Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 46311 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 46311 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 31/10/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da: NOME COGNOME nato il 15/08/1985
avverso l’ordinanza del 15/05/2024 del TRIB. SORVEGLIANZA di ANCONA
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME lette le conclusioni del Sostituto Procuratore generale, NOME COGNOME che chiesto il rigetto del ricorso
RITENUTO IN FATTO
Con l’ordinanza in preambolo il Tribunale di sorveglianza di Ancona ha rigettato il reclamo proposto da NOME avverso il decreto con il quale il Magistrato di sorveglianza di Macerata, in data 21 marzo 2024, aveva respinto l’istanza di permesso premio avanzata dal detenuto, in espiazione della pena derivante dal provvedimento di esecuzione di pene concorrenti della Procura generale presso la Corte di appello di Ancona, a fronte di condanne anche per reati ostativi ai sensi dell’art. 4-bis legge n. 354 del 26 luglio 1975 (Ord. pen.) e, segnatamente, per l’art. 74, 73 e 80 d.P.R. n. 309 del 1990 (fine pena indicato a febbraio 2029).
A ragione della decisione, il Tribunale di sorveglianza – pur dando atto di una condotta carceraria regolare e della partecipazione del detenuto al percorso rieducativo – ha valorizzato, anche attraverso il richiamo alla motivazione del Magistrato di sorveglianza e di un recentissimo rigetto di analoga istanza, l’assenza di una positiva prognosi di non recidivanza, in considerazione dei gravi reati di violazione continuata delle disposizioni in materia di stupefacenti commessi in ambito associativo e in concorso con altri soggetti, in un ampio lasso temporale, in numerosi e differenti ambiti territoriali.
Ha, poi, precisato che il riferimento, nell’ordinanza oggetto di reclamo, alla mancata collaborazione del condannato, lungi dall’essere stato considerato un presupposto di ammissibilità della domanda, era stato correttamente ritenuto forte indizio di spiccata pericolosità sociale e di una resipiscenza meramente apparente.
NOME propone ricorso per cassazione, a mezzo del proprio difensore di fiducia, avv. NOME COGNOME che – con un unico, articolato motivo – deduce la violazione dell’art. 30-ter Ord. pen. e il correlato vizio di motivazione.
Rileva che la giustificazione della scelta di non collaborare non è requisito legale per la concessione dei permessi premio per il condannato a reati ostativi, il cui onere di allegazione, piuttosto, dopo la pronuncia della Corte costituzionale n. 253 del 2019, ha a oggetto elementi fattuali, in effetti allegati e ben noti giudice a quo.
Il Tribunale si sarebbe arrestato all’esame di un curriculum criminale, risalente al 2015, certamente da considerare, ma da porre in comparazione con il percorso rieducativo portato avanti dal condannato.
Rimarca come il Tribunale abbia svilito i dati favorevoli, inferibili dalla relazione di sintesi delrequipe della Casa circondariale di Fossonnbrone, che ha dato atto del suo ineccepibile percorso intramurario (esente da rilievi disciplinari
improntato alla partecipazione al trattamento e alla formazione scolastica, alla disponibilità all’attività lavorativa), segnalando altresì l’acquisita consapevolez del proprio passato criminale; segnala, poi, di aver beneficiato della liberazione anticipata dal settembre 2015 sino all’attualità.
Osserva che il Tribunale avrebbe sostanzialmente fondato il diniego del beneficio non già sull’esistenza di elementi concreti e attuali di pericolo recidivanza, ma sulla base dei reati per cui il ricorrente è stato condannato e su suo passato criminale; lamenta infine che il Giudice specializzato aveva il poteredovere di integrare l’istruttoria, ove l’avesse ritenuta carente.
Il Sostituto Procuratore generale, NOME COGNOME intervenuto con requisitoria scritta, ha chiesto il rigetto del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso, che deduce censure infondate, dev’essere rigettato.
Non è superfluo richiamare testualmente l’art. 30-ter Ord. pen. che prevede, al primo comma, che «Ai condannati che hanno tenuto regolare condotta ai sensi del successivo comma 8 e che non risultano socialmente pericolosi, il magistrato di sorveglianza, sentito il direttore dell’istituto, concedere permessi premio di durata non superiore ogni volta a quindici giorni per consentire di coltivare interessi affettivi, culturali o di lavoro». L’ott comma dell’art. 30-ter specifica, poi, che «La condotta dei condannati si considera regolare quando i soggetti, durante la detenzione, hanno manifestato costante senso di responsabilità e correttezza nel comportamento personale, nelle attività organizzate negli istituti e nelle eventuali attività lavorati culturali».
1.1. Com’è noto, il permesso premio, previsto dall’art. 30-ter Ord. pen., costituisce parte integrante del programma di trattamento, come affermato espressamente nel comma terzo dell’art. 30-ter Ord. pen. Coerentemente, l’art. 65 del regolamento di esecuzione (d.P.R. 3 . 0 -giugno 2000, n. 230) stabilisce, al comma 1, che la relativa domanda, diretta al competente Magistrato di sorveglianza, debba essere corredata dall’istituto penitenziario, tra gli alt documenti, dagli esiti dell’osservazione scientifica della personalità e dal parer del Direttore; ulteriori informazioni (come previsto al comma 2) sono acquisite dal magistrato eventualmente, a integrazione di quelle già rese disponibili, anche tramite gli organi di polizia.
