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Permesso premio negato al detenuto non collaborante

La Corte di Cassazione ha confermato la decisione di negare un permesso premio a un detenuto condannato all’ergastolo per reati di stampo mafioso. La sentenza sottolinea che, in assenza di collaborazione con la giustizia, il detenuto non ha fornito le prove “rafforzate” necessarie a dimostrare la cessazione dei legami con l’associazione criminale e il superamento della sua pericolosità sociale, come richiesto dalla normativa vigente dopo le riforme legislative e gli interventi della Corte Costituzionale.

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Pubblicato il 16 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Permesso Premio e Reati di Mafia: Quando la Non Collaborazione è un Ostacolo

Il tema del permesso premio per i detenuti condannati per reati di criminalità organizzata, in particolare per coloro che non collaborano con la giustizia, è al centro di un dibattito giuridico complesso e in continua evoluzione. Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha ribadito la linea rigorosa del legislatore e della giurisprudenza, negando il beneficio a un ergastolano per la mancata fornitura di prove concrete sulla rescissione dei legami con il contesto mafioso di appartenenza. Questo caso offre uno spaccato chiaro sui requisiti che il detenuto deve soddisfare per superare la presunzione di pericolosità sociale.

I Fatti del Caso

Il ricorrente, un uomo condannato alla pena dell’ergastolo per associazione di stampo mafioso e omicidi aggravati, si è visto negare dal Magistrato di sorveglianza la richiesta di concessione di un permesso premio. Il diniego iniziale era fondato sul fatto che il detenuto non aveva fornito elementi sufficienti a dimostrare l’assenza di collegamenti attuali con la criminalità organizzata e il pericolo di un loro futuro ripristino.

Il caso ha attraversato diversi gradi di giudizio, con il Tribunale di sorveglianza che ha confermato il rigetto, evidenziando non solo le carenti allegazioni sui legami criminali, ma anche il mancato adempimento delle obbligazioni civili e l’assenza di un percorso di revisione critica del proprio passato. Il detenuto ha quindi proposto ricorso in Cassazione, sostenendo un’errata interpretazione delle norme e della sentenza della Corte Costituzionale che ha aperto alla concessione di benefici anche per i non collaboranti.

L’evoluzione Normativa sul Permesso Premio

L’articolo 4-bis dell’Ordinamento Penitenziario ha sempre posto un ostacolo quasi insormontabile per i condannati per reati di mafia che non collaborassero con la giustizia. La situazione è mutata significativamente con la sentenza n. 253 del 2019 della Corte Costituzionale, la quale ha dichiarato l’illegittimità della norma nella parte in cui creava una presunzione assoluta di pericolosità, impedendo di fatto la concessione del permesso premio anche a chi avesse dato prova di aver reciso i legami con il crimine.

Successivamente, il D.L. n. 162 del 2022 ha modificato l’art. 4-bis, codificando i principi espressi dalla Consulta. La nuova normativa stabilisce che i benefici possono essere concessi anche ai non collaboranti, a patto che questi dimostrino:
1. L’adempimento delle obbligazioni civili e di riparazione pecuniaria (o l’impossibilità di farlo).
2. L’allegazione di elementi specifici, diversi dalla sola buona condotta, che consentano di escludere l’attualità di collegamenti con la criminalità e il pericolo di un loro ripristino.

Le Motivazioni

La Corte di Cassazione, nel rigettare il ricorso, ha ritenuto che la decisione del Tribunale di sorveglianza fosse corretta e ben motivata. I giudici di legittimità hanno evidenziato come il Tribunale abbia svolto un’adeguata istruttoria, acquisendo informazioni sia dall’istituto penitenziario sia dagli organi investigativi.

È emerso che l’organizzazione criminale di riferimento del detenuto era ancora attiva sul territorio, e che il ricorrente non aveva manifestato alcun reale distacco dalle sue condotte passate. Al contrario, dalle relazioni emergeva un atteggiamento di minimizzazione delle proprie responsabilità, attribuendo un ruolo negativo ai collaboratori di giustizia. Questo, secondo la Corte, ha illuminato di una luce non rassicurante anche la mancata spiegazione delle ragioni della sua non collaborazione.

Inoltre, la Corte ha sottolineato il mancato adempimento delle obbligazioni civili. Nonostante il detenuto e la moglie fossero intestatari di beni immobili, non era stata intrapresa alcuna iniziativa, nemmeno parziale, per il risarcimento dei danni alle vittime. Le giustificazioni sul modesto valore economico di tali beni sono state ritenute di carattere meramente fattuale e non sufficienti a dimostrare un’impossibilità assoluta.

La Suprema Corte ha chiarito che, sebbene non si possa esigere una completa revisione critica del passato come prerequisito per un permesso premio, lo scrutinio sulla pericolosità sociale deve essere particolarmente rigoroso. Le ragioni della non collaborazione non sono un fatto neutro e possono essere valutate nel contesto generale del percorso del detenuto. Le eventuali iniziative riparatorie, pur non essendo obbligatorie, costituiscono un indicatore importante del processo di cambiamento.

Le Conclusioni

In conclusione, la sentenza ribadisce un principio fondamentale: la porta per l’accesso ai benefici penitenziari per i non collaboranti è aperta, ma la soglia da superare è molto alta. Non è sufficiente la buona condotta carceraria né una mera dichiarazione di dissociazione. Il detenuto è gravato da un “onere di allegazione rafforzato”: deve fornire elementi concreti, specifici e individualizzanti che dimostrino in modo inequivocabile la cessazione della sua pericolosità e dei legami con il mondo criminale. La valutazione del giudice deve essere complessiva e rigorosa, tenendo conto di tutti gli indicatori disponibili, inclusa la situazione patrimoniale e l’atteggiamento verso le vittime e il proprio passato.

Un detenuto per reati di mafia che non collabora con la giustizia può ottenere un permesso premio?
Sì, in linea di principio è possibile dopo gli interventi della Corte Costituzionale e la riforma legislativa (D.L. 162/2022). Tuttavia, il detenuto deve soddisfare condizioni molto rigorose, fornendo prove concrete che escludano l’attualità di collegamenti con la criminalità organizzata e il pericolo che possano essere ripristinati.

Quali sono i requisiti principali che il detenuto non collaborante deve dimostrare?
Deve allegare elementi specifici e concreti, che vanno oltre la semplice buona condotta carceraria, per provare il suo distacco dall’ambiente criminale. Inoltre, deve dimostrare di aver adempiuto alle obbligazioni civili e di riparazione economica derivanti dalla condanna, oppure l’assoluta impossibilità di farlo.

Perché in questo caso specifico il ricorso del detenuto è stato respinto?
Il ricorso è stato respinto perché la Corte ha ritenuto che il detenuto non avesse fornito le prove necessarie. In particolare, non aveva adempiuto alle obbligazioni civili pur possedendo beni immobili e mostrava un atteggiamento di minimizzazione dei propri reati, non dimostrando un’autentica revisione critica del suo passato e un reale distacco dalla mentalità criminale.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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