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Permesso premio: concesso senza collaborazione giustizia

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso del Procuratore Generale contro la concessione di un permesso premio a un detenuto condannato all’ergastolo per reati ostativi. La Corte ha confermato la decisione del Tribunale di Sorveglianza, ritenendo che, nonostante la mancata collaborazione con la giustizia, fossero presenti elementi sufficienti a dimostrare la dissociazione del detenuto dal contesto criminale e l’assenza di un pericolo di ripristino dei legami, in linea con la nuova normativa dell’art. 4-bis dell’Ordinamento Penitenziario.

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Pubblicato il 12 dicembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Permesso Premio Senza Collaborazione: La Cassazione Apre alla Rieducazione

Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha affrontato il delicato tema della concessione del permesso premio a un detenuto condannato all’ergastolo per reati di criminalità organizzata, senza che questi abbia mai collaborato con la giustizia. La decisione, che conferma l’orientamento inaugurato dalle riforme legislative, pone l’accento sulla possibilità di dimostrare la dissociazione dal mondo criminale attraverso elementi concreti, diversi dalla collaborazione.

I Fatti del Caso

Il caso riguarda un detenuto in espiazione di una pena dell’ergastolo, con isolamento diurno, per gravissimi reati. Il Magistrato di Sorveglianza gli aveva concesso un permesso premio di sei ore. Contro tale decisione, il Procuratore della Repubblica aveva proposto reclamo, che è stato respinto dal Tribunale di Sorveglianza. Quest’ultimo aveva ritenuto sussistenti elementi per escludere l’attualità di collegamenti con la criminalità organizzata e il pericolo di un loro ripristino. Il Procuratore Generale presso la Corte di Appello ha quindi proposto ricorso in Cassazione, lamentando una valutazione insufficiente dei pareri negativi della Direzione Distrettuale Antimafia e della Direzione Nazionale Antimafia, che evidenziavano la rinnovata operatività del clan di appartenenza del detenuto.

La Questione Giuridica: Permesso Premio e la Prova della Dissociazione

Il nucleo della questione giuridica risiede nell’interpretazione dell’articolo 4-bis, comma 1-bis, dell’Ordinamento Penitenziario, come modificato dal D.L. n. 162/2022. La norma stabilisce che i benefici penitenziari possono essere concessi anche ai condannati per reati ostativi non collaboranti, a condizione che dimostrino l’adempimento delle obbligazioni civili (o l’impossibilità di farlo) e forniscano elementi specifici che consentano di escludere sia l’attualità dei legami con la criminalità organizzata, sia il pericolo che tali legami vengano ripristinati. La Corte era chiamata a stabilire se la valutazione del Tribunale di Sorveglianza avesse adeguatamente ponderato tutti gli elementi, inclusi i pareri negativi delle procure antimafia, nel concedere il permesso premio.

La Decisione della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso infondato, rigettandolo e confermando così la decisione del Tribunale di Sorveglianza. I giudici di legittimità hanno ritenuto che l’ordinanza impugnata avesse correttamente applicato i principi della nuova normativa, motivando in modo ampio e approfondito l’asserita dissociazione di fatto e la revisione critica compiute dal detenuto.

Le Motivazioni della Sentenza

La Corte ha sottolineato che il Tribunale di Sorveglianza ha basato la sua decisione non solo sulle relazioni di sintesi, ma su comportamenti concreti tenuti dal detenuto negli ultimi anni. Tra questi, la lunga detenzione sofferta, il ruolo non apicale ricoperto all’interno del clan all’epoca dei fatti e l’assenza di contatti con i familiari coinvolti nella riorganizzazione del sodalizio criminale. Inoltre, è stata valorizzata la provata impossibilità di adempiere alle obbligazioni civili, sostituita da una partecipazione attiva a programmi di giustizia riparativa, come la testimonianza in convegni pubblici sull’omicidio di un giudice di cui era stato condannato. La Corte ha ritenuto che il Tribunale avesse esaminato in modo approfondito i pareri negativi della DDA e della DNAA, concludendo motivatamente che questi si basavano principalmente sulla ripresa operativa del clan, senza però fornire indizi concreti sull’esistenza di rapporti, anche passati, tra il detenuto e i nuovi vertici dell’associazione. L’ordinanza impugnata, secondo la Cassazione, ha operato una valutazione attenta e consapevole dell’elevato spessore criminale del soggetto, bilanciandolo con la nuova formulazione della legge e con l’osservazione della sua personalità attuale e dei suoi comportamenti recenti.

Le Conclusioni

Questa sentenza consolida un principio fondamentale introdotto dalla riforma dell’art. 4-bis: la collaborazione con la giustizia non è più l’unica via per accedere ai benefici penitenziari per i condannati per reati ostativi. La decisione ribadisce che il giudice di sorveglianza deve compiere un esame concreto degli elementi ‘individualizzanti’ del percorso rieducativo del detenuto. È possibile dimostrare una reale e definitiva rottura con il passato criminale attraverso una condotta carceraria esemplare, una partecipazione attiva a percorsi trattamentali e una profonda revisione critica del proprio passato, anche in assenza di collaborazione. La pronuncia chiarisce che i pareri delle procure antimafia, sebbene importantissimi, non sono vincolanti e devono essere supportati da elementi specifici che dimostrino un concreto e attuale pericolo di riattivazione dei legami criminali, non potendosi fondare solo sulla pericolosità dell’associazione di appartenenza.

Un detenuto condannato per reati ostativi che non collabora con la giustizia può ottenere un permesso premio?
Sì, può ottenerlo a condizione che fornisca elementi specifici, diversi dalla sola buona condotta, che dimostrino l’assenza di collegamenti attuali con la criminalità organizzata e del pericolo di un loro ripristino, oltre ad aver adempiuto alle obbligazioni civili o a dimostrare l’impossibilità di farlo.

Quali elementi possono dimostrare la dissociazione dal contesto criminale in assenza di collaborazione?
Elementi come la lunga detenzione sofferta, un ruolo secondario ricoperto in passato nel clan, l’assenza di contatti con familiari ancora attivi nel sodalizio, una profonda revisione critica del proprio passato e la partecipazione attiva a programmi di giustizia riparativa possono essere valutati positivamente dal giudice.

Come vengono valutati i pareri negativi delle procure antimafia?
I pareri negativi delle procure antimafia vengono esaminati approfonditamente dal giudice, ma non sono vincolanti. Perché siano decisivi, devono essere supportati da indizi concreti sull’esistenza di rapporti, anche passati, tra il detenuto e l’associazione, e non possono basarsi unicamente sulla generica pericolosità del clan di appartenenza.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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