Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 23717 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 1 Num. 23717 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 01/04/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da
NOME COGNOME nato a Sinopoli il 21/3/1979
avverso l’ordinanza del Tribunale di Sorveglianza di Roma del 19/11/2024
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME;
lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha chiesto l’annullamento con rinvio dell’ordinanza impugnata;
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza resa in data 19.11.2024, il Tribunale di Sorveglianza di Roma ha provveduto su un reclamo presentato avverso il provvedimento di rigetto del Magistrato di sorveglianza di Roma di una istanza di permesso premio di COGNOME NOMECOGNOME detenuto all’ergastolo per i reati di omicidio e tentata rapina commessi nel 2007.
L’ordinanza premette che il Magistrato di sorveglianza ha formulato un giudizio di attuale pericolosità sociale del detenuto sulla base dell’insufficiente revisione critica, a fronte della gravità dei reati commessi, e della sua contiguità a contesti di ‘ndrangheta, come riferita dalle forze dell’ordine.
Dando atto che la difesa ha lamentato l’omessa considerazione dei positivi risultati dell’osservazione e del parere favorevole della Direzione, il Tribunale rileva che la relazione di sintesi attesta che COGNOME si è assunto la responsabilità dei reati commessi, attribuendoli alla giovane età e alle cattive compagnie e che ha maturato una positiva progettualità futura, raggiungendo negli ultimi mesi ‘una più adeguata e congrua maturità’. Di contro, i Carabinieri di Gioia Tauro hanno delineato uno spiccato grado di pericolosità sociale del condannato, desumibile anche dalla protratta latitanza di circa due anni e dalla contiguità della cosca COGNOME, cui risulta affiliato un suo zio.
Di conseguenza, il Tribunale di sorveglianza condivide il giudizio del Magistrato di sorveglianza, in quanto, alla luce delle informazioni delle forze dell’ordine, è necessario che COGNOME affronti esplicitamente la problematica della contiguità con contesti di criminalità organizzata, che verosimilmente hanno favorito la sua latitanza e che interessano anche la sua famiglia.
Avverso la predetta ordinanza, ha proposto ricorso il difensore di COGNOME articolando un unico motivo, con cui deduce violazione di legge con riferimento all’art. 30 -ter Ord. Pen. e difetto di motivazione con riguardo alla sussistenza della pericolosità sociale.
Quanto alla contiguità con ambienti di ‘ ndrangheta, il ricorso oppone che COGNOME non ha mai commesso reati aggravati dall’art. 7 L. 203 del 1991 o dall’art. 416 -bis .1 cod. pen., che né il padre né il fratello hanno mai riportato condanne in sede penale e che la sua latitanza non è stata favorita dalla ‘ndrangheta.
Il Tribunale di sorveglianza non ha tenuto conto della lontana epoca di commissione dei reati e ha valorizzato elementi solo apoditticamente affermati, e cioè che la cosca COGNOMECOGNOMECOGNOME avrebbe favorito la sua latitanza.
La motivazione contrasta con quanto relazionato dall’equipe di osservazione, la quale ha evidenziato che dalla relazione socio familiare emergeva ‘un quadro normoinserito’ e la disponibilità all’accoglienza del congiunto in caso di concessione di benefici. COGNOME ha un encomiabile percorso detentivo, in cui non ha solo partecipato a numerose attività, ma si è anche assunto la piena responsabilità dei suoi errori.
L’ordinanza, invece, ha individuato la ragione del rigetto dell’istanza nel fatto che il condannato non avesse affrontato esplicitamente la problematica della sua contiguità con contesti di criminalità organizzata sulla base di argomentazioni
deficitarie quanto al profilo della loro attualità, laddove invece la pericolosità sociale è ostativa alla concessione del permesso premio solo se è prossima al momento in cui il permesso viene richiesto. Il Tribunale di sorveglianza, invece, non ha individuato gli elementi in base a cui concludere per la sussistenza di un rischio attuale e concreto di riavvicinamento a contesti di criminalità organizzata, valorizzando la latitanza, che risaliva tuttavia al 2007, e la contiguità alla cosca dello zio, senza però operare alcun riferimento alla natura e al tipo del presunto legame.
