Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 2643 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 1 Num. 2643 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 07/11/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a COMISO il 29/08/1955
avverso l’ordinanza del 05/06/2024 del TRIB. SORVEGLIANZA di ANCONA
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME lette le conclusioni del PG, dott. NOME COGNOME il quale ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità del ricorso;
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza del 5 giugno 2024, il Tribunale di sorveglianza di Ancona ha respinto il reclamo proposto da NOME COGNOME avverso il provvedimento con cui il Magistrato di sorveglianza della stessa città, il 20 marzo 2024, ha rigettato l’istanza da lui presentata e finalizzata alla concessione di un permesso premio.
A tal fine, ha premesso che il condannato non ha ancora scontato la porzione di sanzione relativa al reato di cui all’art. 74, comma 1, d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, ostativo, ai sensi dell’art. 4-bis legge 26 luglio 1975, n. 354, all’accoglimento dell’istanza, e che non si versa in ipotesi di collaborazione impossibile o inesigibile.
Ha, quindi, osservato – a fronte del rilievo del condannato, il quale ha dedotto, a supporto dell’istanza, di avere tenuto condotta detentiva regolare, che gli è valsa il costante riconoscimento della liberazione anticipata, e di avere conseguito significativi risultati sul piano trattamentale – che egli è soggetto di intensa ed attuale pericolosità sociale, attestata dalla gravità dei reati commessi (tra cui tre omicidi) e dalla protrazione delle attività delittuose, segnatamente in materia di narcotraffico, in costanza di detenzione e con ruolo di vertice.
Ha, ancora, rimarcato, sulla scia di quanto esposto dalla DNA, che COGNOME è stato indiscusso capo di un’associazione a delinquere che ha gestito, in forma monopolistica, lo spaccio nel quartiere milanese di Quarto Oggiaro, per poi aggiungere che le indagini più recenti hanno dimostrato la vitalità e l’operatività, in quell’area, di vari gruppi criminali dediti al narcotraffico, ciò che rende attuale e concreto il pericolo che egli, qualora ammesso alla fruizione di, anche minimi, spazi di libertà, si reinserisca nel locale tessuto criminale.
Ha, vieppiù, valorizzato l’assenza di prova in ordine all’impossibilità di adempiere alle obbligazioni civili e l’omissione di significative iniziative di tipo riparativo.
NOME COGNOME propone, con il ministero dell’avv. NOME COGNOME ricorso per cassazione affidato ad un unico, articolato motivo, con il quale deduce violazione di legge sostanziale e processuale per avere il Tribunale di sorveglianza disatteso l’istanza in spregio al vigente testo dell’art. 4-bis legge 26 luglio 1975, n. 354 – che prevede la possibilità, per chi stia scontando una pena per reato ostativo, di essere ammesso ad una misura alternativa
nell’ipotesi in cui non vi siano elementi tali da far ritenere la sussistenza di collegamenti con la criminalità organizzata, terroristica o eversiva.
Si duole, in particolare, che il Tribunale di sorveglianza abbia ingiustificatamente disatteso i pareri, ampiamente favorevoli, costantemente espressi dagli organi del trattamento i quali, già nel 2022, avevano ravvisato l’opportunità di consolidare i risultati raggiunti mediante l’ammissione ad esperienze in ambito extramurario.
Ascrive, tra l’altro, al Tribunale di sorveglianza di avere vagliato con ingiustificato, eccessivo rigore l’atteggiamento da lui serbato con riguardo alla passata condotta deviante, così come la valenza degli sforzi compiuti, nei limiti delle proprie possibilità economiche, in favore della collettività, e di avere omesso di considerare che l’invocato permesso premio sarebbe stato fruito, in compagnia dei soli più stretti familiari, in località prossima al luogo di detenzione ed assai distante, per contro, da quello che è stato teatro delle sue imprese delittuose.
Il Procuratore generale ha chiesto, con requisitoria scritta, dichiararsi l’inammissibilità del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è fondato e, pertanto, deve essere accolto.
