Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 435 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 435 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 29/11/2023
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME nato a Catania il 29/07/1958
avverso l’ordinanza del 13/04/2023 del TRIB. SORVEGLIANZA di L’AQUILA udita la relazione svolta dal Consigliere COGNOME
lette le conclusioni del PG, NOME COGNOME che ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità del ricorso;
letta la memoria di replica con cui il difensore del ricorrente avv. NOME COGNOME ha insistito per l’accoglimento del ricorso.
Ritenuto in fatto
Con ordinanza del 13 aprile 2023 il Tribunale di sorveglianza di L’Aquila ha respinto il reclamo contro il decreto del magistrato di sorveglianza di L’Aquila del 15 settembre 2022 che aveva respinto l’istanza di permesso premio presentata dal condannato NOME COGNOME
Il condannato è in espiazione della pena dell’ergastolo per i reati di omicidio volontario aggravato, distruzione di cadavere, associazione a delinquere di tipo mafioso e reati connessi; il condannato sta espiando la pena ininterrottamente dal 1993.
Il Tribunale di sorveglianza ha respinto l’istanza, in quanto ha rilevato che il condannato mostra difficoltà ad individuare le motivazioni della sua adesione con la malavita definendo quel periodo della sua vita come una sorta di impazzimento, ha rilevato che il condannato ha indicato come correo rimasto non identificato di una rapina una persona deceduta, indicazione che la D.D.A. di Catania ha ritenuto non attendibile e volta a coprire i nomi di altre persone ancora in vita facenti parte del clan, ed ha ritenuto che il percorso di revisione critica e di distacco dalle precedenti logiche delinquenziali, avviato in carcere con l’aiuto degli operatori, meriti, a fronte della gravità dei reati commessi, di essere ulteriormente consolidato; la prosecuzione dell’osservazione del detenuto in carcere per un ulteriore periodo nel corso del quale egli potrà dimostrare l’abbandono di quelle logiche devianti, anche attraverso la verifica dei risultati del progetto di giustizi riparativa recentemente intrapreso, appare necessaria per l’ammissione al beneficio.
Avverso il predetto provvedimento ha proposto ricorso il condannato, per il tramite del difensore, che, con unico motivo, di seguito enunciato nei limiti strettamente necessari ai sensi dell’art. 173, comma 1, disp. att. cod. proc. pen., eit e-vt dedykc’è violazione di legge e vizio di motivazione deducendo che al condannato che aspiri al permesso premio non può essere chiesto il sicuro ravvedimento, e che il tenore delle informazioni che riguardano il condannato offre esaustiva contezza di un ravvedimento che supera certamente le soglie del primo approccio con la realtà esterna, e perché l’ordinanza impugnata ha omesso ogni valutazione sul serio proficuo e costante impegno nella risocializzazione, sulla riconosciuta progressione nella rielaborazione del proprio vissuto, sulle richieste di perdono trasmesse al Tribunale di sorveglianza, sull’avvio di un percorso di giustizia riparativa, sulla reiterata disponibilità ad essere interrogato, elementi che avrebbero potuto condurre ad una valutazione di meritevolezza del beneficio.
Con requisitoria scritta, il Procuratore Generale, dr. NOME COGNOME ha chiesto l’inammissibilità del ricorso.
Con memoria di replica il difensore del ricorrente avv. NOME COGNOME ha insistito per l’accoglimento del ricorso.
Considerato in diritto
1. Il ricorso è infondato.
L’art. 30-ter, comma 1, primo periodo, ord. pen. dispone che “ai condannati che hanno tenuto regolare condotta ai sensi del successivo comma 8 e che non
risultano socialmente pericolosi, il magistrato di sorveglianza, sentito il direttore dell’istituto, può concedere permessi premio di durata non superiore ogni volta a quindici giorni per consentire di coltivare interessi affettivi, culturali o di lavoro”
Pertanto, il giudice, in tema di permessi premio, deve accertare la sussistenza di tre requisiti, che sono presupposto logico-giuridico della concedibilità del beneficio: la regolare condotta del detenuto; l’assenza di pericolosità sociale dello stesso; la funzionalità del permesso premio alla coltivazione di interessi affettivi, culturali e di lavoro.
Nel caso in esame, dalla motivazione della ordinanza impugnata si ricava che non vi è questione né sulla regolare condotta del detenuto, né sulla funzionalità del permesso premio alla coltivazione di interessi affettivi, culturali e di lavoro. La questione attiene, invece, alla sussistenza del requisito dell’assenza di pericolosità sociale del detenuto, che il giudice del merito ricava dalla necessità del consolidamento del processo di rivisitazione critica delle proprie condotte preg resse.
Il ricorso attacca l’ordinanza impugnata deducendo che dagli atti, e dalla stessa ordinanza, risulta che il condannato il percorso di revisione critica lo sta compiendo, e, che per l’accesso ad un beneficio minore quale il permesso premio, non può essere richiesto che lo stesso debba essere completato.
L’argomento è infondato. La motivazione dell’ordinanza impugnata chiede che il processo di revisione critica sia consolidato, ed è una richiesta coerente con la giurisprudenza di legittimità che ritiene che, ai fini della concessione del permesso premio di cui all’art. 30-ter ord. pen., oltre al requisito della regolare condotta, giudizio sull’assenza di pericolosità sociale del detenuto debba essere particolarmente rigoroso per i condannati per reati gravi e con lontano fine pena, e che in senso negativo all’assenza di pericolosità depone anche la mancanza di elementi indicativi di una rivisitazione critica del pregresso comportamento deviante (Sez. 1, Sentenza n. 5505 del 11110/2016, dep. 2017, COGNOME, Rv. 269195; conforme Sez. 1, Sentenza n. 9796 del 23/11/2007, dep. 2008, COGNOME, Rv. 239173).
Il ricorso attacca l’ordinanza impugnata deducendo che, nel formulare questo giudizio della necessità di un consolidamento del processo di revisione critica, il Tribunale avrebbe pretermesso la valutazione dell’impegno del condannato nella risocializzazione e nella rielaborazione del proprio vissuto, nonché le richieste di perdono trasmesse al Tribunale di sorveglianza, l’avvio di un percorso di giustizia riparativa, e la stessa reiterata disponibilità ad essere interrogato, ma si tratta di argomenti che non sono in grado di viziare il percorso logico dell’ordinanza impugnata.
Non è, infatti, contrario alle regole della logica che il Tribunale di sorveglianza, nel valutare la genuinità del processo di revisione critica, abbia ritenuto di attribuire rilievo subvalente a comportamenti che non costano alcun sacrificio al condannato (aver scritto una richiesta di perdono, aver dichiarato la disponibilità ad essere interrogato, aver dichiarato la disponibilità ad intraprendere un percorso di giustizia riparativa) e rilievo prevalente a comportamenti che manifestano l’impegno effettivo nel cammino di revisione critica (l’intraprendere il percorso di giustizia riparativa per cui si è dichiarato disponibile ma che non ha ancora intrapreso, il riferire all’autorità giudiziaria il nome dei correi non ancora scoperti dei reati di cui è stato ritenuto responsabile), e che il condannato, nonostante la lunga detenzione, non ha ancora posto in essere.
Qualora sussistenti, tali comportamenti denoterebbero, infatti, in modo più oggettivo l’esistenza di quel percorso di revisione critica che è propedeutico al giudizio di non attuale pericolosità necessario per la concessione del beneficio.
In definitiva, il ricorso è infondato.
Ai sensi dell’art. 616, comma 1, cod. proc. pen., alla decisione consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 29 novembre 2023.