Con requisitoria scritta trasmessa l’11 .3.2025, il Sostituto Procuratore generale ha chiesto l’annullamento con rinvio dell’ordinanza impugnata, in quanto non congruamente motivata alla stregua dell’orientamento della giurisprudenza di legittimità secondo cui, in tema di concessione del permesso premio, non costituisce elemento ostativo, il mancato completamento del processo di revisione critica del vissuto criminale, potendo ritenersi sufficiente che tale processo abbia avuto inizio in modo significativo; il Tribunale, invece, non ha apprezzato le osservazioni della difesa, che conte stano in radice l’esistenza di contiguità con la criminalità organizzata.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è fondato nei termini di seguito esposti.
I permessi premio, ai sensi dell’art. 30 -ter L. n. 354 del 1975, possono essere concessi ai detenuti che abbiano tenuto una regolare condotta durante la detenzione e che non risultino socialmente pericolosi.
Nel caso di specie, il Tribunale di Sorveglianza di Roma ha dato atto che la relazione di sintesi assicuri la regolarità della condotta detentiva del ricorrente e la sua assunzione di responsabilità per i reati commessi, ma ha al contempo ritenuto che sia tuttora sussistente la pericolosità sociale di COGNOME, desumendola dal fatto che egli non affronti la problematica della contiguità con la criminalità organizzata.
Prima ancora, quindi, l’ordinanza impugnata si fonda sul presupposto che il ricorrente e la sua famiglia siano contigui alla ‘ndrangheta, ricavandolo da una nota dei Carabinieri di Gioia Tauro, i quali affermano la sua vicinanza alla criminalità organizzata e, in particolare, ad una cosca cui sarebbe affiliato un suo zio.
Di qui, la conclusione dei giudici di sorveglianza, secondo cui è necessario che COGNOMEaffronti esplicitamente la problematica della riferita contiguità con contesti
di criminalità organizzata, che verosimilmente hanno favorito la sua latitanza e che toccano anche il contesto familiare’.
Il ricorso contesta , tra l’altro, proprio il dato della presunta contiguità del condannato e della sua famiglia con ambienti di ‘ndrangheta, e lo fa sulla base di tre precisi elementi: a) COGNOME non ha mai commesso reati aggravati dal metodo mafioso o dal fine di agevolare associazioni a delinquere di stampo mafioso; b) i componenti del suo nucleo familiare sono incensurati; c) la sua latitanza, in occasione della commissione dei reati per cui è detenuto, non è stata favorita dalla ‘ndrangheta.
Gli atti che sono stati allegati al ricorso a fini di autosufficienza sono suscettibili di comprovare tali affermazioni.
In primo luogo, la nota dei Carabinieri di Gioia Tauro del 14.5.2024 dà atto che COGNOME annoveri una serie di condanne per fatti delittuosi precedenti a quelli per cui gli è stata inflitta la pena oggi in espiazione, nessuno dei quali, tuttavia, riguarda reati in qualche modo riconducibili alla criminalità organizzata: del resto, non emergevano circostanze contrarie nemmeno dall’ordinanza impugnata.
In secondo luogo, al ricorso sono allegati i certificati del casellario giudiziale del padre e del fratello di NOMECOGNOME dai quali non risultano precedenti condanne a loro carico.
In terzo luogo, è stata prodotta la copia della sentenza irrevocabile di condanna del soggetto ritenuto responsabile di aver favorito nel 2009 la latitanza del ricorrente (successivamente alla commissione dei delitti di omicidio, rapina, porto e detenzione di armi) , dalla quale non risulta che l’ausilio prestato al ricercato sia riconducibile a indebite inframmettenze di ‘ndrangheta, né che il favoreggiatore sia soggetto appartenente alla criminalità organizzata o comunque gravitante in contesti ad essa con COGNOME (anch’egli figurava incensurato).
