Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 22250 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 22250 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 17/04/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da
COGNOME NOME, nato a Sanvitelle il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza emessa il 07/11/2023 dal Tribunale di sorveglianza dell’Aquila visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal AVV_NOTAIO NOME COGNOME; lette le conclusioni del AVV_NOTAIO Procuratore generale NOME COGNOME, che ha chiesto l’inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza emessa il 7 novembre 2023 il Tribunale di sorveglianza dell’Aquila rigettava l’istanza di permesso premio presentata da NOME COGNOME, ai sensi dell’art. 30 -ter legge 26 luglio 1975, n. 354 (Ord. pen.).
Il rigetto del ricorso veniva pronunciato dal Tribunale di sorveglianza dell’Aquila sull’assunto che, pur avendo COGNOME intrapreso un percorso di collaborazione con la giustizia, rilevante ex art. 16 -nonies decreto-legge 15 gennaio 1991, n. 8, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 marzo 1991, n. 82, non erano emersi elementi tali da consentire di affermare che il condannato avesse dato prova di avere intrapreso un percorso di revisione critica che gli consentisse di beneficare del permesso premio invocato. Né era possibile affermare, sic et simpliciter, la ricorrenza di tali elementi positivi di giudizio, rilevanti ai sensi dell’art. 30-ter Ord. pen., per il solo fatto che l’istante er collaboratore di giustizia.
Avverso questa ordinanza NOME COGNOME, a mezzo dell’AVV_NOTAIO, ricorreva per cassazione, articolando tre, correlate, censure difensive.
Con il primo motivo di ricorso si deduceva la violazione di legge del provvedimento impugnato, in riferimento all’art. 58 -ter Ord. pen., per non avere il Tribunale di sorveglianza dell’Aquila dato esaustivo conto delle ragioni che non consentivano di ritenere sussistenti i presupposti per la concessione del permesso premio invocato da NOME COGNOME, ex art. 30 -ter Ord. pen., a fronte dello status di collaboratore di giustizia capitalizzato, tuttora perdurante, del ricorrente.
Con il secondo motivo di ricorso si deduceva la violazione di legge del provvedimento impugnato, per non avere la decisione in esame dato adeguato conto delle ragioni che non consentivano di ritenere sussistenti i presupposti per la concessione del beneficio penitenziario invocato, a fronte dei pareri favorevoli espressi dalla RAGIONE_SOCIALE e dalla RAGIONE_SOCIALE, che davano atto del percorso di revisione critica, avviato e positivamente completato, da COGNOME.
Con il terzo motivo di ricorso si deduceva la violazione di legge del provvedimento impugnato, in riferimento all’art. 16 -nonies decreto-legge n. 8 del 1991, per non avere la decisione in esame dato adeguato conto delle ragioni che non consentivano di ritenere sussistenti i presupposti per la concessione permesso premio di cui all’art. 30-ter Ord. pen. a fronte della relazione redatta
dall’Ufficio osservazione e trattamento il 3 novembre 2021, dalla quale si evinceva il definitivo consolidamento del percorso di revisione critica avviato da COGNOME, dopo la sua risalente apertura alla collaborazione con la giustizia.
Le considerazioni esposte imponevano l’annullamento dell’ordinanza impugnata.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso proposto da NOME COGNOME è fondato nei termini di seguito indicati.
Occorre premettere che la materia dei permessi premio è stata sottoposta a un profonda rivisitazione sistematica a seguito della sentenza della Corte costituzionale 22 ottobre 2019, n. 253, che dichiarava l’illegittimità costituzionale dell’art. 4 -bis, comma 1, Ord. pen., nella parte «in cui non esclude dal divieto di concessione dei benefici penitenziari, da esso stabilito, la misura della detenzione domiciliare speciale prevista dall’art. 47 – quinquies della medesima legge» e nella parte «in cui non esclude dal divieto di concessione dei benefici penitenziari, da esso stabilito, la misura della detenzione domiciliare prevista dall’art. 47 -ter, comma 1, lettere a) e b), della medesima legge, ferma restando la condizione dell’insussistenza di un concreto pericolo di commissione di ulteriori delitti» (Corte cost., sent. n. 253 del 2019).
