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Permesso premio: la Cassazione sui limiti del beneficio

La Corte di Cassazione ha confermato il diniego di un permesso premio a una donna condannata per partecipazione ad un’associazione dedita al narcotraffico. Il ricorso della donna si basava sulla presunta impossibilità di collaborare con la giustizia, dato il suo ruolo marginale e l’accertamento completo dei fatti. La Suprema Corte ha rigettato il ricorso, stabilendo che la collaborazione era ancora potenzialmente utile per svelare canali di approvvigionamento e riciclaggio. Inoltre, non è stata fornita prova di una seria e concreta volontà di scissione dal clan di appartenenza, che risulta ancora operativo.

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Pubblicato il 12 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Permesso Premio e Criminalità Organizzata: Quando la Collaborazione è Ancora Esigibile?

La concessione di un permesso premio a detenuti per reati di criminalità organizzata rappresenta uno dei temi più delicati del diritto penitenziario. Una recente sentenza della Corte di Cassazione, la n. 47254 del 2024, torna a fare chiarezza sui presupposti necessari per ottenere il beneficio, specialmente quando manca una collaborazione con la giustizia. Il caso analizzato riguarda una donna condannata per associazione a delinquere finalizzata al narcotraffico, la cui richiesta di permesso è stata respinta, offrendo spunti cruciali sull’interpretazione della normativa vigente.

I Fatti del Caso: Una Condanna per Narcotraffico

La ricorrente era stata condannata in via definitiva a sei anni di reclusione per aver partecipato a un’associazione criminale dedita al traffico di stupefacenti. La sua partecipazione, circoscritta a un periodo di circa un anno (2009-2010), le era valsa il riconoscimento delle attenuanti generiche per il suo ruolo considerato marginale. Nonostante ciò, le indagini avevano evidenziato il suo coinvolgimento nella gestione di una piazza di spaccio per conto del boss del clan, insieme ad altri complici.

La Decisione del Tribunale di Sorveglianza e il Ricorso in Cassazione

Il Tribunale di Sorveglianza di Napoli aveva dichiarato inammissibile l’istanza volta a ottenere un permesso premio. La difesa della donna aveva quindi presentato ricorso in Cassazione, sostenendo che la collaborazione con la giustizia fosse divenuta “inesigibile, impossibile o irrilevante”. Secondo la tesi difensiva, l’integrale accertamento dei fatti, il ruolo minore della sua assistita e l’arco temporale risalente dei reati rendevano inutile qualsiasi sua ulteriore dichiarazione. Si contestava, inoltre, che la mancata collaborazione potesse ancora fondare una presunzione di pericolosità sociale, alla luce della sentenza della Corte Costituzionale n. 253 del 2019.

Le Motivazioni della Suprema Corte: L’Importanza di un Permesso Premio e le sue Condizioni

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, ritenendolo infondato. I giudici hanno sottolineato diversi punti cruciali. In primo luogo, hanno evidenziato che il ruolo della donna non era affatto marginale, avendo gestito attivamente una piazza di spaccio. In secondo luogo, il clan di appartenenza risultava ancora pienamente operativo sul territorio, come dimostrato da recenti provvedimenti cautelari.

La Corte ha specificato che, nonostante il tempo trascorso, la donna avrebbe potuto fornire informazioni ancora utili e attuali su aspetti non del tutto chiariti, quali:

* I canali di approvvigionamento della sostanza stupefacente.
* I soggetti incaricati di occultare e gestire i proventi illeciti.
* Le modalità di investimento e reimpiego del denaro sporco.

La Cassazione ha chiarito che, per superare la presunzione di pericolosità legata alla mancata collaborazione, non è sufficiente invocare l’impossibilità generica di contribuire. Il detenuto deve fornire elementi specifici e concreti che dimostrino una reale e seria volontà di scissione dal contesto criminale di origine. Nel caso di specie, tale prova non è stata fornita. Il ricorso si è limitato a insistere su un ruolo marginale e su un completo accertamento dei fatti, senza però confutare la potenziale utilità di nuove informazioni né allegare circostanze indicative di un reale distacco dal clan.

Le Conclusioni: Un Monito sulla Dissociazione Effettiva

La sentenza ribadisce un principio fondamentale: dopo la storica pronuncia della Corte Costituzionale, la mancata collaborazione non costituisce più un ostacolo assoluto all’ottenimento di un permesso premio, ma sposta l’onere della prova sul detenuto. Quest’ultimo deve dimostrare attivamente di aver reciso ogni legame con la criminalità organizzata e di non rappresentare più un pericolo per la società. La mera affermazione di impossibilità a collaborare o il richiamo a un ruolo marginale non sono sufficienti. È necessaria una “revisione critica” della propria condotta e l’allegazione di elementi concreti che attestino un percorso di cambiamento autentico, elementi che nel caso esaminato sono risultati del tutto assenti.

Un ruolo definito ‘marginale’ in una sentenza di condanna è sufficiente per considerare la collaborazione con la giustizia impossibile?
No. Secondo la Corte di Cassazione, anche un ruolo non apicale può comportare la conoscenza di informazioni utili alle indagini (es. canali di approvvigionamento, modalità di riciclaggio). La valutazione sulla possibilità di collaborare non dipende solo dal ruolo formale, ma dalle conoscenze potenzialmente possedute dalla persona.

Per ottenere un permesso premio, basta dichiarare di non avere più legami con l’organizzazione criminale?
No. La dichiarazione di dissociazione non è sufficiente. Il detenuto deve fornire elementi specifici, concreti e verificabili che dimostrino una reale e seria volontà di scissione dal clan e l’assenza di pericolosità sociale, superando la presunzione relativa che deriva dalla mancata collaborazione.

Cosa deve dimostrare un detenuto per reati ostativi per accedere a un permesso premio in assenza di collaborazione?
Deve dimostrare, attraverso elementi specifici e diversi dalla sola regolare condotta carceraria, che non esistono più collegamenti attuali con la criminalità organizzata e che non c’è pericolo che tali legami vengano ripristinati. Questo onere probatorio include la revisione critica del proprio passato criminale e l’allegazione di circostanze che attestino un effettivo cambiamento.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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