Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 637 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 637 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 23/10/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a Vibo Valentia il 08/07/1975
avverso l’ordinanza del 30/05/2024 del TRIB. SORVEGLIANZA di Roma visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
letta la requisitoria del Pubblico ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo la declaratoria di inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza in data 2 maggio 2023, il Tribunale di sorveglianza di Roma aveva respinto il reclamo avverso il rigetto della richiesta di permesso premio di cui al decreto del Magistrato di sorveglianza di Roma in data 17 maggio 2022 proposto nell’interesse di NOME COGNOME collaboratore di giustizia, detenuto nella Casa di reclusione di Alessandria in espiazione della pena di 30 anni di reclusione inflitta con sentenza della Corte di assise di appello di Catanzaro del 20 febbraio 2018 per concorso in omicidio, consumato e tentato, aggravato dal metodo mafioso ex art. 7, legge n. 203 del 1991 e detenzione illegale di armi, commessi il 21 marzo 2012, con inizio pena al 10 dicembre 2012 e fine pena al 17 marzo 2040. Secondo il Collegio, infatti, doveva ritenersi necessario un ulteriore periodo di osservazione intramuraria alla luce del recente avvio del percorso collaborativo di Comito, dell’estrema gravità dei reati da lui commessi, di alcuni dubbi sulla effettiva rielaborazione critica del suo ingresso in contesti di ‘ndrangheta, rispetto al quale aveva reso dichiarazioni non prive di opacità.
1.1. Con sentenza in data 29 novembre 2023, la Prima Sezione della Corte di cassazione annullò l’ordinanza del Tribunale. Secondo il Collegio di legittimità, infatti, l’insufficiente rivisitazione critica del proprio passato criminale da parte detenuto era stata affermata senza elementi oggettivi di riscontro, quali, ad esempio, la mancanza di consapevolezza del disvalore delle condotte criminali, il mancato contatto con le vittime, il mancato inizio di percorsi di giustizia riparativa.
1.2. Con ordinanza in data 30 maggio 2024, il Tribunale di sorveglianza di Roma ha nuovamente rigettato il reclamo proposto nell’interesse di COGNOME, rilevando che la regolarità della condotta tenuta nel corso della detenzione, la correttezza mostrata nello svolgimento del lavoro intrannurario, l’interesse manifestato negli studi liceali avviati in carcere e le parole di pentimento pronunciate nel corso dell’osservazione della personalità non potevano ritenersi sufficienti a integrare il requisito del ravvedimento previsto dall’art. 16-nonies, commi 2 e 3, d.l. n. 8 del 1991. Ciò in considerazione della gravità dei suoi trascorsi criminali e del fatto che il «ravvedimento» presuppone un mutamento profondo della personalità, nella specie non ancora accertato in ragione di una scelta collaborativa ancora troppo recente, della incongrua ricostruzione dell’inizio della militanza nella ‘ndrangheta, della mancanza di un contatto con le vittime o dell’inizio di percorsi di giustizia riparativa.
Connito ha proposto ricorso per cassazione avverso il provvedimento emesso in sede di rinvio per mezzo del difensore di fiducia, avv. NOME COGNOME deducendo due distinti motivi di impugnazione, di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
2.1. Con il primo motivo, il ricorso lamenta, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., la inosservanza o erronea applicazione della legge penale, nonché la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione. Il Tribunale avrebbe riproposto una decisione vuota di contenuti, fondata sulle medesime valutazioni del provvedimento annullato, obliterando lo spessore collaborativo del detenuto, riconosciuto anche dalla Direzione Nazionale Antimafia, e le positive risultanze dei pareri offerti dal personale penitenziario degli istituti in cui è stato ristretto; ed enfatizzando, invece, la durata, ritenuta anco modesta, del percorso collaborativo nonché i gravi reati commessi, risalenti a 13 anni prima. La decisione del Tribunale condurrebbe a un rinvio sine die della possibilità per Comito di accedere ai benefici extramurari.
2.2. Con il secondo motivo, il ricorso censura, ex art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., la contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in relazione al mancato riconoscimento del requisito del «ravvedimento». Il Tribunale non avrebbe considerato le positive risultanze delle relazioni predisposte dal personale penitenziario (quali quelle redatte nel carcere di Aosta nel novembre 2020 e nel carcere di Paliano nel 2022-2023) da cui emergerebbe «consapevolezza e riconoscimento degli errori commessi», il fatto che egli non avrebbe minimizzato le proprie responsabilità, che da tempo parteciperebbe economicamente al sostegno dell’associazione antimafia Libera, inviando ogni mese il proprio contributo. E dal momento che gli elementi a lui favorevoli sarebbero gli stessi anche tra molti anni, la decisione del Tribunale, che avrebbe erroneamente utilizzato, per un permesso premio, i requisiti richiesti per la concessione della detenzione domiciliare, porrebbe a carico di Comito una prova diabolica.
