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Permesso premio: la prova della dissociazione dal clan

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso di un detenuto condannato a trent’anni per reati ostativi, a cui era stato negato un permesso premio. La Corte ha stabilito che, ai sensi della nuova normativa (D.L. 162/2022), la mera dichiarazione di dissociazione dal clan di appartenenza e la buona condotta carceraria non sono sufficienti. Il detenuto ha l’onere di fornire elementi di prova specifici e ulteriori che dimostrino l’effettiva e definitiva recisione dei legami con la criminalità organizzata e l’assenza del pericolo di un loro ripristino.

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Pubblicato il 26 dicembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Permesso Premio e Reati Ostativi: Non Basta la Buona Condotta per Provare la Dissociazione dal Clan

L’ottenimento di un permesso premio rappresenta un momento cruciale nel percorso di reinserimento di un detenuto. Tuttavia, per i condannati per reati ostativi, la strada è in salita. Una recente sentenza della Corte di Cassazione (n. 38864/2024) ha ribadito la necessità di prove concrete e specifiche per dimostrare la rottura con il passato criminale, confermando che la sola buona condotta o una generica affermazione di dissociazione non sono più sufficienti.

I Fatti del Caso

Il caso riguarda un detenuto, condannato a una pena di trent’anni di reclusione per gravi reati commessi fino al 2008, classificati come “ostativi” ai sensi dell’art. 4-bis dell’Ordinamento Penitenziario. L’uomo aveva presentato istanza per la concessione di un permesso premio, sostenendo di aver reciso ogni legame con il gruppo criminale di appartenenza e che una sua collaborazione con la giustizia sarebbe stata inesigibile.

Il Tribunale di Sorveglianza di Torino aveva respinto il reclamo del detenuto, basandosi sulla nuova normativa introdotta dal D.L. n. 162/2022. Secondo il Tribunale, la dissociazione dal clan era stata solo affermata, ma non dimostrata con le allegazioni specifiche richieste dalla legge. A pesare sulla decisione vi era anche il parere della DDA di Napoli, che aveva confermato la mancanza di elementi da cui desumere un reale allontanamento dall’associazione. Inoltre, il detenuto non aveva intrapreso alcuna iniziativa per risarcire le vittime dei reati commessi.

Il detenuto ha quindi proposto ricorso in Cassazione, lamentando un’erronea applicazione della legge e sostenendo che il Tribunale non avesse considerato elementi importanti, come il parere favorevole dell’équipe carceraria e il fatto di mantenere la famiglia esclusivamente con i proventi del lavoro svolto in carcere.

La Decisione della Cassazione sul permesso premio

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso infondato, rigettandolo. La sentenza ha confermato in pieno la decisione del Tribunale di Sorveglianza, allineandosi ai principi stabiliti dalla recente riforma legislativa in materia di benefici penitenziari per reati ostativi.

Le Motivazioni

La Suprema Corte ha articolato la sua decisione su alcuni punti cardine, fornendo una chiara interpretazione della normativa vigente.

In primo luogo, è stata ribadita l’immediata applicabilità del D.L. n. 162/2022 a tutte le istanze, anche quelle presentate prima della sua entrata in vigore. Questa normativa ha introdotto requisiti più stringenti per i detenuti non collaboranti.

Il punto centrale della motivazione risiede nell’onere della prova, che grava interamente sul detenuto. La legge ora richiede che il condannato alleghi «elementi specifici, diversi e ulteriori rispetto alla regolare condotta carceraria, alla partecipazione del detenuto al percorso rieducativo e alla mera dichiarazione di dissociazione». Questi elementi devono essere tali da consentire al giudice di escludere con certezza sia l’attualità dei collegamenti con la criminalità organizzata, sia il pericolo di un loro ripristino.

Nel caso specifico, gli argomenti portati dal ricorrente sono stati ritenuti insufficienti. Indicare il proprio ruolo marginale nei reati passati o riferire l’assenza di sostegno economico dal clan durante la detenzione non sono considerati prove idonee a dimostrare una “effettiva e definitiva recisione dei rapporti”.

L’insufficienza delle allegazioni del detenuto ha impedito di superare il parere negativo della DDA di Napoli. La Cassazione ha sottolineato che, in assenza di prove concrete e contrarie fornite dal richiedente, il parere dell’autorità inquirente assume un peso determinante. Di conseguenza, la mancanza del requisito fondamentale – la prova del taglio dei ponti con il mondo criminale – preclude in radice la concessione del beneficio, rendendo superflua qualsiasi ulteriore attività istruttoria.

Le Conclusioni

Questa sentenza consolida un orientamento giurisprudenziale rigoroso. Per i detenuti condannati per reati ostativi che scelgono di non collaborare con la giustizia, l’accesso a benefici come il permesso premio è ora legato a un onere probatorio estremamente gravoso. Non è più sufficiente un percorso carcerario esemplare o una dichiarazione di intenti. È necessario fornire prove fattuali, concrete e specifiche che attestino in modo inequivocabile un cambiamento di vita radicale e un distacco totale e irreversibile dal proprio passato criminale. La decisione sottolinea che la presunzione di pericolosità per questa tipologia di detenuti può essere vinta solo attraverso una dimostrazione attiva e convincente, senza la quale le porte del carcere restano chiuse.

Un detenuto per reati ostativi che non collabora può ottenere un permesso premio?
Sì, ma solo a condizioni molto rigorose. Deve fornire prove specifiche, diverse e ulteriori rispetto alla buona condotta, che dimostrino di aver interrotto ogni legame attuale con la criminalità organizzata e che non vi sia pericolo che tali legami vengano ripristinati.

Cosa deve dimostrare concretamente il detenuto per provare la dissociazione dal proprio clan?
Deve allegare elementi fattuali che provino una rottura effettiva e definitiva con l’organizzazione criminale. Secondo la sentenza, non sono sufficienti la mera dichiarazione di dissociazione, la regolare condotta in carcere o la mancanza di sostegno economico dal clan durante la detenzione. È necessario fornire prove più solide e convincenti.

La buona condotta in carcere è sufficiente per ottenere un permesso premio in caso di reati ostativi?
No. Per i condannati per reati ostativi che non collaborano, la buona condotta è un presupposto necessario ma non sufficiente. L’elemento decisivo, secondo la nuova normativa e l’interpretazione della Cassazione, è la prova concreta e inequivocabile di aver reciso ogni legame con l’ambiente criminale di provenienza.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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