Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 1943 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 1 Num. 1943 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 11/12/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da
COGNOME NOMECOGNOME nato a Lentini il 04/12/1951
avverso l’ordinanza emessa il 26/09/2024 dal Tribunale di sorveglianza di L’Aquila visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME lette le conclusioni del Sostituto procuratore generale NOME COGNOME che ha chiesto l’inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. Con ordinanza emessa il 26 settembre 2024 il Tribunale di sorveglianza di L’Aquila rigettava il reclamo avverso il respingimento dell’istanza di concessione di permesso premio presentata, ai sensi dell’art. 30 -ter legge 26 luglio 1975, n. 354 (Ord. pen.), da NOME COGNOME che attualmente era detenuto presso la Casa di reclusione di Sulmona, pronunciato dal Magistrato di sorveglianza di L’Aquila il 4 giugno 2024.
Il rigetto dell’istanza veniva pronunciato dal Tribunale di sorveglianza di L’Aquila sull’assunto che la pena scontata da NOME COGNOME era riferibile a delitti ostativi, in relazione ai quali non sussistevano condotte di collaborazione con la giustizia, rilevanti ai sensi del combinato disposto degli arti. 4 -bis, comma 1, e 58-ter Ord. pen.
L’assenza di comportamenti collaborativi, a sua volta, veniva correlata ai persistenti collegamenti riscontrati tra il ricorrente e il Clan RAGIONE_SOCIALE di Lentini, facente parte del più ampio raggruppamento consortile di Cosa Nostra, nel quale il ricorrente risultava storicamente inserito, evidenziati nei pareri della Direzione Distrettuale Antimafia di Catania e della Direzione Nazionale Antimafia, richiamati analiticamente nel provvedimento censurato.
2. Avverso questa ordinanza NOME COGNOME a mezzo dell’avv. NOME COGNOME ricorreva per cassazione, deducendo la violazione di legge e il vizio di motivazione del provvedimento impugnato, in riferimento agli artt. 3, 27 e 177 Cost., conseguenti al fatto che il Tribunale di sorveglianza di L’Aquila, nel ritenere insussistenti i presupposti del permesso premio invocato, non aveva tenuto conto del processo rieducativo intrapreso dal detenuto durante la sua lunga carcerazione, comprovato dall’interruzione, risalente nel tempo, di ogni collegamento, diretto o indiretto, con l’ambiente della criminalità organizzata siracusana dal quale proveniva, resa incontroversa dalla circostanza che, a partire dal 2013, non era più sottoposto al regime detentivo speciale di cui all’art. 41 -bis Ord. pen.
Si deduceva, al contempo, che il respingimento dell’istanza di permesso premio presentata da COGNOME non dava adeguato conto delle molteplici attività rieducative svolte nell’ultimo periodo della sua detenzione presso la Casa di reclusione di Sulmona, che rendevano evidente lo stato avanzato del percorso di revisione critica avviato dal ricorrente. Tra queste attività si richiamavano, a titolo semplificativo, la realizzazione di manufatti donati ai mercati cittadini ai quali prendeva parte la Caritas; la partecipazione alla stesura del volume collettaneo “Risveglio”; la partecipazione alla realizzazione di un’opera
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fumettistica sulla “Divina Commedia”; la partecipazione alle attività svolte dal laboratorio teatrale carcerario; la partecipazione del detenuto al progetto RRAGIONE_SOCIALE
Le considerazioni esposte imponevano l’annullamento dell’ordinanza impugnata.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso proposto da NOME COGNOME è infondato.
Occorre premettere che l’atto di impugnazione in esame impone di tenere preliminarmente presenti le ragioni poste dalla Corte costituzionale a fondamento della sentenza 23 ottobre 2019, n. 253, con le quali ci si deve confrontare per valutare l’ordinanza impugnata, emessa dal Tribunale di sorveglianza di L’Aquila il 26 settembre 2024, con cui veniva rigettato il reclamo proposto da NOME COGNOME avverso il provvedimento pronunciato dal Magistrato di sorveglianza di L’Aquila il 4 giugno 2024. Nel solco della sentenza n. 253 del 2019, infatti, si colloca il decreto-legge 31 ottobre 2022, n. 162, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 dicembre 2022, n. 304, che costituisce il punto di riferimento normativo per valutare le condizioni di applicabilità del beneficio penitenziario di cui all’art. 30-ter Ord. pen.
Con la sentenza n. 253 del 2019 la Corte costituzionale, innanzitutto, precisava in quale contesto sistematico doveva inserirsi la declaratoria di incostituzionalità dell’art. 4-bis, comma 1, Ord. pen., evidenziando che il «permesso premio, almeno per le pene medio-lunghe, rappresenta un peculiare istituto del complessivo programma di trattamento », consentendo al detenuto di acquisire «a fini rieducativi, i primi spazi di libertà » e svolgendo un’insostituibile «funzione “pedagogico-propulsiva” » (Corte cost., sent. n. 253 del 2019, cit.).