In conseguenza di tale declaratoria di incostituzionalità, la disciplina dell’ergastolo ostativo veniva sottoposta a una radicale rivisitazione per effetto dell’approvazione del decreto-legge 31 ottobre 2022, n. 162, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 dicembre 2022, n. 304.
Questa normativa introduce alcuni significativi elementi di novità nella disciplina dell’ergastolo ostativo, così come prefigurata dall’art. 4 -bis Ord. pen., sui quali occorre, sia pure sinteticamente, soffermarsi, muovendo dalle condizioni in presenza delle quali il detenuto può godere dei benefici penitenziari, previste dall’art. 1, lett. a), n. 2, del decreto-legge n. 162 del 2022.
Occorre, in proposito, precisare che il decreto-legge n. 162 del 2022 opera una distinzione tra i vari illeciti che compongono il catalogo dei reati previst dall’art. 4 -bis Ord. pen.
Il decreto-legge n. 162 del 2022, innanzitutto, disciplina i delitti compresi nel catalogo dei reati riconducibili alla criminalità organizzata, ai quali dedica previsioni contenute nell’art. 4 -bis, commi 1 -bis, Ord. pen., con cui ci si deve confrontare nel valutare la posizione di COGNOME.
Si dedica, invece, una disciplina separata per i residui delitti, compresi nel catalogo dei reati previsti dall’art. 4-bis Ord. pen. ma non riconducibili alla criminalità organizzata, che sono elencati nel comma 1.-bis.1 della stessa disposizione.
Più precisamente, secondo quanto previsto dall’art. 4-bis, comma 1-bis, Ord. pen., per gli autori di reati riconducibili alla criminalità organizzata, concessione dei benefici penitenziari presuppone che i detenuti «dimostrino l’adempimento delle obbligazioni civili e degli obblighi di riparazione pecuniaria conseguenti alla condanna o l’assoluta impossibilità di tale adempimento e alleghino elementi specifici, diversi e ulteriori rispetto alla regolare condott carceraria, alla partecipazione del detenuto al percorso rieducativo e alla mera dichiarazione di dissociazione dall’organizzazione criminale di eventuale appartenenza, che consentano di escludere l’attualità di collegamenti con la criminalità organizzata, terroristica o eversiva e con il contesto nel quale il reato è stato commesso, nonché il pericolo di ripristino di tali collegamenti, anche indiretti o tramite terzi, tenuto conto delle circostanze personali e ambientali, delle ragioni eventualmente dedotte a sostegno della mancata collaborazione, della revisione critica della condotta criminosa e di ogni altra informazione disponibile ».
Nell’ultimo periodo dell’art. 4-bis, comma 1-bis, Orci. pen., infine, si stabilisce: «Al fine della concessione dei benefici, il giudice accerta altresì l sussistenza di iniziative dell’interessato a favore delle vittime, sia nelle form risarcitorie che in quelle della giustizia riparativa».
A questi parametri normativi, il Tribunale di sorveglianza dell’Aquila, tenuto conto della condizione di collaboratore di giustizia del ricorrente, non si conformava correttamente.
Il Tribunale di sorveglianza dell’Aquila, invero, non si confrontava adeguatamente con lo status di collaboratore di giustizia sottoposto a capitalizzazione di NOME COGNOME, che imponeva di valutare, alla luce di tale peculiare condizione, la sussistenza dei requisiti prescritti per l concessione del permesso premio invocato ex art. 30-ter Ord. pen. Tali carenze motivazionali, peraltro, appaiono ancora più significative alla luce del fatto che gli ultimi pareri rilasciati dalla RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE e dalla RAGIONE_SOCIALE, così come richiamati dal suo difensore, erano favorevoli al ricorrente.
