Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 20687 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 1 Num. 20687 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 27/02/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a ACIREALE il 29/01/1957
avverso l’ordinanza del 06/12/2024 del TRIB. SORVEGLIANZA di ROMA
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME lette le conclusioni del PG, NOME COGNOME che ha chiesto il rigetto del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. Con ordinanza del 6 dicembre 2024, il Tribunale di sorveglianza di Roma ha respinto il reclamo proposto da NOME COGNOME avverso il provvedimento con cui il Magistrato di sorveglianza della stessa città, il 2 agosto 2024, ha rigettato l’istanza da lui presentata e finalizzata alla concessione di un permesso premio.
A tal fine, premesso che Rigano sta condannando la pena dell’ergastolo, inflittagli per reato ostativo c.d. «di prima fascia», ai sensi dell’art. 4 -bis legge 26 luglio 1975, n. 354, e che non è stata dedotta né accertata l’impossibilità o l’inesigibilità della collaborazione, ha, in primo luogo, individuato la normativa applicabile – stante la modifica, intervenuta nella pendenza del procedimento instaurato a seguito della presentazione della domanda di permesso premio ed in senso peggiorativo per il condannato, del quadro normativo di riferimento – in ossequio al principio secondo cui le norme che introducono restrizioni in materia di misure alternative alla detenzione o, in genere, di benefici penitenziari non si applicano ai condannati che, prima dell’entrata in vigore della nuova normativa, abbiano già raggiunto un grado di rieducazione adeguato ai benefici richiesti.
In proposito, ha ritenuto che Rigano, pur protagonista di un percorso penitenziario assai positivo, ha avviato una revisione critica limitata rispetto al proprio vissuto criminale, che, tra l’altro, lo ha visto, in costanza di detenzione, concorrere ad un omicidio e protrarre la militanza mafiosa, condotta, quest’ultima, accertata nell’ambito di un procedimento penale che, al momento della presentazione dell’istanza di concessione del permesso premio, era ancora pendente e che è stato definito, con sentenza irrevocabile, solo nel luglio del 2020.
Il Tribunale di sorveglianza ha, pertanto, reputato che, alla data di entrata in vigore della normativa introdotta dal d.l. 31 ottobre 2022, n. 162, convertito dalla legge 30 dicembre 2022, n. 199, Rigano non avesse ancora raggiunto obiettivi risocializzanti di consistenza tale da consentirgli l’accesso al beneficio e, vagliata, quindi, la sua richiesta sulla base dei nuovi e più stringenti parametri, la ha disattesa.
In questo senso, ha tratto spunto dalla persistente operatività, quantomeno sino al 2022, dell’associazione mafiosa della quale COGNOME è stato a lungo esponente, dalla sua rinnovata adesione, a decorrere dall’anno 2000 (egli, già condannato per il reato sanzionato dall’art. 416-bis cod. pen., commesso sino al novembre del 1993, è stato, invece, liberato da analogo addebito con riferimento al torno di tempo che giunge sino al 1997), alla
medesima organizzazione e, dunque, dal conseguente pericolo di ripristino, in caso di ammissione al beneficio, dei suoi contatti con la criminalità organizzata.
NOME COGNOME propone, con l’assistenza degli avv.ti NOME COGNOME e NOME COGNOME, ricorso per cassazione affidato ad un unico, complesso motivo – del quale si darà atto, giusta il disposto dell’art. 173, comma 1, disp. att. cod. proc. pen., nei limiti strettamente necessari per la motivazione – con il quale deduce violazione di legge.
Rileva, quanto all’individuazione del parametro normativo di riferimento, che l’applicazione dell’enunciato canone ermeneutico avrebbe dovuto indurre il Tribunale di sorveglianza a conformare la decisione alla disciplina previgente all’intervento riformatore del 2022, posto che egli, già al tempo della presentazione dell’istanza, risalente al 22 giugno 2020, ed ancor più a quello di entrata in vigore delle regole di nuovo conio, aveva conseguito, sul piano rieducativo, risultati così significativi da legittimare senz’altro il favorev riscontro alla richiesta formulata.
