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Permesso premio e pericolosità: la Cassazione decide

La Cassazione ha respinto il ricorso di un detenuto all’ergastolo, confermando il diniego del permesso premio. La Corte ha stabilito che la valutazione della pericolosità sociale deve essere rigorosa, e la mancanza di un consolidato processo di revisione critica del proprio passato criminale è un valido motivo per negare il beneficio, nonostante le dichiarazioni di intenti del condannato.

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Pubblicato il 17 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Permesso Premio e Pericolosità Sociale: la parola alla Cassazione

La concessione di un permesso premio a un detenuto, specialmente se condannato per reati di eccezionale gravità, rappresenta un momento delicato nel percorso di esecuzione della pena. Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha ribadito i rigorosi criteri che i giudici devono seguire, sottolineando come la mancanza di una revisione critica del proprio passato criminale sia un indicatore di persistente pericolosità sociale. Analizziamo insieme questa importante decisione.

I fatti del caso

Il caso riguarda un uomo condannato alla pena dell’ergastolo per reati gravissimi, tra cui omicidio volontario aggravato, distruzione di cadavere e associazione a delinquere di tipo mafioso. Ininterrottamente detenuto dal 1993, l’uomo aveva presentato istanza per ottenere un permesso premio.

Sia il magistrato che il Tribunale di sorveglianza avevano respinto la richiesta. La ragione principale del diniego risiedeva nella valutazione del percorso di revisione critica del condannato, ritenuto non ancora consolidato. I giudici hanno evidenziato diverse criticità: il detenuto descriveva il suo passato criminale come una ‘sorta di impazzimento’, mostrando difficoltà a individuarne le reali motivazioni. Inoltre, aveva indicato come complice di una rapina una persona già deceduta, una mossa interpretata dalle autorità come un tentativo di coprire altri membri del clan ancora in vita. Per questi motivi, il Tribunale ha ritenuto necessario un ulteriore periodo di osservazione per verificare un reale abbandono delle logiche criminali.

Il ricorso in Cassazione

La difesa del condannato ha presentato ricorso in Cassazione, sostenendo che per un beneficio ‘minore’ come il permesso premio non si possa esigere un ravvedimento completo e sicuro. Secondo il ricorrente, il Tribunale avrebbe omesso di valutare elementi positivi come il serio impegno nella risocializzazione, la richiesta di perdono, l’avvio di un percorso di giustizia riparativa e la disponibilità a essere interrogato. Tutti elementi che, a dire della difesa, avrebbero dovuto portare a una valutazione favorevole.

I Requisiti del Permesso Premio secondo la Cassazione

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso infondato, confermando la decisione del Tribunale di sorveglianza. I giudici di legittimità hanno ricordato i tre presupposti fondamentali per la concessione del beneficio, stabiliti dall’art. 30-ter dell’ordinamento penitenziario:

1. Regolare condotta del detenuto.
2. Assenza di pericolosità sociale.
3. Funzionalità del permesso a coltivare interessi affettivi, culturali o di lavoro.

Nel caso di specie, la questione centrale non era la condotta o la funzionalità del permesso, ma proprio la sussistenza della pericolosità sociale. La Corte ha chiarito che il giudizio su questo requisito deve essere particolarmente rigoroso per i condannati a pene lunghe per reati gravi.

La valutazione della revisione critica

La Cassazione ha affermato che la richiesta del Tribunale di un ‘consolidamento’ del processo di revisione critica è pienamente coerente con la giurisprudenza. La mancanza di elementi che indichino una profonda e genuina riconsiderazione del proprio passato deviante è un fattore che depone in senso negativo sulla valutazione della pericolosità. Il percorso logico del Tribunale di sorveglianza è stato ritenuto corretto: ha dato minor peso a comportamenti che non costano sacrifici (come scrivere una lettera di perdono o dichiararsi disponibile a un colloquio) e maggior rilievo a gesti concreti che manifestano un reale cambiamento, gesti che il condannato non aveva ancora compiuto.

Le motivazioni

La Corte Suprema ha spiegato che non è illogico attribuire un valore ‘subvalente’ a comportamenti dichiarativi e un rilievo ‘prevalente’ a comportamenti che manifestano un impegno effettivo nel cammino di revisione critica. Azioni come intraprendere concretamente un percorso di giustizia riparativa (e non solo dichiararsi disponibile) o riferire all’autorità giudiziaria i nomi di complici non ancora scoperti sarebbero indicatori molto più oggettivi di un reale percorso di cambiamento. Poiché il condannato, nonostante la lunga detenzione, non aveva ancora posto in essere tali comportamenti, il giudizio sulla sua non attuale pericolosità non poteva che essere negativo. La persistenza di una pericolosità sociale, anche solo potenziale, è propedeutica a ogni valutazione sulla concessione del beneficio.

Le conclusioni

In definitiva, la sentenza riafferma un principio cruciale: per la concessione del permesso premio, specialmente in contesti di criminalità organizzata e reati gravissimi, le mere dichiarazioni di intenti non sono sufficienti. Il giudice deve cercare prove concrete e oggettive di un cambiamento profondo, che si manifesta attraverso un consolidato processo di revisione critica del passato. Questo processo non può essere considerato concluso fino a quando il condannato non compie atti che dimostrino in modo inequivocabile il suo distacco dalle logiche criminali. La decisione sottolinea la necessità di un approccio rigoroso e attento nella valutazione della pericolosità sociale, a tutela della collettività.

Quando può essere negato un permesso premio a un detenuto?
Un permesso premio può essere negato quando manca uno dei tre requisiti fondamentali: la regolare condotta, la funzionalità del permesso a coltivare interessi positivi e, soprattutto, l’assenza di pericolosità sociale. La sentenza specifica che per reati gravi, la valutazione della pericolosità deve essere particolarmente rigorosa.

Una semplice dichiarazione di pentimento è sufficiente per ottenere un permesso premio?
No. Secondo la Corte di Cassazione, comportamenti che non implicano un sacrificio per il condannato (come scrivere una richiesta di perdono o dichiararsi disponibile a essere interrogato) hanno un valore inferiore rispetto ad azioni concrete che dimostrano un effettivo cambiamento e distacco dal passato criminale.

Come viene valutata la ‘revisione critica’ del passato criminale di un detenuto?
La revisione critica viene valutata attraverso l’analisi del percorso del detenuto. La sua genuinità è messa in dubbio se il condannato mostra difficoltà a comprendere le motivazioni delle sue azioni passate o se compie atti ambigui (come accusare persone decedute per proteggere complici vivi). La valutazione richiede la presenza di elementi indicativi di un processo di cambiamento consolidato e non solo iniziale.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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