Si trascurava, al contempo, di valutare il percorso rieducativo avviato dal ricorrente durante la sua detenzione, indispensabile per valutare la sussistenza di un processo di revisione critica funzionale all’ottenimento di un beneficio
penitenziario; omissione valutativa che assumeva un rilievo ancora maggiore alla luce del fatto che dalla relazione redatta dall’Ufficio osservazione e trattamento il 3 novembre 2021 si evinceva un atteggiamento di piena collaborazione con le istituzioni carcerarie.
Tali conclusioni, a ben vedere, appaiono in contrasto con le conclusioni della Corte costituzionale, che, con la sentenza n. 253 del 2019, affermava l’inammissibilità di presunzioni che impediscano alla magistratura di sorveglianza di valutare in concreto la pericolosità sociale del condannato, facendo ricorso a indici presuntivi che comportino il sacrificio delle istanze di rieducazione del condannato (Corte cost., sent. n. 253 del 2019, cit.).
Si ribadivano, in tal modo, i principi della progressività trattamentale e della flessibilità della pena radicati nell’art. 27, terzo comma, Cost., che garantisce i graduale inserimento del condannato all’ergastolo nel contesto sociale, evidenziando che, rispetto a tali scopi d’educativi, la normativa censurata frustrava gli obiettivi perseguiti dai benefici penitenziari (Corte cost., sent. 253 del 2019, cit.).
3.1. In questa cornice, deve rilevarsi che è certamente vero che il percorso di revisione critica del detenuto è un elemento di difficile verifica, essendo legato al suo mondo interiore e collegandosi a un riscatto morale del reo, valutabili in una prospettiva globale, che consideri tutti gli atti e le manifestazioni dell condotta del condannato, di contenuto materiale e morale, idonei ad assumere un valore sintomatico nella direzione prefigurata dall’art. 30-ter Ord. pen. Questo requisito, quindi, presuppone un comportamento attivo di pronta e costante adesione alle regole trattamentali, concretamente verificabile sulla base degli elementi di giudizio forniti dalle istituzioni penitenziarie, che, nel caso in l’istante sia un collaboratore di giustizia, deve tenere ulteriormente conto del percorso collaborativo intrapreso dal condannato e del consolidamento nel tempo degli effetti positivi del processo di revisione critica.
Tuttavia, ferme restando tali difficoltà di accertamento, il Tribunale di sorveglianza dell’Aquila non dava adeguatamente conto delle modalità di partecipazione di COGNOME all’opera di rieducazione attivata nei suoi confronti dopo l’apertura alla collaborazione e della sua peculiare condizione di collaboratore di giustizia sottoposto a capitalizzazione, che, peraltro, erano state valutate positivamente dalla RAGIONE_SOCIALE, dalla RAGIONE_SOCIALE e dall’Ufficio osservazione e trattamento.
Occorreva, invero, formulare un giudizio prognostico fondato sul percorso trattamentale svolto da COGNOME dopo l’apertura alla collaborazione con la giustizia, che fosse in grado di supportare il vaglio della personalità del ricorrente, in termini di elevata probabilità di conformazione al quadro
ordinamentale e sociale a suo tempo violato, che doveva essere correlata al beneficio penitenziario invocato ex art. 30-ter Ord. pen., che non è riscontrabile nel caso in esame.
Le considerazioni esposte impongono conclusivamente l’annullamento dell’ordinanza impugnata, con il conseguente rinvio al Tribunale di sorveglianza dell’Aquila per un nuovo giudizio, che dovrà essere eseguito in conformità dei principi che si sono enunciati.
P.Q.M.
Annulla l’ordinanza impugnata con rinvio per nuovo giudizio al Tribunale di sorveglianza dell’Aquila.
Così deciso il 17 aprile 2024.