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Permesso premio: la Cassazione sui reati ostativi

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso di un detenuto, condannato per gravi reati legati al traffico di stupefacenti, contro il diniego di un permesso premio. La sentenza sottolinea che, per la concessione del beneficio, la sola condotta carceraria regolare non è sufficiente. È necessaria una valutazione rigorosa dell’assenza di pericolosità sociale, che tenga conto della gravità dei reati commessi e della mancanza di una revisione critica del proprio passato criminale. La mancata collaborazione con la giustizia, pur non essendo un ostacolo assoluto, viene considerata un forte indizio di pericolosità attuale.

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Pubblicato il 12 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Permesso premio negato: la Cassazione valuta la pericolosità sociale oltre la buona condotta

Il percorso di rieducazione di un detenuto è un processo complesso, dove la concessione di benefici come il permesso premio rappresenta una tappa fondamentale. Tuttavia, una recente sentenza della Corte di Cassazione ha ribadito che la sola buona condotta carceraria non basta, specialmente in presenza di reati di elevata gravità. La decisione in esame si concentra sulla necessità di un’analisi approfondita della pericolosità sociale del condannato, che vada oltre il comportamento intramurario.

Il caso in esame

Il caso riguarda un detenuto in espiazione di pena per gravi reati legati al traffico di stupefacenti su larga scala, commessi in un contesto associativo e con ramificazioni internazionali. Nonostante un percorso carcerario definito regolare, con partecipazione ad attività trattamentali e formative, la sua richiesta di permesso premio è stata respinta sia dal Magistrato di sorveglianza sia, in sede di reclamo, dal Tribunale di sorveglianza.

Le autorità giudiziarie hanno motivato il diniego evidenziando l’assenza di una prognosi positiva di non recidivanza. Il profilo criminale del soggetto, la gravità dei reati e la mancanza di una reale revisione critica del proprio passato deviante sono stati considerati indicatori di una pericolosità sociale ancora attuale e di una resipiscenza solo apparente.

Il permesso premio e la valutazione del giudice

La normativa sull’ordinamento penitenziario (art. 30-ter) stabilisce tre requisiti fondamentali per la concessione del permesso premio:
1. La condotta regolare del detenuto.
2. L’assenza di pericolosità sociale.
3. La funzionalità del permesso a coltivare interessi affettivi, culturali o di lavoro, come parte del trattamento rieducativo.

Il Tribunale di sorveglianza, nel confermare il diniego, ha precisato che la mancata collaborazione con la giustizia, pur non essendo un presupposto ostativo in sé, era stata correttamente valutata come un forte indizio della persistente pericolosità sociale del condannato. Il ricorso in Cassazione si fondava sulla presunta violazione di legge, sostenendo che il giudice si fosse soffermato unicamente sul passato criminale del detenuto, svalutando il percorso rieducativo compiuto.

Le motivazioni della Corte di Cassazione

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, ritenendo le censure infondate. Gli Ermellini hanno chiarito che il provvedimento impugnato non si è limitato a una valutazione del passato, ma ha operato un’analisi completa e rigorosa, in linea con i principi giurisprudenziali consolidati.

Il giudizio sull’assenza di pericolosità sociale deve essere particolarmente severo per i condannati per reati gravi e con una lunga pena da scontare. In questi casi, un contegno formalmente adesivo al trattamento penitenziario non è sufficiente. È necessario che emergano elementi concreti che indichino una reale e profonda rivisitazione critica del proprio passato criminale.

La Corte ha specificato che la mancanza di collaborazione non è un presupposto negativo astratto, ma un “concreto indice rivelatore dell’attuale pericolosità”. La decisione del Tribunale di sorveglianza rifletteva quindi la necessità di proseguire l’osservazione del detenuto per saggiare l’effettività del suo ravvedimento. Il percorso di risocializzazione, per essere credibile, deve essere proporzionato alla gravità dei crimini commessi.

Le conclusioni

La sentenza ribadisce un principio cruciale nell’ambito dell’esecuzione della pena: i benefici penitenziari non sono automatismi legati alla buona condotta. Il permesso premio, in particolare, è uno strumento del trattamento rieducativo che richiede una valutazione complessa e approfondita da parte del magistrato. Per i condannati per reati ostativi e di particolare allarme sociale, la prova di un cambiamento non può limitarsi al rispetto delle regole carcerarie, ma deve manifestarsi attraverso un’autentica e verificabile presa di distanza dal proprio vissuto criminale. Questa decisione conferma che la tutela della sicurezza collettiva impone un esame rigoroso della pericolosità sociale, bilanciando le finalità rieducative della pena con le esigenze di prevenzione di futuri reati.

La buona condotta in carcere è sufficiente per ottenere un permesso premio?
No, la condotta regolare è uno dei requisiti, ma non è sufficiente. È indispensabile che il giudice accerti anche l’assenza di pericolosità sociale del detenuto e la funzionalità del permesso al suo percorso di reinserimento.

La mancata collaborazione con la giustizia impedisce sempre la concessione del permesso premio per reati ostativi?
No, non è un presupposto ostativo in astratto. Tuttavia, viene considerata un concreto indice che può rivelare una persistente pericolosità sociale e un ravvedimento solo apparente, rendendo più rigorosa la valutazione del giudice.

Come viene valutata la pericolosità sociale di un detenuto ai fini del permesso premio?
La valutazione deve essere particolarmente rigorosa, specialmente per reati gravi. Si basa non solo sulla condotta in carcere, ma anche sul vissuto criminale, sulla gravità dei reati commessi e sulla presenza di elementi che indichino una reale revisione critica del proprio passato deviante.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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