LexCED: l'assistente legale basato sull'intelligenza artificiale AI. Chiedigli un parere, provalo adesso!

Permesso premio collaboratore giustizia: i criteri

La Cassazione annulla il diniego di un permesso premio a un collaboratore di giustizia. Il Tribunale aveva errato nel non valutare gli elementi positivi e nell’applicare un criterio di certezza del ravvedimento, invece della richiesta ragionevole probabilità per il permesso premio collaboratore giustizia.

Prenota un appuntamento

Per una consulenza legale o per valutare una possibile strategia difensiva prenota un appuntamento.

La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)
Pubblicato il 4 dicembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Permesso Premio Collaboratore di Giustizia: Basta la Ragionevole Probabilità del Ravvedimento

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 28023 del 2024, ha chiarito un punto fondamentale riguardo la concessione del permesso premio collaboratore giustizia. La decisione sottolinea che, per questo specifico beneficio, il requisito del ravvedimento non deve essere provato con certezza assoluta, ma è sufficiente una valutazione di ‘ragionevole probabilità’. Questa pronuncia annulla un’ordinanza del Tribunale di Sorveglianza che aveva negato il permesso a un detenuto, collaboratore di giustizia, applicando un metro di giudizio eccessivamente rigoroso.

I Fatti del Caso

Un detenuto, con un fine pena previsto per il 2047 e qualificato come collaboratore di giustizia, si vedeva negare un’istanza di permesso premio dal Magistrato di Sorveglianza. Il successivo reclamo al Tribunale di Sorveglianza veniva parimenti respinto. Il Tribunale motivava il diniego sulla base di una presunta persistente pericolosità sociale del soggetto, legata all’insufficiente osservazione del suo percorso e al lungo periodo di detenzione ancora da espiare. Secondo i giudici, nonostante i pareri favorevoli della Direzione Nazionale Antimafia (D.N.A.) e della direzione del carcere, le relazioni disponibili non dimostravano in modo inequivocabile un effettivo ravvedimento e una revisione critica del suo passato criminale.

Il Ricorso in Cassazione

La difesa del detenuto ha proposto ricorso in Cassazione, lamentando la contraddittorietà e l’illogicità della motivazione. Si evidenziava come il Tribunale avesse trascurato numerosi elementi positivi: l’assenza di nuove denunce, il ripudio delle condotte devianti, l’attaccamento alla famiglia, la buona condotta e, soprattutto, i pareri favorevoli delle autorità competenti. Si contestava, inoltre, l’applicazione di un criterio di valutazione del ravvedimento eccessivamente selettivo, più adatto a benefici più significativi come la detenzione domiciliare, piuttosto che a un semplice permesso premio.

Le Motivazioni della Corte di Cassazione

La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso, ritenendo la motivazione del Tribunale di Sorveglianza viziata e perplessa. Il punto centrale della decisione risiede nella distinzione del grado di prova richiesto per il ravvedimento a seconda del beneficio richiesto. La Corte chiarisce che, sebbene la collaborazione con la giustizia non implichi una presunzione automatica di ravvedimento, per la concessione di un permesso premio collaboratore giustizia è sufficiente accertare l’esistenza del ravvedimento in termini di ‘mera, ragionevole probabilità’. Un grado di certezza, invece, è richiesto solo per benefici più incisivi come la liberazione condizionale.

La Cassazione ha criticato il Tribunale per aver fondato il proprio diniego non su elementi negativi concreti, ma sulle ‘omissioni’ delle relazioni degli operatori penitenziari. In pratica, ha imputato al detenuto un’incompleta attività istruttoria che non spetta a lui promuovere. I giudici di sorveglianza, di fronte a pareri positivi e all’assenza di elementi contrari, avrebbero dovuto, se del caso, promuovere ulteriori approfondimenti per sciogliere eventuali dubbi, anziché rigettare l’istanza sulla base di una supposta incompletezza delle analisi altrui. La motivazione del provvedimento impugnato è stata definita ‘perplessa’ proprio perché, pur citando elementi positivi, giungeva a una conclusione negativa basata su un’asserita mancanza di approfondimento, minando così la tenuta logica della decisione.

Le Conclusioni

La sentenza stabilisce un principio di diritto cruciale per la valutazione delle istanze di permesso premio collaboratore giustizia. I giudici di sorveglianza devono basare la loro decisione su una valutazione concreta degli elementi a disposizione, applicando il corretto standard probatorio della ‘ragionevole probabilità’ del ravvedimento. Non è legittimo negare un beneficio basandosi sulla mancata analisi approfondita di certi aspetti nelle relazioni, soprattutto quando gli stessi giudici non hanno attivato gli strumenti a loro disposizione per colmare tali lacune informative. La decisione viene quindi annullata con rinvio al Tribunale di Sorveglianza di Roma, che dovrà riesaminare il caso attenendosi ai principi indicati dalla Suprema Corte.

La collaborazione con la giustizia è sufficiente da sola per ottenere un permesso premio?
No, la collaborazione con la giustizia è un elemento importante ma non crea una presunzione automatica di ravvedimento. Per la concessione del permesso premio è richiesta la presenza di ulteriori e specifici elementi che dimostrino, in positivo, la sussistenza del ravvedimento.

Quale livello di prova del ravvedimento è richiesto per un permesso premio a un collaboratore di giustizia?
Per la concessione del permesso premio, la sussistenza del ravvedimento deve essere accertata in termini di ‘mera, ragionevole probabilità’. Non è richiesto il grado di ‘certezza’ che è invece necessario per benefici più significativi, come la liberazione condizionale.

Cosa succede se le relazioni sul detenuto sono incomplete o non approfondiscono il suo percorso di ravvedimento?
La Corte di Cassazione ha stabilito che non si può negare un permesso premio imputando al detenuto un’incompleta attività istruttoria da parte degli organi preposti. Se i giudici ritengono le relazioni insufficienti a fugare ogni dubbio, devono promuovere loro stessi gli approfondimenti necessari, invece di rigettare l’istanza basandosi sulle omissioni altrui.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

Desideri approfondire l'argomento ed avere una consulenza legale?

Prenota un appuntamento. La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza / conference call e si svolge in tre fasi.

Prima dell'appuntamento: analisi del caso prospettato. Si tratta della fase più delicata, perché dalla esatta comprensione del caso sottoposto dipendono il corretto inquadramento giuridico dello stesso, la ricerca del materiale e la soluzione finale.

Durante l’appuntamento: disponibilità all’ascolto e capacità a tenere distinti i dati essenziali del caso dalle componenti psicologiche ed emozionali.

Al termine dell’appuntamento: ti verranno forniti gli elementi di valutazione necessari e i suggerimenti opportuni al fine di porre in essere azioni consapevoli a seguito di un apprezzamento riflessivo di rischi e vantaggi. Il contenuto della prestazione di consulenza stragiudiziale comprende, difatti, il preciso dovere di informare compiutamente il cliente di ogni rischio di causa. A detto obbligo di informazione, si accompagnano specifici doveri di dissuasione e di sollecitazione.

Il costo della consulenza legale è di € 150,00.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)

Articoli correlati