A tutto ciò si aggiunga che, per quanto risulta dalla stessa ordinanza impugnata, quelli per cui COGNOME si trova detenuto in esecuzione di pena non sono, a loro volta, fatti di criminalità organizzata.
Si può ritenere, pertanto, che l’affermazione dei giudi ci di sorveglianza secondo cui COGNOME è contiguo ad una cosca del Reggino sia stata sostanzialmente mutuata dal contenuto della nota redatta dai Carabinieri, in risposta alla richiesta dell’autorità giudiziaria di avere informazioni sulla pericolosità sociale del detenuto.
Si riportano, di seguito, gli elementi di fatto che la polizia giudiziaria ha indicato a sostegno della propria conclusione di perdurante pericolosità sociale del ricorrente.
In primo luogo, il contesto familiare in cui NOME è cresciuto, risultando segnalazioni di polizia a carico del padre NOME e del fratello NOME in materia di armi e stupefacenti: non è dato desumersi se per ‘segnalazioni’ si intendano anche ‘denunce’ o addirittura ‘procedimenti penali’ a loro carico, ma sta di fatto che entrambi sono tuttora immuni da precedenti penali.
In secondo luogo, la circostanza che prima del suo arresto COGNOMEera solito accompagnarsi con persone … riconducibili alla cosca di ‘ndrangheta degli COGNOME -VioliMacrì di Sinopoli’: nessuna informazione viene offerta, tuttavia, circa l’identità di tali p ersone, il loro livello di appartenenza alla criminalità organizzata e le circostanze in cui la frequentazione avveniva.
In terzo luogo, il fatto che lo zio materno di COGNOME, COGNOME NOME, sarebbe ‘ affiliato ‘ alla cosca in questione: ma non si precisa da quali dati, anche di tipo giudiziario o almeno investigativo, si tragga la notizia dell’atto individuale di adesione all’associazione mafiosa del soggetto in questione e con quali concrete modalità si sia eventualmente manifestata la sua messa a disposizione della criminalità organizzata.
Come si vede, dunque, gli elementi sulla base dei quali è stata ritenuta la contiguità di COGNOME NOME alla ‘ndrangheta si connotano per una certa genericità, se non proprio, in qualche passaggio, per una certa imprecisione.
Di contro, rimane il dato, pur messo in evidenza dall’ordinanza impugnata, che il ricorrente, ininterrottamente detenuto da oltre quindici anni, abbia in corso un positivo percorso trattamentale e una progressiva presa di coscienza rispetto ai reati commessi, che sono ben illustrati nella Relazione di sintesi aggiornata del 22.2.2024 (pure allegata al ricorso) e che hanno convinto l’Equipe di osser vazione e trattamento ad esprimere parere favorevole alla concessione di un permesso premio, da fruirsi peraltro presso una struttura protetta.
Il parere in questione non è vincolante e tuttavia, in quanto espresso sulla base di elementi di fatto che sono stati puntualmente evidenziati, il suo superamento necessita della esplicitazione delle ragioni contrarie che abbiano convinto l’autorità giudiziaria a disattenderlo o comunque a non tenerne conto.
Sotto questo profilo, deve ritenersi che la motivazione dell’ordinanza impugnata -la quale individua nella contiguità del ricorrente alla criminalità organizzata il dato dirimente che non rende meritevole il detenuto della concessione del permesso premio -sia complessivamente carente e incoerente.
Infatti, la vicinanza di COGNOME e della sua famiglia alla ‘ndrangheta è stata affermata sulla base di elementi generici ovvero in sé scarsamente significativi, che sono stati utilizzati per inferirne una conclusione non logicamente supportata di pericolosità sociale del detenuto, fondata sulla mancata dissociazione da un
contesto di criminalità organizzata in cui tuttavia COGNOME è stato ritenuto coinvolto in virtù di informazioni controvertibili e parziali.
Alla luce di quanto fin qui osservato, pertanto, l’ordinanza impugnata deve essere annullata con rinvio al Tribunale di Sorveglianza di Roma, per un nuovo