Al riguardo, si duole della considerazione, all’evidenza decisiva, che il Tribunale di sorveglianza ha riservato alla più recente condanna da lui patita per il delitto associativo che, ancorché divenuta definitiva nel luglio del 2020, attiene a condotta che, iniziata nel 2000, deve considerarsi protratta, al più, sino al 24 maggio 2006, giorno di emissione della sentenza di primo grado che, notoriamente, segna, in difetto di più puntuali riferimenti di ordine fattuale e cronologico, la cessazione, per convenzione ed unanime indirizzo applicativo, della permanenza del delitto associativo che, come nel caso in esame, sia stato contestato in forma «aperta», ovvero con l’indicazione del solo momento iniziale della militanza mafiosa.
Il ricorrente ascrive, ulteriormente, al Tribunale di sorveglianza di avere indebitamente sottostimato le informazioni trasmesse dagli operatori penitenziari nel 2020 e, quindi, nel febbraio del 2022, concordi nell’attestare che, già prima dell’entrata in vigore della novella, egli aveva proficuamente avviato un iter rieducativo di sicura rilevanza, in chiave di revisione critica del passato deviante, dissociazione dalle logiche mafiose alle quali egli aveva, in precedenza, informato il proprio agire, dedizione allo studio, svolgimento, in costanza di detenzione, di attività lavorativa, cui si sono aggiunte, a partire dal dicembre 2022 (e, dunque, nella vigenza dell’attuale versione dell’art. 4-bis della legge 26 luglio 1975, n. 354) la fattiva partecipazione ad un programma di giustizia riparativa, il periodico finanziamento dell’associazione Libera e la convinta partecipazione ad iniziative di tutela e promozione della legalità.
Con successivo atto contenente motivi nuovi, il ricorrente ha, inoltre, segnalato, a smentita di quanto indicato dal Tribunale di sorveglianza e con il conforto di pertinente allegazione documentale, l’erroneità dell’epoca di commissione di uno degli omicidi per i quali egli è stato condannato, risalente al 1985, anziché, come indicato nel provvedimento impugnato, al 1995.
Il Procuratore generale ha chiesto, con requisitoria scritta, il rigetto d ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è fondato e, pertanto, deve essere accolto.
2. t pacifico che NOME COGNOME stava scontando, alla data della decisione, condanna per reati compresi nel novero dei delitti per i quali, ai sensi dell’a 4-bis, comma 1-bis, legge 26 luglio 1975, n. 354 (nel testo introdotto dal d.l. 31 ottobre 2022, n. 162, convertito con modificazioni dalla legge 30 dicembre 2022, n. 199), l’assegnazione al lavoro esterno, i permessi premio e le misure alternative alla detenzione (con l’eccezione della liberazione anticipata) possono essere concessi, «anche in assenza di collaborazione con la giustizia ai sensi dell’articolo 58-ter, purché gli istanti dimostrino l’adempimento dell obbligazioni civili e degli obblighi di riparazione pecuniaria conseguenti alla condanna o l’assoluta impossibilità di tale adempimento e alleghino elementi specifici, diversi e ulteriori rispetto alla regolare condotta carceraria, partecipazione del detenuto al percorso rieducativo e alla mera dichiarazione di dissociazione dall’organizzazione criminale di eventuale appartenenza, che consentano di escludere l’attualità di collegamenti con la criminalità organizzata, terroristica o eversiva e con il contesto nel quale il reato è st commesso, nonché il pericolo di ripristino di tali collegamenti, anche indiretti o tramite terzi, tenuto conto delle circostanze personali e ambientali, dell ragioni eventualmente dedotte a sostegno della mancata collaborazione, della revisione critica della condotta criminosa e di ogni altra informazione disponibile».