É pacifico che NOME COGNOME stava scontando, alla data della decisione, condanna per il reato di cui all’art. 74, comma 1, d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, compreso nel novero dei delitti per i quali, ai sensi dell’art. 4-bis, comma 1-bis, legge 26 luglio 1975, n. 354 (nel testo, applicabile ratione temporis, introdotto dal d.l. 31 ottobre 2022, n. 162, convertito con modificazioni dalla legge 30 dicembre 2022, n. 199), l’assegnazione al lavoro esterno, i permessi premio e le misure alternative alla detenzione (con l’eccezione della liberazione Anticipata) possono essere concessi, «anche in assenza di collaborazione con la giustizia ai sensi dell’articolo 58-ter, purché gli istanti dimostrino l’adempimento delle obbligazioni civili e degli obblighi di riparazione pecuniaria conseguenti alla condanna o l’assoluta impossibilità di tale adempimento e alleghino elementi specifici, diversi e ulteriori rispetto alla regolare condotta carceraria, alla partecipazione del detenuto al percorso rieducativo e alla mera dichiarazione di dissociazione dall’organizzazione criminale di eventuale appartenenza, che consentano di escludere l’attualità di collegamenti con la criminalità organizzata, terroristica o eversiva e con il contesto nel quale il reato è stato commesso, nonché il pericolo di ripristino di tali collegamenti, anche indiretti o tramite terzi, tenuto conto delle
circostanze personali e ambientali, delle ragioni eventualmente dedotte a sostegno della mancata collaborazione, della revisione critica della condotta criminosa e di ogni altra informazione disponibile».
La citata disposizione prevede, subito dopo, che «al fine della concessione dei benefici, il giudice accerta altresì la sussistenza di iniziative dell’interessato a favore delle vittime, sia nelle forme risarcitorie che in quelle della giustizia riparativa».
Il comma 2 dell’art. 4-bis assegna, poi, alla magistratura di sorveglianza il compito di richiedere, in vista della decisione sull’istanza di ammissione ai benefici penitenziari e per il tramite del comitato provinciale per l’ordine e la sicurezza pubblica, dettagliate informazioni che, con specifico riferimento ai casi, quale quello in esame, di cui al comma 1-bis consentano di «verificare la fondatezza degli elementi offerti dall’istante in merito al perdurare dell’operatività del sodalizio criminale di appartenenza o del contesto criminale nel quale il reato è stato consumato, al profilo criminale del detenuto o dell’internato e alla sua posizione all’interno dell’associazione, alle eventuali nuove imputazioni o misure cautelari o di prevenzione sopravvenute a suo carico e, ove significative, alle infrazioni disciplinari commesse durante la detenzione».
La normativa di recente conio impone, altresì, al giudice di sollecitare il parere del pubblico ministero presso il giudice che ha emesso la sentenza di primo grado o, se si tratta di condanne per i delitti indicati all’articolo 51, commi 3-bis e 3-quater, cod. proc. pen., del pubblico ministero presso il tribunale del capoluogo del distretto ove è stata pronunciata la sentenza di primo grado e del Procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo, e di acquisire informazioni dalla direzione dell’istituto ove l’istante è detenuto o internato, nonché di disporre, nei confronti del medesimo, degli appartenenti al suo nucleo familiare e delle persone ad esso collegate, accertamenti in ordine alle condizioni reddituali e patrimoniali, al tenore di vita, alle attività economiche eventualmente svolte e alla pendenza o definitività di misure di prevenzione personali o patrimoniali.
Il comma 2-bis stabilisce, ancora, che «Quando dall’istruttoria svolta emergono indizi dell’attuale sussistenza di collegamenti con la criminalità organizzata, terroristica o eversiva o con il contesto nel quale il reato è stato commesso, ovvero del pericolo di ripristino di tali collegamenti, è onere del condannato fornire, entro un congruo termine, idonei elementi di prova contraria» e che «In ogni caso, nel provvedimento con cui decide sull’istanza di concessione dei benefici il giudice indica specificamente le ragioni
dell’accoglimento o del rigetto dell’istanza medesima, tenuto conto dei pareri acquisiti…».
Risulta, dunque, dalla superiore esposizione che la novella ha trasformato la presunzione legale assoluta di immanenza dei collegamenti per il non collaborante, prevista dal precedente testo dell’art. 4-bis, in relativa, con allegazione che spetta alla parte e con la previsione, comunque, di oneri istruttori per il giudice della sorveglianza.