Tale peculiare connotazione trattarnentale, del resto, era stata già affermata dalla Corte costituzionale in precedenti interventi, espressamente citati dalla sentenza in esame, in cui si evidenziava che la «giurisprudenza di questa Corte (in particolare sentenza n. 149 del 2018) ha del resto indicato come criterio costituzionalmente vincolante quello che richiede una valutazione individualizzata e caso per caso nella materia dei benefici penitenziari (in proposito anche sentenza n. 436 del 1999), sottolineando che essa è particolarmente importante al cospetto di presunzioni di maggiore pericolosità legate al titolo del reato commesso (sentenza n. 90 del 2017). Ove non sia consentito il ricorso a criteri individualizzanti, l’opzione repressiva finisce per relegare nell’ombra il profilo
rieducativo (sentenza n. 257 del 2006), in contrasto con i principi di proporzionalità e individualizzazione della pena (sentenza n. 255 del 2006)» (Corte cost., sent. n. 253 del 2019, cit.).
Ne discendeva l’irragionevolezza della presunzione assoluta prevista dall’art. 4-bis, comma 1, Ord. pen. e il suo contrasto con la funzione rieducativa della pena, così come prefigurata dall’art. 27, comma terzo, Cost., non essendo possibile affermare l’esistenza di un regime presuntivo che «a prescindere da qualsiasi valutazione in concreto, presupponga l’immutabilità, sia della personalità del condannato, sia del contesto esterno di riferimento» (Corte cost., sent. n. 253 del 2019, cit.).
A queste indicazioni ermeneutiche, infine, si conformava il decreto-legge n. 162 del 2022, che introduceva alcuni significativi elementi di novità nella disciplina dell’ergastolo ostativo, così come prefigurata dall’art. 4-bis Ord. ai quali il Tribunale di sorveglianza di L’Aquila si conformava nel respingere il reclamo di NOME COGNOME compiendo una verifica approfondita degli elementi, concreti e specifici, acquisiti nei confronti del detenuto, tale da non consentire di escludere sia la permanenza di collegamenti con gli ambienti della criminalità organizzata aretusea da cui il detenuto proveniva, sia il pericolo di un loro ripristino, che venivano sottoposti a un vaglio analitico da parte della magistratura di sorveglianza.
3. Le considerazioni esposte nel paragrafo precedente impongono di ritenere congruo il giudizio formulato dal Tribunale di sorveglianza di L’Aquila nei confronti di NOME COGNOME non sussistendo condotte di collaborazione con la giustizia, rilevanti ai sensi del combinato disposto degli artt. 4-bis, comma 1, e 58-ter Ord. pen., anche alla luce della persistente operatività del Clan Nardo di Lentini, nel quale il ricorrente risultava storicamente inserito, in conseguenza dei consolidati rapporti del ricorrente con il responsabile storico di tale consorteria mafiosa, NOME COGNOME
Su questi, consolidati, rapporti consortili, ritenuti ostativi alla concessione del permesso premio di cui all’art. 30-ter Ord. pen. si soffermavano diffusamente i pareri della Direzione Distrettuale Antimafia di Catania e della Direzione Nazionale Antimafia, che venivano richiamati e ribaditi nell’ordinanza censurata, nel rispetto dei principi affermati dal decreto-legge n. 162 del 2022.
Da questo punto di vista, appaiono condivisibili le conclusioni alle quali perveniva il Tribunale di sorveglianza di L’Aquila, che, sulla base delle indicazioni fornite dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Catania, nel passaggio motivazionale esplicitato a pagina 2 dell’ordinanza impugnata, evidenziava la persistenza di collegamenti personali e familiari tra NOME COGNOME e NOME
COGNOME, osservando che «il capo clan NOME Sebastiano, ristretto in regime speciale, chiede notizie dei coniugi COGNOME; la moglie abita nello stesso palazzo della sorella di COGNOME; la moglie e il figlio hanno lavorato alle dipendenze del fratello di NOME NOME ».
Rispetto a tali, univoche, indicazioni, appaiono recessivi, ai fini del vaglio di persistente pericolosità sociale di NOME COGNOME, i progressi trattamentali segnalati nell’atto di impugnazione, dai quali, allo stato, non è possibile fare discendere conseguenze favorevoli al ricorrente, ai fini dell’ottenimento del permesso premio di cui all’art. 30-ter Ord. pen., essendo persistenti e non definitivamente interrotti i suoi rapporti con gli esponenti di vertice della consorteria mafiosa aretusea da cui il ricorrente proviene, ai quali sopra ci si è riferiti.
Per queste ragioni, il ricorso proposto da NOME COGNOME deve essere rigettato, con la conseguenza condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso 1’11 dicembre 2024.