La citata disposizione prevede, subito dopo, che «al fine della concessione dei benefici, il giudice accerta altresì la sussistenza di iniziative dell’intere a favore delle vittime, sia nelle forme risarcitorie che in quelle della giusti riparativa».
Il comma 2 dell’art. 4-bis assegna, poi, alla magistratura di sorveglianza il compito di richiedere, in vista della decisione sull’istanza di ammissione
benefici penitenziari e per il tramite del comitato provinciale per l’ordine e la sicurezza pubblica, dettagliate informazioni che, con specifico riferimento ai casi, quale quello in esame, di cui al comma 1-bis consentano di «verificare la fondatezza degli elementi offerti dall’istante in merito al perdurare dell’operatività del sodalizio criminale di appartenenza o del contesto criminale nel quale il reato è stato consumato, al profilo criminale del detenuto o dell’internato e alla sua posizione all’interno dell’associazione, alle eventuali nuove imputazioni o misure cautelari o di prevenzione sopravvenute a suo carico e, ove significative, alle infrazioni disciplinari commesse durante la detenzione».
La normativa di recente conio impone, altresì, al giudice di sollecitare il parere del pubblico ministero presso il giudice che ha emesso la sentenza di primo grado o, se si tratta di condanne per i delitti indicati all’articolo 51, commi 3-bis e 3quater, cod. proc. pen., del pubblico ministero presso il tribunale del capoluogo del distretto ove è stata pronunciata la sentenza di primo grado e del Procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo, e di acquisire informazioni dalla direzione dell’istituto ove l’istante è detenuto o internato, nonché di disporre, nei confronti del medesimo, degli appartenenti al suo nucleo familiare e delle persone ad esso collegate, accertamenti in ordine alle condizioni reddituali e patrimoniali, al tenore di vita, alle attività economiche eventualmente svolte e alla pendenza o definitività di misure di prevenzione personali o patrimoniali.
Il comma 2-bis stabilisce, ancora, che «Quando dall’istruttoria svolta emergono indizi dell’attuale sussistenza di collegamenti con la criminalità organizzata, terroristica o eversiva o con il contesto nel quale il reato è stato commesso, ovvero del pericolo di ripristino di tali collegamenti, è onere del condannato fornire, entro un congruo termine, idonei elementi di prova contraria» e che «In ogni caso, nel provvedimento con cui decide sull’istanza di concessione dei benefici il giudice indica specificamente le ragioni dell’accoglimento o del rigetto dell’istanza medesima, tenuto conto dei pareri acquisiti…».
Risulta, dunque, dalla superiore esposizione che la novella ha trasformato la presunzione legale assoluta di immanenza dei collegamenti per il non collaborante, prevista dal precedente testo dell’art. 4-bis, in relativa, con allegazione che spetta alla parte e con la previsione, comunque, di oneri istruttori per il giudice della sorveglianza.
Alla luce della nuova normativa, quindi, il Tribunale di sorveglianza è tenuto ad apprezzare la pericolosità del detenuto per reati ostativi «di prima fascia», in particolare quanto al pericolo del mantenimento o del ripristino dei collegamenti con associazioni criminose, mediante l’esame approfondito della sua condotta
carceraria e della partecipazione all’attività rieducativa, e se necessario svolgendo accertamenti tramite l’autorità di polizia.
In questo senso si è, del resto, orientata, sin dall’entrata in vigore del nuovo testo dell’art. 4-bis, la giurisprudenza di legittimità, che ha stabilito che «In tema di misure alternative alla detenzione in favore di soggetto condannato per reati ostativi cd. “di prima fascia”, per effetto delle modifiche apportate all’art.4-bis ord. pen. con d.l. 31 ottobre 2022, n. 162, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 dicembre 2022, n. 199, non assume rilievo decisivo la collaborazione con l’autorità giudiziaria, essendo demandato al giudice, alla luce della mutata natura della presunzione – divenuta relativa di mantenimento dei collegamenti con l’organizzazione criminale, la valutazione del percorso rieducativo del condannato e dell’assenza di collegamenti, attuali o potenziali, con la criminalità organizzata e con il contesto mafioso, mediante gli ampliati poteri istruttori di cui all’art. 4-bis, comma 2, ord. pen.» (Sez. 1, n. 35682 del 23/05/2023, COGNOME, Rv. 284921 – 01).
