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Permesso premio: la Cassazione e i reati ostativi

La Corte di Cassazione ha confermato il diniego di un permesso premio a un detenuto condannato all’ergastolo per omicidio e reati di mafia con ruolo apicale. La decisione si basa sulla mancata dimostrazione, da parte del condannato, di aver reciso i legami con l’organizzazione criminale di appartenenza, ancora attiva. Secondo la Corte, il Tribunale di Sorveglianza ha correttamente valutato le informazioni negative fornite dalle autorità antimafia e la mancanza di iniziative risarcitorie verso le vittime, ritenendo insufficiente il mero decorso del tempo e la buona condotta carceraria per superare la presunzione di pericolosità.

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Pubblicato il 12 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Permesso Premio e Reati Ostativi: Quando il Legame con il Clan Impedisce il Beneficio

La Corte di Cassazione, con la recente sentenza n. 46997/2024, è tornata a pronunciarsi su un tema cruciale del diritto penitenziario: la concessione del permesso premio a detenuti condannati per reati ostativi, in particolare quelli legati alla criminalità organizzata di stampo mafioso. La decisione ribadisce la necessità di una prova rigorosa della rescissione dei legami con il clan di appartenenza, un onere che grava interamente sul condannato.

I Fatti del Caso: La Richiesta del Detenuto

Il caso esaminato riguarda un detenuto condannato alla pena dell’ergastolo per delitti di omicidio commessi in qualità di figura apicale di un’organizzazione mafiosa. Dopo un lungo periodo di detenzione, l’uomo aveva richiesto la concessione di un permesso premio, un beneficio previsto dall’ordinamento penitenziario per favorire il reinserimento sociale.

Il Tribunale di sorveglianza, tuttavia, aveva respinto l’istanza. La decisione era stata motivata sulla base delle informazioni acquisite dalla Direzione Nazionale Antimafia, dalla Direzione Distrettuale Antimafia e dal Comitato provinciale per l’ordine e la sicurezza pubblica. Tali atti confermavano la permanenza di collegamenti tra il condannato e la criminalità organizzata. Inoltre, la relazione dell’area trattamentale del carcere esprimeva un parere sfavorevole, evidenziando come non fosse mai stata formulata alcuna ipotesi di trattamento esterno per il detenuto.

L’Analisi della Cassazione: I Requisiti per il Permesso Premio

L’imputato ha presentato ricorso in Cassazione, lamentando una violazione di legge e un vizio di motivazione. A suo dire, il Tribunale non avrebbe adeguatamente considerato gli elementi positivi del suo percorso carcerario, la lunga durata della detenzione e l’assenza di legami della sua famiglia con contesti criminali.

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso infondato, confermando la correttezza della decisione del Tribunale di sorveglianza. I giudici di legittimità hanno sottolineato come, a seguito delle recenti riforme normative (in particolare il D.L. 162/2022), per i condannati per reati ostativi che non collaborano con la giustizia, l’onere di dimostrare la rottura con l’ambiente criminale sia diventato ancora più stringente. Non è più sufficiente l’assenza di elementi negativi; è necessario fornire elementi positivi e concreti che attestino l’avvenuta rescissione dei legami.

Le Motivazioni della Decisione

La motivazione della sentenza si articola su più punti chiave. In primo luogo, la Corte ha validato l’operato del Tribunale di sorveglianza, che ha correttamente acquisito e valutato tutte le fonti informative necessarie, colmando le lacune che avevano portato a un precedente annullamento con rinvio.

Dalle relazioni della DNA e della DDA è emerso che il mandamento mafioso di appartenenza del condannato è ancora pienamente attivo e che non risulta alcuna rescissione dei legami pregressi. Inoltre, il detenuto non ha mai adempiuto agli obblighi di allegazione, né ha intrapreso iniziative di tipo risarcitorio a favore delle vittime.

La Cassazione ha respinto la critica difensiva sulla presunta genericità dei pareri antimafia, spiegando che spetta al condannato, e non all’accusa, fornire la prova della sua dissociazione. Il lungo tempo trascorso in carcere e la buona condotta non sono, di per sé, elementi sufficienti a superare la presunzione di pericolosità sociale legata al ruolo apicale ricoperto nell’organizzazione.

Infine, è stato dato peso alla mancanza di qualsiasi iniziativa risarcitoria, un elemento considerato fondamentale per dimostrare un reale percorso di revisione critica del proprio passato criminale.

Conclusioni: L’Onere della Prova per i Condannati per Reati Ostativi

La sentenza in esame consolida un principio fondamentale: per i condannati per reati di mafia che non scelgono la via della collaborazione, l’accesso a benefici come il permesso premio è subordinato a una prova particolarmente rigorosa. Essi devono dimostrare attivamente, con elementi concreti e specifici, di aver tagliato ogni ponte con il passato criminale. La valutazione del giudice non può basarsi su mere supposizioni o sul semplice trascorrere del tempo, ma deve fondarsi su un’analisi completa che tenga conto dei pareri delle autorità competenti e di gesti tangibili di ravvedimento, come il risarcimento del danno alle vittime. Questa pronuncia riafferma la linea di fermezza dell’ordinamento nei confronti della criminalità organizzata, bilanciando la finalità rieducativa della pena con le imprescindibili esigenze di sicurezza pubblica.

Perché è stato negato il permesso premio al condannato?
Il permesso è stato negato perché il condannato, figura apicale di un’organizzazione mafiosa e condannato all’ergastolo, non ha fornito prove positive e concrete di aver reciso i legami con il suo clan, che risulta ancora attivo. Inoltre, non ha collaborato con la giustizia né ha intrapreso iniziative risarcitorie verso le vittime.

Quali elementi ha considerato il giudice per la sua decisione?
Il giudice ha basato la sua decisione sulle informazioni fornite dalla Procura Nazionale Antimafia (DNA), dalla Procura Distrettuale di Palermo e dal Comitato provinciale per l’ordine pubblico, che indicavano la persistenza dei collegamenti con la criminalità organizzata. Ha inoltre considerato la relazione sfavorevole dell’istituto penitenziario.

Cosa deve dimostrare un condannato per reati ostativi per ottenere benefici senza collaborare con la giustizia?
Deve dimostrare l’adempimento delle obbligazioni civili e risarcitorie conseguenti al reato (o l’impossibilità di farlo) e fornire elementi specifici che provino in modo inequivocabile la rescissione dei legami con la criminalità organizzata e l’assenza del pericolo che tali legami possano essere ripristinati.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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