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Permesso premio: la revisione critica è essenziale

La Corte di Cassazione ha confermato il diniego di un permesso premio a un detenuto per reati di tipo mafioso. La decisione si fonda sulla mancanza di una sufficiente ‘rivisitazione critica’ del proprio passato deviante. Nonostante la buona condotta e la vicinanza del fine pena, l’assenza di percorsi di giustizia riparativa o di risarcimento del danno è stata considerata un indicatore della persistente pericolosità sociale, rendendo infondato il ricorso.

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Pubblicato il 17 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Permesso Premio Negato: La Cassazione Sottolinea l’Importanza della Revisione Critica

Il percorso di reinserimento sociale di un detenuto passa attraverso diverse tappe, tra cui la possibilità di accedere a benefici come il permesso premio. Tuttavia, una recente sentenza della Corte di Cassazione (n. 434/2024) ribadisce un principio fondamentale: la buona condotta da sola non basta. Per ottenere il beneficio è indispensabile dimostrare un’autentica e profonda ‘rivisitazione critica’ del proprio passato criminale, un percorso che deve manifestarsi in azioni concrete.

I Fatti del Caso

Il caso riguarda un uomo, detenuto ininterrottamente dal 2003 per associazione a delinquere di tipo mafioso e reati connessi, con una data di fine pena prevista per il 2026. Avendo terminato di espiare la parte di pena relativa al reato ostativo, il condannato ha presentato un’istanza per ottenere un permesso premio.

L’istanza è stata respinta prima dal Magistrato di Sorveglianza e poi, in sede di reclamo, dal Tribunale di Sorveglianza. Secondo i giudici, sebbene il detenuto avesse mantenuto una condotta regolare, mancavano elementi che attestassero un’adeguata riflessione critica sui reati commessi. In particolare, non era emersa alcuna maturazione riguardo la subcultura mafiosa di appartenenza, il danno arrecato alle vittime e la disponibilità a intraprendere un percorso di giustizia riparativa.

Il detenuto ha quindi proposto ricorso in Cassazione, sostenendo che i giudici non avessero considerato elementi positivi come la partecipazione ad attività di solidarietà, l’assenza di contatti con altri detenuti e il corretto svolgimento di precedenti permessi di necessità.

La Decisione della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso infondato, confermando la decisione del Tribunale di Sorveglianza. Gli Ermellini hanno chiarito che, ai fini della concessione del permesso premio, la legge richiede la sussistenza di tre requisiti: la regolare condotta, la funzionalità del permesso a coltivare interessi affettivi, culturali o di lavoro, e l’assenza di pericolosità sociale.

È proprio su quest’ultimo punto che si è concentrata la decisione.

Le Motivazioni: Il Valore della Rivisitazione Critica nel Giudizio sul permesso premio

La Corte ha stabilito che il giudizio sulla pericolosità sociale del condannato non può prescindere da una valutazione sulla sua evoluzione interiore. La richiesta di un processo di ‘rivisitazione critica’ è pienamente coerente con questo scopo. La giurisprudenza di legittimità è costante nel ritenere che la mancanza di elementi indicativi di una seria revisione del passato deviante è un fattore negativo che incide direttamente sulla valutazione della pericolosità sociale.

Nel caso specifico, il Tribunale ha logicamente desunto l’insufficienza di tale processo da elementi oggettivi e concreti:

1. Mancato contatto con le vittime: L’assenza di qualsiasi tentativo di approccio o dialogo con le persone offese dal reato.
2. Assenza di percorsi di giustizia riparativa: Il detenuto non aveva avviato alcun percorso volto a riparare, anche simbolicamente, il danno causato.
3. Mancato risarcimento del danno: Nessun’azione concreta era stata intrapresa per risarcire le vittime.

Questi elementi sono stati ritenuti prevalenti rispetto agli aspetti positivi evidenziati dalla difesa (lavoro socialmente utile, sostegno familiare, etc.), in quanto indicatori più profondi della personalità del condannato e della sua effettiva distanza dal mondo criminale. La Corte ha inoltre specificato che l’eventuale impossibilità economica di risarcire il danno non esime il condannato dal percorrere strade alternative di giustizia riparativa per dimostrare il suo cambiamento.

Le Conclusioni: Implicazioni Pratiche della Sentenza

Questa sentenza consolida un orientamento rigoroso e sostanziale. Per i giudici, il percorso trattamentale non è un mero adempimento formale. L’accesso a un beneficio come il permesso premio richiede la prova di un cambiamento reale e tangibile. Non è sufficiente ‘comportarsi bene’ all’interno delle mura del carcere; è necessario dimostrare di aver compreso la gravità delle proprie azioni e di voler attivamente rimediare al male commesso. La disponibilità verso le vittime e l’impegno in percorsi di giustizia riparativa diventano, così, elementi qualificanti e imprescindibili per dimostrare di non essere più un pericolo per la società e di meritare la fiducia dello Stato.

La buona condotta in carcere è sufficiente per ottenere un permesso premio?
No. Secondo questa sentenza, la regolare condotta è un presupposto necessario ma non sufficiente. È indispensabile anche l’assenza di pericolosità sociale, che viene valutata analizzando il percorso di revisione critica del proprio passato criminale da parte del detenuto.

Cosa intende la Corte per ‘rivisitazione critica’?
Si tratta di un processo interiore profondo con cui il condannato dimostra di aver riflettuto sulla propria passata affiliazione criminale, sul danno arrecato alle vittime e alle loro famiglie, e sulla propria disponibilità a intraprendere percorsi di giustizia riparativa e di risarcimento del danno.

Se un detenuto non ha i mezzi economici per risarcire le vittime, può comunque ottenere il permesso premio?
La sentenza chiarisce che l’impossibilità economica non è una giustificazione sufficiente per non fare nulla. Il condannato ha comunque la possibilità di ridurre il danno derivante dal reato attraverso percorsi alternativi di giustizia riparativa, dimostrando così concretamente la sua volontà di cambiamento.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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