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Permesso premio: la Cassazione e la revisione critica

La Corte di Cassazione ha respinto il ricorso di un detenuto condannato all’ergastolo, confermando il diniego del permesso premio. La Corte ha stabilito che, per la concessione del beneficio, non basta la buona condotta, ma è necessaria una revisione critica del proprio passato criminale. La sola professione di innocenza, in assenza di introspezione, è stata ritenuta un ostacolo alla valutazione di cessata pericolosità sociale.

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Pubblicato il 13 dicembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Permesso Premio Negato: La Cassazione Sottolinea l’Importanza della Revisione Critica

Una recente sentenza della Corte di Cassazione riafferma un principio cruciale in materia di esecuzione della pena: per ottenere un permesso premio, la buona condotta non basta. È necessario un percorso di revisione critica del proprio passato criminale. Il caso in esame riguarda un detenuto condannato all’ergastolo per reati gravissimi, tra cui omicidio e associazione mafiosa, che si è visto negare il beneficio proprio per la mancanza di tale percorso introspettivo, nonostante si professasse innocente.

I Fatti del Caso: Ergastolo e Istanza di Permesso

Un uomo, condannato alla pena dell’ergastolo per reati di eccezionale gravità come omicidio, sequestro di persona a scopo di estorsione e associazione di stampo mafioso, ha presentato un’istanza per la concessione di un permesso premio. Questo beneficio, previsto dall’ordinamento penitenziario, consente al detenuto di trascorrere un breve periodo fuori dal carcere per coltivare relazioni familiari e sociali, come primo passo verso il reinserimento.

Il Magistrato di Sorveglianza prima, e il Tribunale di Sorveglianza poi, hanno respinto la richiesta. Sebbene al detenuto fossero riconosciute una buona condotta carceraria e l’adesione al programma di trattamento, i giudici hanno rilevato un elemento ostativo fondamentale: l’assenza di un percorso di introspezione e riflessione sul proprio trascorso criminale. A pesare su questa valutazione è stata anche la circostanza che l’equipe di trattamento avesse dato parere sfavorevole, proprio perché il condannato continuava a dichiararsi innocente, senza mostrare segni di una rielaborazione critica dei fatti per cui era stato condannato in via definitiva.

La Decisione del Tribunale di Sorveglianza e il Ricorso in Cassazione

Di fronte al diniego, il difensore del detenuto ha proposto ricorso in Cassazione, sostenendo che la professione di innocenza è un diritto incontestabile e non può essere usata per negare un beneficio. Secondo la difesa, i giudici avrebbero dovuto valorizzare l’eccellente percorso riabilitativo e il comportamento tenuto durante la detenzione, elementi che dimostrerebbero la cessata pericolosità sociale. Il ricorso evidenziava come la mancanza di revisione critica non potesse essere l’unico motivo per ritenere ancora socialmente pericoloso il condannato.

Le motivazioni della Cassazione sul permesso premio e revisione critica

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, ritenendolo infondato e confermando la decisione del Tribunale di Sorveglianza. Gli Ermellini hanno ribadito l’orientamento consolidato della giurisprudenza in materia. Per la concessione del permesso premio, la legge richiede due requisiti fondamentali: la regolare condotta e l’assenza di pericolosità sociale.

La valutazione sulla pericolosità sociale, soprattutto in casi di reati così gravi, deve essere particolarmente rigorosa. I giudici hanno chiarito che tale valutazione non può prescindere dall’analisi del percorso interiore del condannato. La mancanza di elementi che indichino una “rivisitazione critica” del proprio passato deviante assume una rilevanza negativa decisiva. Non si tratta di pretendere una confessione o un pentimento forzato, ma di verificare se il detenuto abbia avviato un processo di riflessione sulle cause che lo hanno portato a commettere i reati e sulla gravità delle sue azioni.

La Corte ha specificato che l’esame della personalità del detenuto, la sua condotta e le relazioni dell’equipe di osservazione sono centrali per formulare questo giudizio. Nel caso specifico, i giudici di merito hanno correttamente concluso che non erano maturate le condizioni per la concessione del beneficio, proprio a causa della “carenza di qualsiasi elemento da cui dedurre l’attivazione di un percorso di introspezione e di riflessione del proprio trascorso”. Questo presupposto è stato ritenuto indispensabile per poter sperimentare un processo di reinserimento su basi solide.

Le conclusioni: Implicazioni Pratiche della Sentenza

La sentenza consolida un principio fondamentale: il percorso trattamentale in carcere non è un mero adempimento formale, ma deve tradursi in un cambiamento interiore tangibile. Per i condannati a pene lunghe per reati gravi, la dimostrazione di aver compiuto una profonda revisione critica del proprio passato diventa un passaggio quasi obbligato per accedere ai benefici penitenziari. La professione di innocenza, pur essendo un diritto, non esime il condannato dal confrontarsi con la verità processuale e con il significato delle proprie azioni passate. Questa decisione sottolinea come il giudizio sulla cessata pericolosità sociale sia un’analisi complessa, che va oltre la semplice osservazione del comportamento in istituto e scende nel profondo del percorso di consapevolezza e cambiamento della persona.

La buona condotta in carcere è sufficiente per ottenere un permesso premio?
No. Secondo la sentenza, la buona condotta è un requisito necessario ma non sufficiente. È indispensabile anche l’assenza di pericolosità sociale, che viene valutata attraverso un percorso di revisione critica del proprio passato criminale.

Professarsi innocenti impedisce di ottenere un permesso premio?
Non direttamente, ma può essere un ostacolo. La Corte chiarisce che il problema non è la professione di innocenza in sé, ma la mancanza di un percorso di introspezione e riflessione sui reati per cui si è stati condannati. Se questa mancanza viene accertata, la pericolosità sociale non può dirsi cessata, impedendo la concessione del beneficio.

Quali elementi valuta il giudice per concedere un permesso premio a un condannato per reati gravi?
Il giudice valuta diversi elementi, tra cui la condotta regolare durante la detenzione, la gravità dei reati commessi, l’entità della pena e, in modo centrale, la presenza di elementi che indichino una “rivisitazione critica” del passato deviante, come l’attivazione di un percorso di riflessione sul proprio trascorso criminale.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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