Alla luce della nuova normativa, quindi, il Tribunale di sorveglianza è tenuto ad apprezzare la pericolosità del detenuto per reati ostativi «di prima fascia», in particolare quanto al pericolo del mantenimento o del ripristino dei collegamenti con associazioni criminose, mediante l’esame approfondito della sua condotta carceraria e della partecipazione all’attività rieducativa, e se necessario svolgendo accertamenti tramite l’autorità di polizia.
In questo senso si è, del resto, orientata, sin dall’entrata in vigore del nuovo testo dell’art. 4-bis, la giurisprudenza di legittimità, che ha stabilito che «In tema di misure alternative alla detenzione in favore di soggetto condannato per reati ostativi cd. “di prima fascia”, per effetto delle modifiche apportate all’art.4-bis ord. pen. con d.l. 31 ottobre 2022, n. 162, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 dicembre 2022, n. 199, non assume rilievo decisivo la collaborazione con l’autorità giudiziaria, essendo demandato al giudice, alla luce della mutata natura della presunzione – divenuta relativa – di mantenimento dei collegamenti con l’organizzazione criminale, la valutazione del percorso rieducativo del condannato e dell’assenza di collegamenti, attuali o potenziali, con la criminalità organizzata e con il contesto mafioso, mediante gli ampliati poteri istruttori di cui all’art. 4-bis, comma 2, ord. pen.» (Sez. 1, n. 35682 del 23/05/2023, COGNOME, Rv. 284921 – 01).
Tanto, alla luce dell’espresso rilievo secondo cui «La novella del 2022 richiede dunque che sia esercitato il potere valutativo di merito in ordine alla verifica dei requisiti di accesso alle misure alternative richieste dal ricorrente, alla !Li s ce della nuova qualità – relativa e superabile – della presunzione di mantenimento di collegamenti con l’organizzazione di appartenenza, da essa introdotta, in caso di mancata collaborazione processuale», accompagnato dal riconoscimento che detta situazione «non costituisce più un dato rigidamente preclusivo all’accesso ai benefici penitenziari, restando nell’ambito valutativo del Tribunale di sorveglianza superare detta presunzione, non più assoluta, sulla base degli indici, stringenti e cumulativi, che sono stati introdotti con la nuova regola iuris, e che si sostanziano nella necessità di valutare in concreto il percorso rieducativo del ricorrente e l’assenza di collegamenti, attuali o potenziali, con la criminalità organizzata e con
il contesto mafioso»; con l’esplicita indicazione del dovere, per il Tribunale di sorveglianza, di avvalersi degli ampliati poteri istruttori previsti dal secondo comma dell’art. 4-bis.
4. Nel caso di specie, COGNOME nel corso del procedimento introdotto dalla presentazione dell’istanza, ha posto l’accento, a dimostrazione della sussistenza delle condizioni per il suo accoglimento, sul tenore della più recente relazione di sintesi, che, a conferma di quelle precedenti, attesta che egli «prosegue in istituto il suo percorso trattamentale positivo fondato sullo studio, sulla partecipazione alle diverse attività, in particolare di tipo culturale, sull’attività lavorativa di bibliotecario, sul colloquio costante con i diversi operatori», per poi notare che «COGNOME ha continuato ad evidenziare una apertura al dialogo-confronto che nel tempo è divenuta sempre più marcata e significativa», si mostra «disponibile ad affrontare e aggiungere chiarimenti anche rispetto alla sua posizione che lo ha visto coinvolto nell’ultima sentenza di condanna» ed «evidenzia un dialogo scevro da tentativi di giustificazione fondato su una riflessione personale critica che riguarda complessivamente tutto il suo passato e che ormai appare consolidata nel tempo».
Dato atto, analiticamente, della revisione critica maturata da COGNOME nell’arco dei sedici anni di detenzione in Fossombrone, in ordine alle proprie pregresse, e gravissime, condotte criminali, l’équipe stima che essa, sicuramente adeguata e credibile, si sia consolidata nel tempo attraverso gli atteggiamenti e i comportamenti quotidiani del suo cambiamento, espressivi, tra l’altro, della presa di distanza dal percorso criminale e da una progettualità imperniata sugli affetti familiari e conclude nel senso che «l’inizio della sperimentazione di permessi premio sia opportuna al fine di riconoscere al soggetto il percorso positivo finora realizzato e di “accompagnarlo” nel graduale percorso di reinserimento».