Tanto, alla luce dell’espresso rilievo secondo cui «La novella del 2022 richiede dunque che sia esercitato il potere valutativo di merito in ordine alla verifica dei requisiti di accesso alle misure alternative richieste dal ricorrente, alla luce della nuova qualità – relativa e superabile – della presunzione di mantenimento di collegamenti con l’organizzazione di appartenenza, da essa introdotta, in caso di mancata collaborazione processuale», accompagnato dal riconoscimento che detta situazione «non costituisce più un dato rigidamente preclusivo all’accesso ai benefici penitenziari, restando nell’ambito valutativo del Tribunale di sorveglianza superare detta presunzione, non più assoluta, sulla base degli indici, stringenti e cumulativi, che sono stati introdotti con la nuova regola iuris, e che si sostanziano nella necessità di valutare in concreto il percorso rieducativo del ricorrente e l’assenza di collegamenti, attuali o potenziali, con la criminalità organizzata e con il contesto mafioso»; con l’esplicita indicazione del dovere, per il Tribunale di sorveglianza, di avvalersi degli ampliati poteri istruttori previsti dal secondo comma dell’art. 4-bis.
Con riferimento al caso di specie, va, ancora, considerato che, se l’ordinanza impugnata è stata emessa nel 2024, cioè nell’attuale cornice normativa, la richiesta di permesso premio era stata, invece, presentata in un frangente temporale anteriore al mutamento di disciplina e, al contempo, posteriore all’intervento della Corte costituzionale che, con la sentenza n. 253 del 2019, aveva dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 4-bis, comma 1, della legge n. 354 del 1975, nella parte in cui non prevede che ai detenuti
per i delitti ivi contemplati possano essere concessi permessi premio anche in assenza di collaborazione con la giustizia a norma dell’art. 58-ter del medesimo testo normativo, allorché siano stati acquisiti elementi tali da escludere, sia l’attualità di collegamenti con la criminalità organizzata, terroristica o eversiva, sia il pericolo del ripristino di tali collegamenti.
Con riferimento a siffatte ipotesi, la giurisprudenza di legittimità ha stabilito, in linea generale, che «In tema di concessione del permesso premio a soggetto condannato per reati ostativi cd. “di prima fascia” che non abbia collaborato con la giustizia, sono applicabili ai procedimenti in corso le modifiche apportate all’art. 4-bis ord. pen. con d.l. 31 ottobre 2022, n. 162, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 dicembre 2022, n. 199, in ragione della natura processuale delle norme inerenti ai benefici penitenziari, che, in assenza di una specifica disciplina transitoria, soggiacciono al principio del “tempus regit actum”» (Sez. 1, n. 38278 del 20/04/2023, COGNOME, Rv. 285203 – 01).
La predetta regola – secondo cui la maggiore gravosità, per il condannato, della disciplina sopravvenuta non esclude che essa si applichi anche ai procedimenti in itinere all’atto della sua entrata in vigore – deve, tuttavia, essere contemperata con il principio in passato enunciato dalla stessa Corte di cassazione (cfr. Sez. 1, n. 8092 del 01/03/2010, COGNOME, Rv. 246332 – 01; Sez. 1, n. 27670 del 10/06/2009, COGNOME, Rv. 244716 – 01) ed a più riprese ribadito, di recente, dalla Corte costituzionale, imperniato sulla necessaria ed imprescindibile rilevanza, ai fini considerati, dell’eventuale raggiungimento, da parte dell’istante ed al tempo della novella, di un grado di rieducazione tale da giustificare, ai sensi della normativa precedente, l’ammissione al beneficio penitenziario, condizione al cospetto della quale, ad onta della natura processuale delle norme, deve farsi applicazione del più favore regime previgente anziché di quello sopravvenuto e maggiormente gravoso.
