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Permesso premio: la Cassazione sui limiti di pena

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 742/2025, ha dichiarato inammissibile il ricorso di un detenuto contro il diniego di un permesso premio. La richiesta era stata respinta perché il reato rientrava tra quelli dell’art. 4bis, comma 1ter, ord. pen., che richiede di aver scontato almeno metà della pena. La Corte ha stabilito che i principi della sentenza n. 85/2024 della Corte Costituzionale, invocati dal ricorrente, non sono applicabili al caso di specie, in quanto riguardano la valutazione della collaborazione con la giustizia e non la soglia minima di pena scontata, che costituisce un presupposto diverso e legittimo.

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Pubblicato il 9 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Permesso Premio: la Cassazione Chiarisce i Limiti di Pena Scontata

Con una recente ordinanza, la Corte di Cassazione è intervenuta su un caso relativo alla concessione del permesso premio, un importante strumento di risocializzazione per i detenuti. La pronuncia chiarisce la distinzione fondamentale tra i requisiti temporali per accedere al beneficio, come l’aver scontato una soglia minima di pena, e le diverse questioni legate alla collaborazione con la giustizia, precedentemente affrontate dalla Corte Costituzionale. Questa decisione ribadisce la legittimità delle soglie di pena previste dalla legge, anche alla luce dei recenti interventi della Consulta.

I Fatti del Caso

Un detenuto si vedeva respingere la richiesta di permesso premio dal Tribunale di Sorveglianza. La motivazione del diniego era chiara: il reato per il quale stava scontando la pena rientrava in una delle categorie ostative previste dall’art. 4bis, comma 1ter, dell’ordinamento penitenziario. Questa norma stabilisce che per determinati reati, l’accesso al beneficio è subordinato all’espiazione di almeno metà della pena.

Contro tale decisione, il detenuto proponeva ricorso in Cassazione, sostenendo due argomenti principali. In primo luogo, riteneva che il Tribunale avrebbe dovuto applicare i principi enunciati dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 85/2024, estendendoli al suo caso. In secondo luogo, chiedeva alla stessa Cassazione di sollevare una questione di legittimità costituzionale sull’art. 30, comma 4, dell’ordinamento penitenziario, nella parte in cui impone un limite di pena scontata anche per i detenuti non soggetti ai divieti specifici dell’art. 4bis.

La Decisione della Corte di Cassazione sul permesso premio

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile. Questa decisione non entra nel merito della richiesta del detenuto, ma si ferma a un gradino precedente, rilevando l’incapacità del ricorso di superare le barriere procedurali e di fondatezza necessarie per un esame approfondito. Di conseguenza, il ricorrente è stato condannato al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma alla Cassa delle ammende.

Le Motivazioni

La Corte di Cassazione ha basato la sua decisione su una motivazione netta e precisa. Il ricorso è stato giudicato carente perché non si confrontava adeguatamente con l’argomento centrale della decisione del Tribunale di Sorveglianza. Inoltre, la questione di legittimità costituzionale sollevata è stata ritenuta ‘manifestamente infondata’.

Il punto cruciale della motivazione risiede nella distinzione tra due situazioni giuridiche differenti:

1. Gli interventi della Corte Costituzionale: Le sentenze della Consulta, come la n. 85/2024 citata dal ricorrente, sono intervenute per restituire un ambito di discrezionalità al giudice nella valutazione della condotta dei detenuti per reati ostativi (art. 4bis) che non avevano collaborato con la giustizia. L’obiettivo era superare l’automatismo che legava la mancata collaborazione al diniego dei benefici.

2. Il caso di specie: La preclusione all’accesso al permesso premio nel caso esaminato non derivava dalla mancata collaborazione, ma dal mancato raggiungimento di una ‘soglia minima di pena scontata’. Si tratta di un presupposto oggettivo, previsto dalla legge, che è del tutto diverso dal tema della collaborazione con la giustizia. La Corte Costituzionale, secondo la Cassazione, non si è mai occupata di questo specifico presupposto temporale, che quindi rimane pienamente legittimo.

In sintesi, il ricorrente ha tentato impropriamente di applicare principi giurisprudenziali nati per risolvere una problematica (quella della collaborazione) a una fattispecie completamente diversa (quella del requisito temporale di pena espiata).

Le Conclusioni

L’ordinanza in esame consolida un importante principio: i requisiti previsti dalla legge per l’accesso ai benefici penitenziari, come il permesso premio, devono essere analizzati singolarmente. La giurisprudenza costituzionale che ha mitigato gli automatismi legati alla collaborazione con la giustizia non può essere utilizzata per scardinare altri presupposti normativi, come le soglie minime di pena da scontare. Questa decisione offre un chiaro orientamento per i detenuti e i loro difensori, sottolineando la necessità di fondare i ricorsi su argomentazioni pertinenti alla specifica ragione del diniego, senza operare estensioni analogiche di principi affermati in contesti giuridici differenti.

Perché è stato negato inizialmente il permesso premio al detenuto?
Il permesso premio è stato negato perché il reato per cui era in carcere rientrava nell’art. 4bis, comma 1ter, della legge sull’ordinamento penitenziario, che impone di aver scontato almeno metà della pena prima di poter accedere al beneficio, condizione che il detenuto non aveva ancora soddisfatto.

È possibile applicare i principi della sentenza n. 85/2024 della Corte Costituzionale per superare il requisito della pena minima scontata?
No. La Corte di Cassazione ha chiarito che quella sentenza e altre simili riguardano la valutazione della collaborazione con la giustizia per i detenuti sottoposti al regime dell’art. 4bis. Il requisito di aver scontato una soglia minima di pena è una questione completamente diversa e non è stato toccato da tali pronunce.

Qual è stata la decisione finale della Corte di Cassazione?
La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile. Ha ritenuto che le argomentazioni del ricorrente non affrontassero il punto centrale della decisione impugnata e che la questione di costituzionalità sollevata fosse manifestamente infondata. Di conseguenza, il ricorrente è stato condannato al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della cassa delle ammende.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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