché è stato negato il permesso premio al detenuto nonostante fosse in carcere da oltre vent’anni?
Il permesso è stato negato perché non sono stati riscontrati elementi sufficienti a dimostrare un reale distacco dalla criminalità organizzata. In particolare, mancava la prova di un percorso di revisione critica del passato, non era stata dimostrata l’impossibilità di collaborare con la giustizia e sussisteva ancora il pericolo di riallacciare contatti con ambienti criminali, come indicato dalle informative della D.N.A. e della D.D.A.

Una buona condotta in carcere è sufficiente per ottenere un permesso premio in caso di reati gravi?
No. La sentenza chiarisce che una condotta priva di rilievi disciplinari non è, da sola, sufficiente a dimostrare un cambiamento interiore del condannato. È necessario che emergano elementi concreti che attestino una revisione critica del proprio vissuto, come un tentativo, anche simbolico, di riparare il danno provocato alle vittime.

Quali prove ha considerato la Corte per valutare la pericolosità attuale del detenuto?
La Corte ha basato la sua valutazione su atti specifici, tra cui le note informative della Direzione Nazionale Antimafia, della Questura competente e, in particolare, una nota della Direzione Distrettuale Antimafia di Catania che specificava il pericolo attuale di collegamenti con la criminalità organizzata. Inoltre, ha considerato negativamente le violazioni commesse in un precedente periodo di detenzione domiciliare.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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