L’osservazione scientifica della personalità si svolge dall’inizio dell’esecuzione e prosegue durante la stessa (art. 13, quarto comma, Ord. pen.), anche al fine di accertare, attraverso l’esame continuo del comportamento del detenuto e delle variazioni intervenute nella vita di relazione, le eventuali nuove esigenze che richiedano una variazione del programma di trattamento (art. 27, comma 3, del regolamento). Il gruppo di osservazione tiene riunioni periodiche nel corso delle quali esamina gli sviluppi del trattamento stesso e i suoi risultati (art. comma 3, reg.).
La decisione sull’istanza di permesso deve pertanto essere presa sulla base di tale istruttoria, a impulso officioso, quando essa è ritenuta completa con successivi eventuali aggiornamenti ritenuti necessari, entro un tempo ragionevole sul cui rispetto l’autorità decidente è chiamata a vigilare (Sez. 1, n 19366 del 19/03/2019, COGNOME).
1.2. In caso di reclamo, il potere di statuire sulla domanda si trasferisce in capo al Tribunale di sorveglianza che, in virtù della natura devolutiva del mezzo d’impugnazione, secondo i principi generali fissati dall’art. 597, comma 1, cod. proc. pen., non può limitarsi solo a rilevare la correttezza della decision contestata ma, sia pure nell’ambito della valutazione delle censure dedotte con i motivi, deve decidere se confermare la pronuncia censurata.
Al riguardo è stato precisato che il Tribunale di sorveglianza deve apprezzare nel merito la fondatezza della domanda anche alla luce del contributo argomentativo e documentale offerto dall’interessato in sede di udienza, nonché delle informazioni pervenute o acquisite, esercitando i poteri d’ufficio di cui all’art. 666, comma 5, cod. proc. pen., richiamato dall’art. 678 del codice di rit (Sez. 1, n. 10316 del 30/1/2020, Rv. 278691); poteri di ufficio che vanno attivati doverosamente, nell’ambito del devoluto, quando siano rilevabili, in origine ovvero in seguito, decisivi deficit istruttori.
1.3. Il giudice, pertanto, a fronte dell’istanza intesa alla concessione de permessi premio, deve accertare, acquisendo le informazioni necessarie a valutare la coerenza del permesso con il trattamento complessivo e con le sue finalità di risocializzazione, la sussistenza di tre requisiti, integranti altre presupposti logico-giuridici della concedibilità del beneficio e costituiti rispettivamente, dalla regolare condotta del detenuto, dall’assenza di sua pericolosità sociale e dalla funzionalità del permesso premio alla coltivazione di interessi affettivi, culturali e di lavoro (in questo senso, cfr., tra le altre, S n. 36456 del 09/04/2018, Corrias, Rv. 273608; Sez. 1, n. 11581 del 05/02/2013, COGNOME, Rv. 255311).
Scrutinato alla luce di tali coordinate interpretative, il provvedimento del Tribunale non si espone ai vizi denunziati.
Da un canto, infatti, ha dato conto del vissuto criminale del condannato, del precedente provvedimento di rigetto di analoga igtanza (risalente a due mesi prima di quella attuale, non oggetto d’impugnazione) che lo descrive come trafficante di stupefacenti di elevato calibro criminale, operante con ruolo verticistico in un sodalizio finalizzato a detti traffici illeciti, con forti ed legami internazionali, segnalando altresì la pendenza di un provvedimento di espulsione dal territorio dello Stato a pena espiata.
Dall’altro ha spiegato, con argomenti di assoluta solidità, come difettassero i requisiti che condizionano il rilascio del permesso premio e che fosse necessaria la prosecuzione dell’osservazione intramuraria, a tal fine valorizzando la circostanza che NOME, pur avendo osservato un contegno formalmente adesivo al trattamento penitenziario, avesse scarsamente riflettuto sul proprio passato deviante. Ha, sul punto, correttamente precisato che il riferimento all’assenza di collaborazione non era da intendersi come presupposto negativo e ostativo in astratto, ma come un concreto indice rivelatore dell’attuale pericolosità.
Pertinente si rivela, al riguardo, il richiamo al consolidato e condiviso interpretativo secondo cui il giudizio sull’assenza di pericolosità sociale de detenuto deve essere particolarmente rigoroso per i condannati – come nel caso di specie – per reati gravi e con lontano fine pena, e che in senso negativo all’assenza di pericolosità depone anche la mancanza di elementi indicativi di una rivisitazione critica del pregresso comportamento deviante (Sez. 1, n. 435 del 29/11/2023, dep. 2024, Rv. 285567; Sez. 1, n. 5505 del 11/10/2016, dep. 2017, COGNOME, Rv. 269195; Sez. 1, n. 9796 del 23/11/2007, dep. 2008, COGNOME, Rv. 239173).
La motivazione dell’ordinanza impugnata, dunque riflette ineccepibilmente la necessità di saggiare, mediante un opportuno supplemento di osservazione, l’effettività del ravvedimento, nel grado proporzionato a una misura alternativa, in ciò consistendo il requisito di legge.
Dal rigetto del ricorso discende la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali ai sensi dell’art. 616, comma 1, primo periodo, cod. proc. pen.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso, il 31 ottobre 2024
Il Consigliere estensore
Il Presidente