È questa la ratio ispiratrice dell’orientamento espresso, con riferimento al fenomeno successorio che interessa la posizione di NOME COGNOME, da Sez. 5, n. 33693 del 28/06/2024, COGNOME, Rv. 286988 – 01, che ha stabilito che, muovendo dalla premessa che «In tema di concessione del permesso premio, dopo la modifica dell’art. 4-bis, comma 1-bis, ord. pen. ad opera del d.l. 31 ottobre 2022, n. 162, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 dicembre 2022, n. 199, le condizioni di accesso al beneficio in relazione ai reati ivi elencati, per i detenut che non collaborano con l’autorità giudiziaria, sono diventate più gravose rispetto a quelle sussistenti a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 253 del 2019, prevedendo, da un lato, la necessità di ulteriori presupposti di ammissibilità della domanda (l’adempimento delle obbligazioni civili e degli obblighi di riparazione pecuniaria conseguenti alla condanna o l’assoluta impossibilità di tale
adempimento) e, codificando, dall’altro, un criterio misto per il giudizio sulla presunzione relativa conseguente alla mancata collaborazione che contempla, accanto all’individuazione di alcuni indicatori valutabili, anche la regola legale dell’insufficienza di alcuni di essi (la regolare condotta carceraria, la partecipazione al percorso rieducativo e la mera dichiarazione di dissociazione)» ha affermato, in motivazione, che, in ossequio ai principi costituzionali di eguaglianza e del finalismo rieducativo della pena, non può disconoscersi la rilevanza del percorso rieducativo effettivamente compiuto dal condannato che abbia già raggiunto, in concreto, un grado di rieducazione adeguato alla concessione del beneficio.
Stando a tale impostazione, è dunque necessario applicare la disciplina previgente, più favorevole, in tutti i casi di avvenuto raggiungimento di un progresso trattamentale tale da consentire l’accesso al beneficio; direzione, questa, verso la quale è orientata la giurisprudenza costituzionale, che ha precisato che «non è tuttavia consentito al legislatore disconoscere il percorso rieducativo effettivamente compiuto dal condannato che abbia già raggiunto, in concreto, un grado di rieducazione adeguato alla concessione del beneficio» (così Corte costituzionale, sentenza n. 32 del 2020).
In una ipotesi siffatta, invero, l’applicazione della normativa sopravvenuta si porrebbe in contrasto con il principio di eguaglianza e del finalismo rieducativo della pena (artt. 3 e 27, terzo comma, Cost.), poiché «negare, a chi si trovi nella posizione di quel condannato, la concessione del beneficio, equivarrebbe a disconoscere la funzione pedagogico-propulsiva del permesso premio (sentenza n. 253 del 2019), quale strumento idoneo a consentirne un suo iniziale reinserimento nella società, in vista dell’eventuale concessione di misure alternative alla detenzione, in assenza di gravi comportamenti che dimostrino la non meritevolezza del beneficio nel caso concreto (sentenza n. 504 del 1995; nello stesso senso, sentenze n. 137 del 1999 e n. 445 del 1997)» (così, ancora, Corte costituzionale, sentenza n. 32 del 2020)…”.
Discende dal superiore rilievo che il Tribunale di sorveglianza, ricorrendo le condizioni testé descritte, è tenuto a valutare, in via preliminare, l’evoluzione trattamentale del condannato in rapporto ai parametri applicabili in ossequio al quadro normativo posteriore alla sentenza della Corte costituzionale n. 253 del 2019 e, in caso di riscontro positivo, a valutare la domanda di permesso premio senza applicare i nuovi e più gravosi parametri, in primis quelli concernenti l’adempimento delle obbligazioni civili e degli obblighi di riparazione pecuniaria conseguenti alla condanna.