In data 2 ottobre 2024 è pervenuta in Cancelleria la requisitoria scritta del Procuratore generale presso questa Corte, con la quale è stata chiesta la declaratoria di inammissibilità del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è infondato e, pertanto, deve essere respinto.
L’art. 16-nonies, d.l. 15 gennaio 1991, n. 8, convertito con modificazioni dalla legge 15 marzo 1991, n. 82, introdotto dall’art. 14, comma 1, legge 13 febbraio 2001, n. 45, stabiliva, nella formulazione vigente al momento della decisione impugnata, che nei confronti delle persone condannate per un delitto commesso per finalità di terrorismo o di eversione dell’ordinamento costituzionale o per uno dei delitti di cui all’art. 51, comma 3-bis, cod. proc. pen., che abbiano prestato, anche dopo la condanna, taluna delle condotte di collaborazione che
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consentono la concessione delle circostanze attenuanti previste dal codice penale o da disposizioni speciali, la liberazione condizionale, la concessione dei permessi premio e l’ammissione alla misura della detenzione domiciliare prevista dall’art. 47-ter Ord. pen. sono disposte, su proposta ovvero sentito il procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo, dal tribunale o dal magistrato di sorveglianza, i quali, avuto riguardo all’importanza della collaborazione e sempre che sussista il ravvedimento e non vi siano elementi tali da far ritenere la sussistenza di collegamenti con la criminalità organizzata o eversiva, adottano il relativo provvedimento anche in deroga alle vigenti disposizioni, ivi comprese quelle relative ai limiti di pena di cui all’art. 176 cod. pen. e agli artt. 30-ter e 47-ter Ord. pen.
3. Secondo la giurisprudenza di legittimità, il requisito del «ravvedimento» previsto dalla citata disposizione, non può essere oggetto di una sorta di presunzione, formulabile sulla sola base dell’avvenuta collaborazione e dell’assenza di persistenti collegamenti del condannato con la criminalità organizzata, ma richiede la presenza di ulteriori, specifici elementi, di qualsivoglia natura, che valgano a dimostrarne in positivo, sia pure in termini di mera, ragionevole probabilità, l’effettiva sussistenza (Sez. 1, n. 48505 del 18/11/2004, COGNOME, Rv. 230137 – 01; Sez. 1, n. 34283 del 12/07/2005, COGNOME, Rv. 232219 01; Sez. 1, n. 1115 del 27/10/2009, dep. 2010, COGNOME, Rv. 245945 – 01; Sez. 1, n. 48891 del 30/10/2013, COGNOME, Rv. 257671 – 01; Sez. 1, n. 43256 del 22/05/2018, Sarno, Rv. 274517 – 01). Al riguardo, si è ritenuto che il «ravvedimento» debba essere valutato con riguardo alla condotta complessiva del collaboratore di giustizia, tenuto conto dei rapporti con i familiari, con il personal giudiziario, dello svolgimento di attività lavorativa o di studio, quali element indicativi di una revisione critica della sua vita anteatta e una reale ispirazione al suo riscatto morale (Sez. 1, n. 3675 del 16/01/2007, Tedesco, Rv. 235796 – 01; Sez. 1, n. 9887 del 01/02/2007, Pepe, Rv. 236548 – 01). Quanto, poi, all’interesse e alla concreta disponibilità del condannato a fornire alla vittima del reato ogni possibile assistenza, essi, pur rilevanti ai fini del relativo giudizio (Sez. 1, n. 11 del 27/10/2009, dep. 13/01/2010 COGNOME, Rv. 245945 – 01; Sez. 1, n. 48891 del 30/10/2013, Marino, in motivazione), non possono, tuttavia, identificarsi con il ravvedimento, né esso può risolversi tout court nel pentimento o nel riconoscimento dei propri errori, postulando una valutazione globale della condotta del soggetto (Sez. 1, n. 9887 del 01/02/2007, COGNOME, Rv. 236548 – 01). Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Si è, inoltre, affermato (Sez. 1, n. 9034 del 30/11/2023, dep. 2024, COGNOME, non massimata; Sez. 1, n. 37626 del 24/02/2023, COGNOME, non massimata; Sez. 1, n. 43256 del 22/05/2018, Sarno, in motivazione) che tale ravvedimento vada in concreto rapportato alla natura e consistenza del beneficio richiesto, valendo
anche per i collaboratori il criterio di gradualità nella concessione di benefici penitenziari (su di esso v. Sez. 1, n. 23343 del 23/03/2017, Arzu, Rv. 270016 01; Sez. 1, n. 20551 del 04/02/2011, COGNOME, Rv. 250231 – 01; Sez. 1, n. 31999 del 06/07/2006, Valfrè, Rv. 234889 – 01), il quale, pur non costituendo una regola assoluta e codificata, è suggerito dall’esperienza e risponde ad un razionale apprezzamento delle esigenze rieducative e di prevenzione cui è ispirato il significato stesso del trattamento penitenziario; e ciò vale particolarmente quando i reati commessi siano sintomatici di una non irrilevante capacità a delinquere, manifestata in contesti delinquenziali di elevato livello (Sez. 1, n. 5689 del 18/11/1998, dep. 1999, COGNOME, Rv. 212794 – 01). Dunque, va ribadita, anche con riferimento ai benefici applicabili ai collaboratori di giustizia, la necessar gradualità dell’accesso alle misure alternative, in quanto il sistema di accesso a detti benefici penitenziari, in sé, è fondato sulla progressività e gradualità (Sez. 1 n. 22443 del 17/01/2019, COGNOME, Rv. 276213 – 01: il Tribunale di sorveglianza, anche quando siano emersi elementi positivi nel comportamento del detenuto, può legittimamente ritenere necessario un ulteriore periodo di osservazione e lo svolgimento di altri esperimenti premiali, al fine di verificare l’attitudine d soggetto ad adeguarsi alle prescrizioni da imporre).
