Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 434 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 434 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 29/11/2023
SENTENZ:A
sul ricorso proposto da:
NOME nato a NAPOLI il 18/02/1961
avverso l’ordinanza del 16/05/2023 del TRIB. SORVEGLIANZA di L’AQUILA udita la relazione svolta dal Consigliere COGNOME
lette le conclusioni del PG, NOME COGNOME che ha , chiesto dichiararsi l’inammissibilità del ricorso.
Ritenuto in fatto
Con ordinanza del 16 maggio 2023 il Tribunale di sorveglianza di L’Aquila ha respinto il reclamo contro il decreto del magistrato di sorveglianza di l’Aquila del 4 aprile 2023 che aveva respinto l’istanza di permesso premio presentata dal condannato NOME COGNOME
Il condannato è in espiazione per il reato di associazione a delinquere di tipo mafioso e reati connessi, ed è detenuto ininterrottamente dal 2003; il fine pena è fissato al febbraio 2026, il condannato ha terminato di espiare il reato ostativo di prima fascia.
Il Tribunale di sorveglianza ha respinto il reclamo, in quanto ha ritenuto necessario che il condannato approfondisca la riflessione critica sui propri agiti devianti, evidenziando in particolare che nessun elemento si evince dalla relazione
L(f
di sintesi circa la eventuale riflessione maturata dal condannato sulla subcultura mafiosa di appartenenza, sulla sua passata affiliazione, sul danno arrecato alle vittime dei gravi reati commessi ed alle loro famiglie, sulla disponibilità del condannato ad un percorso di giustizia riparativa ed ad un risarcimento dei danni, aspetti che dovranno necessariamente essere approfonditi per giungere alla conclusione dell’assenza di un pericolo di recidiva.
Avverso il predetto provvedimento ha proposto ricorso il condannato, per il tramite del difensore, che, con unico motivo, di seguito enunciato nei limiti strettamente necessari ai sensi dell’art. 173, comma 1, disp. att. cod. proc. pen., deduce vizio di motivazione, in quanto l’ordinanza avrebbe pretermesso le relazioni esistenti in atti che evidenziano la costante partecipazione del detenuto ad attività di solidarietà sociale, avrebbe pretermesso altri elementi da cui poteva desumere la maturità raggiunta dal condannato nel suo percorso di espiazione, quali il non mantenere rapporti epistolari con altri detenuti’ l’essere sostenuto economicamente solo dalla famiglia d’origine, il non essere inc:orso in alcun rilievo durante i permessi di necessità . per aveva fruito; l’ordinanza non avrebbe considerato, inoltre, che mancano meno di tre anni al fine pena e che, con riguardo al risarcimento danni ed alla giustizia riparativa il condannato la specificato la sua impossibilità di adempiere alle obbligazioni civili derivanti da condanna; non sarebbe stato valutato positivamente il lavoro socialmente utile che lo stesso effettua da anni, non sarebbe stato considerata la totale mancanza del pericolo di ripristino dei collegamenti con la criminalità organizzata.
Con requisitoria scritta, il Procuratore Generale, dr. NOME COGNOME ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità del ricorso.
Considerato in diritto
1. Il ricorso è infondato.
L’art. 30-ter, comma 1, primo periodo, ord. pen. dispone che “ai condannati che hanno tenuto regolare condotta ai sensi del successivo comma 8 e che non risultano socialmente pericolosi, il magistrato di sorveglianza, sentito il direttore dell’istituto, può concedere permessi premio di durata non superiore ogni volta a quindici giorni per consentire di coltivare interessi affettivi, culturali o di lavoro”
Dal tenore letterale dell’art. 30-ter appare, pertanto, evidente che il giudice, in tema di permessi premio, debba accertare la sussistenza di tre requisiti, che sono presupposto logico-giuridico della concedibilità del beneficio: la regolare
condotta del detenuto; l’assenza di pericolosità sociale dello stesso; la funzionalità del permesso premio alla coltivazione di interessi affettivi, culturali e di lavoro.
