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Permesso premio: la Cassazione annulla diniego

La Corte di Cassazione ha annullato l’ordinanza di un Tribunale di Sorveglianza che negava un permesso premio a un detenuto condannato all’ergastolo per reati di mafia. La decisione è stata motivata da una valutazione incompleta da parte del tribunale, che non ha considerato tutti gli elementi indicativi dell’assenza di pericolosità sociale attuale del condannato. La Suprema Corte ha chiarito che, per la concessione del permesso premio, non è necessario il completamento del percorso di revisione critica del passato criminale, ma è sufficiente che tale percorso sia iniziato in modo significativo.

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Pubblicato il 27 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Permesso premio per ergastolani: la Cassazione fissa i paletti per la valutazione

Una recente sentenza della Corte di Cassazione, la n. 23557 del 2024, interviene su un tema delicato e cruciale del diritto penitenziario: la concessione del permesso premio a un detenuto condannato alla pena dell’ergastolo per reati di stampo mafioso. La Corte ha annullato il diniego del Tribunale di Sorveglianza, sottolineando la necessità di una valutazione completa e non parziale della situazione del condannato, che vada oltre la sola gravità dei reati commessi in passato.

I fatti del caso

Il caso riguarda un uomo, detenuto dal 1999 e condannato all’ergastolo per omicidio e tentato omicidio aggravati dal metodo mafioso. Dopo aver scontato la pena accessoria per associazione a delinquere, il detenuto aveva richiesto un permesso premio. Il Tribunale di Sorveglianza, pur prendendo atto di alcuni elementi positivi (come l’impossibilità di adempiere alle obbligazioni civili per precarie condizioni economiche e di salute), aveva rigettato la richiesta. La motivazione del rigetto si basava principalmente sulla ritenuta mancanza di un’adeguata revisione critica del proprio passato criminale e sulla presunta persistenza dei legami con l’associazione criminale di appartenenza, seppur trasformata nel tempo.

I motivi del ricorso e la valutazione del permesso premio

Il difensore del condannato ha presentato ricorso in Cassazione lamentando una violazione di legge e un vizio di motivazione. Secondo la difesa, il Tribunale non aveva adeguatamente considerato elementi cruciali che dimostravano l’assenza di collegamenti attuali con la criminalità organizzata. Tra questi elementi figuravano:

* Il fatto che il detenuto non fosse mai stato sottoposto al regime del 41-bis.
* L’assenza di procedimenti penali a suo carico o a carico dei familiari.
* La totale estraneità del contesto familiare all’ambiente mafioso.
* La richiesta di fruire del permesso in un luogo lontano da quello di commissione dei reati.

La difesa ha inoltre contestato l’applicazione retroattiva delle più stringenti norme introdotte nel 2022 all’art. 4-bis dell’ordinamento penitenziario.

Le motivazioni della Cassazione

La Suprema Corte ha ritenuto fondato il ricorso, annullando la decisione e rinviando per un nuovo giudizio. In primo luogo, la Corte ha confermato la corretta applicazione delle nuove norme del 2022, in quanto le disposizioni sui benefici penitenziari hanno natura processuale e seguono il principio tempus regit actum (la legge applicabile è quella in vigore al momento del giudizio).

Il punto centrale della sentenza, tuttavia, risiede nella critica alla valutazione di merito del Tribunale di Sorveglianza. La Cassazione ha stabilito che, ai fini della concessione del permesso premio, il giudice non può limitarsi a constatare la gravità dei reati passati o la presunta continuità del clan di appartenenza. È necessario, invece, un giudizio prognostico completo che tenga conto di tutti i dati di contesto. Il Tribunale non ha adeguatamente motivato perché elementi come l’assenza del regime 41-bis, la mancanza di carichi pendenti e l’estraneità della famiglia non fossero sufficienti a indicare l’insussistenza di collegamenti attuali con la criminalità organizzata.

Inoltre, la Corte ha offerto un chiarimento fondamentale sul concetto di ‘revisione critica’. Non è richiesto dalla legge che il percorso di revisione del proprio vissuto criminale sia ‘completato’ per ottenere un beneficio. È sufficiente, secondo la giurisprudenza citata, che tale processo sia stato avviato ‘in modo significativo’. Il diniego basato sulla mancanza di una revisione completa è, pertanto, illegittimo se non supportato da una valutazione complessiva di tutti gli altri indicatori.

Conclusioni

Questa sentenza riafferma un principio cardine della funzione rieducativa della pena. La valutazione per la concessione di un beneficio come il permesso premio non può essere un giudizio statico ancorato al passato, ma deve essere una prognosi dinamica sulla pericolosità attuale del soggetto. Per fare ciò, il giudice deve considerare ogni singolo elemento a disposizione, sia positivo che negativo, spiegando in modo logico e coerente perché alcuni elementi prevalgano su altri. L’annullamento con rinvio impone al Tribunale di Sorveglianza di effettuare una nuova e più approfondita valutazione, tenendo conto di tutti i fattori indicati dalla Cassazione per decidere se il percorso di risocializzazione del detenuto possa proseguire con la concessione del beneficio richiesto.

Per ottenere un permesso premio è necessario aver completato un percorso di revisione critica del proprio passato criminale?
No. Secondo la Corte di Cassazione, non è un requisito di legge il completamento del processo di revisione critica. È sufficiente che tale percorso di riflessione sia iniziato in modo significativo.

Le nuove e più restrittive norme sui reati ostativi (riforma del 2022) si applicano anche ai reati commessi prima della loro entrata in vigore?
Sì. La Corte ha ribadito che le norme che regolano la concessione dei benefici penitenziari hanno natura processuale. Pertanto, si applica il principio ‘tempus regit actum’, secondo cui si utilizza la legge in vigore al momento della decisione, anche se più sfavorevole.

Quali elementi deve valutare un tribunale per concedere un permesso premio a un condannato per reati di mafia?
Il tribunale deve effettuare una valutazione complessiva e non parziale, considerando non solo la gravità dei reati e la storia criminale, ma anche tutti gli elementi attuali, come l’eventuale assenza di sottoposizione al regime 41-bis, la mancanza di carichi pendenti, l’estraneità dei familiari al contesto criminale e l’assenza di collegamenti attuali con la criminalità organizzata.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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