Nella fattispecie in esame, il Tribunale di sorveglianza, chiamato ad adempiere al compito sopra enucleato e, quindi, ad accertare se le allegazioni del condannato valessero ad escludere sia l’attualità di collegamento con la criminalità organizzata che il pericolo, in caso di concessione del permesso premio, del loro ripristino e, di conseguenza, a vincere la presunzione stabilita dall’art. 4-bis, nel testo interpolato dalla sentenza della Corte costituzionale n. 253 del 2019, è pervenuto ad una soluzione negativa all’esito di un iter argomentativo viziato dall’imprecisa indicazione, in fatto, di alcuni tra gli elementi rilevanti.
L’ordinanza impugnata dà, infatti, atto che Rigano ha compiuto un percorso di studi, di adesione ad attività e momenti di riflessione particolarmente significativo.
Egli, esclusa l’opzione collaborativa per timore di ritorsioni nei confronti dei familiari, ha, ciò nonostante, dichiarato la propria dissociazione dall’organizzazione di appartenenza e riconosciuto la propria responsabilità nell’accertata attività criminale; ininterrottamente detenuto da circa trent’anni, ha conseguito il diploma e, poscia, nel 2019, la laurea in giurisprudenza con il massimo dei voti e la lode; ha svolto, in carcere, attività lavorativa, impegnandosi nella ristrutturazione di alcune camere detentive, nella distribuzione del vitto, come imbianchino; dichiaratosi disponibile ad un percorso riparatorio, ha incontrato gli studenti, che ha messo a parte della propria esperienza.
Tanto ha indotto l’équipe penitenziaria ed il Direttore del carcere a formulare parere favorevole al rilascio del permesso premio che, però, è stato negato dal Magistrato e dal Tribunale di sorveglianza per la ritenuta carenza di elementi concreti di rivisitazione critica dei reati commessi.
L’ordinanza impugnata segnala, in quest’ottica, che la revisione dei trascorsi delittuosi è ancora limitata, emergendo una dissonanza tra il ruolo che COGNOME ha svolto in seno all’associazione di appartenenza, per come ricostruito in sede giudiziaria, e la dedotta «inevitabilità della scelta mafiosa», poco aderente ai fatti ed al rango assunto.
Il Tribunale di sorveglianza assegna, peraltro, decisiva rilevanza (cfr. pag. 8, e 10) al curriculum giudiziario di Rigano e, specificamente, alla commissione, nel 1995 e, quindi, in costanza di detenzione, di un omicidio ed all’accertata partecipazione ad associazione mafiosa a far data dal 2000, circostanze dimostrative del fatto che egli, a dispetto del buon comportamento carcerario e della formale dissociazione dalla consorteria criminale, vi è tuttora stabilmente inserito con ruolo di responsabilità ma in relazione alle quali vanno, nondimeno, effettuate talune precisazioni.
Il ricorrente deduce, per un verso, con il sostegno di pertinente documentazione (copia della sentenza di appello, e, per stralcio, di quella di primo
grado), allegata ai motivi nuovi, che l’omicidio che, stando al certificato del casellario giudiziale, egli avrebbe commesso il 14 maggio 1995, risale, invece, al 16 maggio 1985, ciò che contraddirebbe l’assunto che lo vede impegnato, pur in regime di restrizione carceraria, a muovere le fila del gruppo di cui egli era esponente di rilievo concorrendo ad assumere decisioni di indubbia valenza strategica.
Per quanto concerne, poi, la condotta associativa che, a giudizio del Tribunale di sorveglianza, fonda la prognosi negativa circa il rischio che Rigano, se ammesso a permesso premio, da fruirsi nell’area territoriale in cui sono maturati i fatti che gli sono valsi la condanna in esecuzione, coglie nel segno il ricorrente nell’evidenziare che dal carattere «aperto» della contestazione, la cui cornice temporale è descritta nel solo momento iniziale, collocato nell’anno 2000, discende che il reato debba intendersi commesso, al più, sino al 24 maggio 2006, data di pronunzia della sentenza di primo grado.