Nel caso in esame, dalla motivazione della ordinanza impugnata si ricava che non vi è questione né sulla regolare condotta del detenuto, né sulla funzionalità del permesso premio alla coltivazione di interessi affettivi, cull:urali e di lavoro. La questione attiene, invece, alla sussistenza del requisito dell’assenza di pericolosità sociale del detenuto, che il giudice del merito ricava dall’assenza di un processo di rivisitazione critica delle proprie condotte pregresse.
La richiesta del Tribunale di un processo di rivisitazione critica è coerente rispetto al giudizio di pericolosità, perché la giurisprudenza di legittimità ha ritenuto che ai fini della concessione del permesso premio, ai sensi dell’art. 30-ter ord. pen., oltre al requisito della regolare condotta, è necessaria l’assenza di pericolosità sociale del detenuto; in senso negativo rileva anche la mancanza di elementi indicativi di una rivisitazione critica del pregresso comportamento deviante (Sez. 1, Sentenza n. 5505 del 11/10/2016, dep. 20:17, COGNOME, Rv. 269195; conforme Sez. 1, Sentenza n. 9796 del 23/11/2007, dep. 2008, COGNOME, Rv. 239173).
Nel caso in esame, la insufficienza della rivisitazione critica è stata desunta da elementi oggettivi (il mancato contatto con le vittime, il mancato avvio di un percorso di giustizia riparativa o di risarcimento dei danni), che in modo non illogico sono stati ritenuti prevalenti sugli elementi di valutazione a favore del condannato indicati in ricorso, e peraltro autoriferiti, in violazione del principio d autosufficienza del ricorso (Sez. 2, Sentenza n. 20677 del 11/04/ 2017, COGNOME, rv. 270071; Sez. 4, n. Sentenza n. 46979 del 10/11/2015, COGNOME, rv. 265053; Sez. 2, Sentenza n. 26725 del 01/03/2013, Natale, rv. 256723), quali la partecipazione del detenuto ad attività di solidarietà sociale ed a lavori di pubblica utilità, il non mantenere rapporti epistolari con altri detenuti, l’essere sostenuto economicamente solo dalla famiglia d’origine, l’aver fruito di permessi di necessità senza rilievi. La disponibilità nei confronti delle vittime e la eliminazione, o quantomeno la riduzione, del danno derivante da reato, è, infatti, un elemento qualificante del percorso di revisione critica che è propedeutico alla concessione dei benefici penitenziari.
Il ricorso attacca l’ordinanza impugnata sostenendo che il condannato aveva specificato la sua impossibilità di adempiere alle obbligazioni civili derivanti da condanna, ma si tratta di deduzione del tutto inidonea a viziare l’impianto dell’ordinanza impugnata, in quanto il condannato che non abbia i mezzi economici per adempiere alle obbligazioni civili ha comunque la possibilità di ridurre il danno derivante da reato mediante percorsi alternativi di giustizia riparativa, come, peraltro, evidenziato anche nella stessa motivazione dell’ordinanza impugnata.
Il ricorso attacca la decisione del Tribunale di sorveglianza deducendo che non sussisterebbe comunque un pericolo di ripristino dei collegamenti tra il condannato e la criminalità organizzata, ma si tratta di argomento infondato, perché, come già spiegato sopra, l’art. 30-ter ord. pen. considera ostativo al rilascio del permesso premio non la possibilità del ripristino di collegamenti con la criminalità organizzata, ma più in generale la pericolosità del condannato, e la giurisprudenza di legittimità sopra citata ritiene che il giudizio di attuale pericolosità possa essere desunta anche dalla mancanza o insufficienza del processo di revisione critica delle condotte devianti.
In definitiva, il ricorso è infondato.
Ai sensi dell’art. 616, comma 1, cod. proc. pen., alla decisione consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 29 novembre 2023.