Consegue alle considerazioni che precedono che la nozione di ravvedimento richiamata dal comma 4 dell’art. 16-nonies debba essere apprezzato in maniera differente a seconda del beneficio o della misura richiesti. Se, infatti, si ammette la gradualità nell’accesso ad essi, deve postularsi, da un punto di vista logico, che il percorso rieducativo del detenuto ~0a~ non debba considerarsi concluso fin dal momento dell’accesso al primo gradino dei benefici penitenziari, costituito dal permesso premio. Richiedere, fin da tale momento, il raggiungimento di quel sicuro ravvedimento che viene richiesto dall’art. 176 cod. pen. per l’applicazione della liberazione condizionale vanificherebbe il richiamato principio gradualistico nell’accesso ai benefici; e non consentirebbe di comprendere per quale motivo il detenuto debba essere ammesso al permesso premio e non, direttamente, alla detenzione domiciliare o alla liberazione condizionale. Ne consegue che il ravvedimento richiesto anche per il permesso premio, che giustifica, unitamente al percorso collaborativo, la previsione di un più agevole accesso al beneficio rispetto ai detenuti non collaboranti, deve essere inteso non già come l’avvenuto conseguimento del fine ultimo del trattamento rieducativo, quanto come la maturazione di un definitivo e irreversibile distacco dal contesto criminale rispetto al quale è maturata la scelta collaborativa.
Tanto premesso, osserva il Collegio che il Tribunale, pur elencando una serie di circostanze positive, indicatrici di una favorevole evoluzione del percorso rieducativo (dalla regolare condotta penitenziaria al corretto svolgimento di attività
lavorativa e di studio in carcere), ha ritenuto che il percorso detentivo fin qui compiuto da Comito non fosse ancora sufficiente a consentirgli l’accesso al beneficio extramurario.
All’uopo, dopo avere ricordato la affiliazione del detenuto alla ‘ndrangheta vibonese e la sua partecipazione a gravi fatti di sangue occorsi in occasione della guerra di mafia tra i Patania e i Piscopisani (essendosi reso responsabile dell’omicidio di NOME COGNOME e dei tentati omicidi di NOME COGNOME e NOME COGNOME), il Tribunale di sorveglianza ha evidenziato come la stessa équipe penitenziaria si fosse espressa sfavorevolmente rispetto all’accesso ai permessi premio; e come la spiegazione offerta da COGNOME in merito all’inizio della sua militanza all’interno di un sodalizio mafioso non fosse appagante, in quanto oggettivamente caratterizzata da una rappresentazione quasi accidentale del suo ingresso nel gruppo criminale, ricondotto riduttivamente a «un momento di grave difficoltà economica»; rappresentazione, in realtà, smentita da un livello di rilevante intraneità alla compagine ‘ndranghetistica resa manifesta dalla elevata qualità delle informazioni oggetto del suo contributo collaborativo. Un profilo, questo, che ha condotto il Tribunale a ritenere non ancora raggiunto un rassicurante riscontro circa la solidità del percorso intramurario compiuto. E ciò anche alla luce dell’assenza di contatti con le vittime e dell’inizio di percorsi giustizia riparativa, che la sentenza rescindente ha indicato a mero titolo esemplificativo, quali elementi valutabili nel contesto di un giudizio globale sul percorso detentivo intrapreso, alla luce del già richiamato indirizzo giurisprudenziale che ritiene di non porre questo genere di iniziative tra le condizioni ostative all’eventuale accesso ai benefici (v. supra § 3).
Tale non illogica motivazione, resa all’esito di un apprezzamento di merito del Tribunale, si palesa, dunque, del tutto coerente con la richiamata cornice giurisprudenziale, sicché le odierne censure devono ritenersi complessivamente infondate.
Alla luce delle considerazioni che precedono, il ricorso deve essere rigettato, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
PER QUESTI MOTIVI
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Così deciso in data 23 ottobre 2024
Il Consigliere estensore
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