Il dato è rilevante, per quanto qui interessa, perché incide sulla valutazione della persistente militanza mafiosa di Rigano, la cui prova si arresta ad oltre quattordici anni prima della presentazione della domanda di permesso premio, e, correlativamente, sulla significatività della palesata adesione alla proposta tratta me nta le.
Sul punto, va aggiunto che non appare eccentrica l’ulteriore prospettazione del ricorrente, il quale ha dedotto l’opportunità di verificare – alla luce di quanto esposto nella sentenza n. 22074 del 01/07/2020 , con cui la Corte di cassazione dichiarò, tra l’altro, l’inammissibilità del ricorso da lui proposto avverso la decisione dei giudici di merito – in quale contesto temporale si innestino le condotte che hanno determinato l’affermazione della sua responsabilità per il delitto associativo e, in specie, l’invio dal carcere di una lettera contenente direttive espressive della sua persistente influenza nella gestione degli affari del dan, che, si legge nell’ordinanza impugnata, costituisce elemento dirimente da cui è stata tratta la prova della partecipazione associativa.
La necessità dell’operazione sollecitata dal ricorrente è stata, del resto, a più riprese attestata, in materia di benefici penitenziari, dalla giurisprudenza di legittimità, che ha rimesso al giudice di sorveglianza il compito di verificare «tenendo conto della motivazione della sentenza di condanna, le date cui deve essere riferita in concreto ed entro le quali deve ritenersi esaurita la condotta partecipativa attribuita al condannato» (Sez. 1, n. 49625 del 14/11/2023, COGNOME, Rv. 285429 – 01; Sez. 1, n. 20158 del 22/03/2017, COGNOME, Rv. 270118 – 01; Sez. 5, n. 25578 del 15/05/2007, COGNOME, Rv. 237707 – 01).
Né, va ulteriormente notato, le obiezioni difensive risultano superate dalle considerazioni svolte dal Tribunale di sorveglianza con riferimento alla pendenza
del procedimento penale relativo all’addebito associativo de quo agitur,
che si è
protratta sino all’i luglio 2020 ma che, non per questo, pare poter incide misura apprezzabile – in sé ed a prescindere dalla collocazione temporale dell
vicende oggetto di accertamento – sulla valutazione demandata al Tribunale di sorveglianza, ed alle doglianze in quella sede articolate da Rigano, che
oltrepassano, per quanto consta, la fisiologica espressione del diritto di difes expressis verbis
Ora, l’importanza attribuita dal Tribunale di sorveglianza ai
dati processuali sopra indicati – e, si è detto, non correttamente esposti o val
– induce a stimare la complessiva illegittimità del giudizio formulato in ordine raggiungimento, al tempo della proposizione della domanda di permesso e,
comunque, precedente all’introduzione di una disciplina meno favorevole al condannato, di un livello di risocializzazione tale da consentire l’acces
beneficio.
Le circostanze segnalate ridondano, d’altro canto, anche sulla valutazio operata (cfr. pag. 9) dal Tribunale alla stregua del quadro normat
sopravvenuto, il cui esito negativo è disceso, oltre che dall’inadempimento a obblighi riparatori e risarcitori, dalla ritenuta, attuale partecipazione di Riga cosca di pregressa appartenenza, desunta anche dalla condanna per l’omicidio cu si assume egli abbia concorso nel 1995 e da quella per il reato permanent contestato a partire dall’anno 2000.
Alle precedenti considerazioni consegue, in conclusione, l’annullament dell’ordinanza impugnata, con rinvio al Tribunale di sorveglianza di Roma per u nuovo giudizio che, libero nell’esito, sia esente dal vizio riscontrato.
P.Q.M.
Annulla l’ordinanza impugnata con rinvio per nuovo giudizio al Tribunale di sorveglianza di Roma.
Così deciso il 27/02/2025.