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Permesso premio: inammissibile se il ricorso è generico

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un detenuto in regime speciale che chiedeva un permesso premio. La Corte ha stabilito che le censure erano aspecifiche e non fornivano elementi concreti per dimostrare l’interruzione dei legami con l’organizzazione criminale di appartenenza, requisito fondamentale per la concessione del beneficio, confermando la decisione del Tribunale di Sorveglianza.

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Pubblicato il 27 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Permesso premio negato: quando il ricorso in Cassazione è inammissibile

L’ottenimento di un permesso premio per un detenuto, specialmente se sottoposto a regimi restrittivi come il 41-bis, è un percorso complesso che richiede il soddisfacimento di requisiti rigorosi. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ribadisce un principio fondamentale: per contestare efficacemente un diniego, non basta una critica generica, ma è necessario affrontare puntualmente le motivazioni del giudice e fornire prove concrete di un reale cambiamento. Vediamo nel dettaglio la vicenda e le conclusioni dei giudici.

Il caso: la richiesta di permesso premio negata

Un detenuto anziano, sottoposto al regime speciale del 41-bis, si è visto negare dal Magistrato di Sorveglianza la richiesta di un permesso premio. Il diniego si basava principalmente su due punti critici:

1. Mancato adempimento delle obbligazioni civili: Il detenuto non aveva fornito alcuna prova di aver risarcito i danni derivanti dal reato per cui era stato condannato, né di trovarsi nell’assoluta impossibilità di farlo.
2. Assenza di prove di dissociazione: Oltre alla regolare condotta carceraria e a una generica dichiarazione di dissociazione, non erano stati presentati elementi specifici e concreti che potessero escludere l’attualità dei suoi legami con l’organizzazione criminale di provenienza e il pericolo di un loro ripristino.

Contro questa decisione, il detenuto ha presentato reclamo al Tribunale di Sorveglianza, il quale ha confermato il provvedimento, rigettando le sue istanze. Di qui, il ricorso alla Corte di Cassazione.

I motivi del ricorso e le censure sulla concessione del permesso premio

La difesa del ricorrente ha impugnato la decisione del Tribunale di Sorveglianza basando il ricorso su presunte violazioni di legge e vizi di motivazione. In particolare, si sosteneva che le attuali condizioni psicofisiche dell’anziano detenuto, descritto come non più orientato nel tempo e nello spazio, avrebbero di per sé reso impossibile la ripresa di contatti con il mondo della criminalità.

Tuttavia, secondo la Corte di Cassazione, questi argomenti non erano sufficienti per scalfire la solidità della decisione impugnata. Le censure sono state giudicate “fortemente aspecifiche”, ovvero troppo generiche e non in grado di confrontarsi con il nucleo della motivazione del Tribunale.

Le motivazioni della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, evidenziando come la difesa non avesse dialogato con l’effettivo substrato della decisione del Tribunale di Sorveglianza. Quest’ultimo, infatti, aveva correttamente applicato i principi sanciti dalla Corte Costituzionale, secondo cui per superare la presunzione di pericolosità legata a certi reati, non basta la buona condotta o una mera dichiarazione, ma servono elementi specifici che dimostrino un’effettiva e irreversibile rottura con il passato criminale.

Il ricorso, invece di contestare questo punto con prove e argomentazioni pertinenti, si è limitato a riproporre profili già esaminati e a insistere sulle condizioni di salute del detenuto. In sostanza, la difesa ha tentato di ottenere dalla Corte di Cassazione una “nuova valutazione nel merito”, un compito che non rientra nelle funzioni del giudice di legittimità, il quale può giudicare solo sulla corretta applicazione della legge e non sui fatti.

L’impugnazione è stata quindi considerata una “mera critica enunciativa”, incapace di superare il livello di una richiesta generica. Di conseguenza, la Corte ha dichiarato l’inammissibilità del ricorso e ha condannato il ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma di tremila euro in favore della Cassa delle ammende.

Le conclusioni

Questa ordinanza conferma la linea rigorosa della giurisprudenza in materia di benefici penitenziari per i detenuti condannati per reati di criminalità organizzata. Per ottenere un permesso premio non è sufficiente appellarsi alla buona condotta o a condizioni personali, come l’età avanzata o lo stato di salute. È indispensabile fornire al giudice prove concrete, specifiche e ulteriori che dimostrino in modo inequivocabile la rescissione dei legami con l’ambiente criminale. Un ricorso in Cassazione che non affronta specificamente questi aspetti, limitandosi a critiche generiche, è destinato all’inammissibilità.

Perché è stato inizialmente negato il permesso premio al detenuto?
Il permesso è stato negato perché il detenuto non aveva fornito prove di aver adempiuto alle obbligazioni civili (come il risarcimento dei danni) né elementi specifici, oltre alla buona condotta, che dimostrassero l’effettiva rottura dei legami con l’associazione criminale di provenienza.

Quali erano gli argomenti principali del ricorso in Cassazione?
La difesa sosteneva che le precarie condizioni psicofisiche dell’anziano detenuto, ormai disorientato nel tempo e nello spazio, avrebbero reso impossibile qualsiasi ripresa di contatti con il mondo criminale, chiedendo di riconsiderare la sua pericolosità sociale.

Perché la Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile?
La Corte ha ritenuto il ricorso inammissibile perché le censure erano ‘fortemente aspecifiche’ e ‘reiterative’. Non contestavano nel merito le ragioni del Tribunale di Sorveglianza (basate sulla necessità di prove concrete di dissociazione), ma si limitavano a chiedere una nuova valutazione dei fatti, compito che non spetta alla Corte di Cassazione.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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