COGNOME rivendica, sotto altro aspetto, di avere adottato una iniziativa riparatoria, concretatasi nella donazione, in favore di una associazione sociale, della quota di sua proprietà di un immobile da destinare, per comune volontà sua e del contitolare, a beneficio della collettività e di non essere stato in condizione di compiere Ulteriori gesti di natura risarcitoria o, lato sensu, riparatoria in ragione della precarietà delle proprie condizioni economiche, comprovata dall’esito delle indagini eseguite dalla Guardia di Finanza, trasmesso il 17 ottobre 2023.
Assume, con riferimento alle ragioni della mancata collaborazione, che, pur non essendo stata formalmente accertata la relativa impossibilità o inesigibilità, il Magistrato di sorveglianza, già nel decreto del 23 dicembre
2013, aveva incidentalmente osservato che «pur essendo COGNOME un accreditato esponente della criminalità organizzata milanese , l’apporto dei collaboratori di giustizia e la sua piena ammissione di responsabilità rispetto ai delitti addebitati ha(nno) consentito di accertare compiutamente tutti i gravissimi fatti di sangue addebitati e risalenti, comunque, agli anni a cavallo degli ’80 e i primi ’90».
Sottolinea, quanto al pericolo di ripristino di collegamenti con l’ambiente criminale di provenienza, che il permesso premio richiesto sarebbe fruito in Fossombrone, ovvero in località distante dall’area milanese, ove insiste il gruppo criminale del quale egli è stato, in passato, esponente di spicco, ed in compagnia dei soli più stretti congiunti.
Il Tribunale di sorveglianza è pervenuto al rigetto dell’istanza del condannato sulla scorta di un percorso argomentativo che, a ben vedere, si palesa distonico rispetto al descritto quadro normativo.
Nel prendere le mosse dal vissuto criminale di COGNOME ha stimato l’inidoneità delle circostanze sopra indicate al superamento della presunzione relativa di immanenza dei collegamenti per il non collaborante offrendone, tuttavia, una lettura ingiustificatamente riduttiva.
Tanto, avuto riguardo, specificamente, sia all’adempimento delle obbligazioni civili e degli obblighi di riparazione pecuniaria conseguenti alla condanna sia all’acquisizione di elementi specifici tali da consentire di escludere l’attualità di collegamenti con la criminalità organizzata e con il contesto nel quale il reato è stato commesso, nonché il pericolo di ripristino di tali collegamenti.
Sotto il primo profilo, il Tribunale di sorveglianza ha stigmatizzato la modesta significatività dell’unica iniziativa in concreto adottata dal condannato il quale, però, ne ha dimostrato, con congrue allegazioni, non resistite da evidenze di segno contrario, l’effettività, ed ha espresso, in ordine alla materiale impossibilità di accompagnare tale gesto con altre, più tangibili, manifestazioni di resipiscenza, perplessità che, però, non trovano riscontro nei dati comunicati dalla Guardia di Finanza in merito a redditi e possidenze del condannato.
Il provvedimento impugnato si palesa, per altro verso, gravemente carente, in termini tali da imporre l’intervento censorio del giudice di legittimità, perché, dopo avere a più riprese evidenziato la caratura criminale di COGNOME, la pervicacia da lui dimostrata nel perseverare, persino in costanza di detenzione, nella guida del sodalizio di appartenenza, il concreto pericolo che egli, se rimesso, anche per brevi periodi, in libertà, riannodi i contatti con gli ambienti di provenienza, omette di considerare che, a fronte delle predette emergenze che, per quanto concerne il suo agire delinquenziale, non oltrepassano il 2008, si pongono le informazioni
trasmesse dagli operatori del carcere di Fossombrone i quali, forti di un’osservazione ininterrottamente protrattasi per sedici anni, attestano che il condannato – lungi dall’avere, meramente, tenuto regolare condotta carceraria e partecipato al percorso rieducativo – è stato ed è protagonista di un serio e profondo percorso di revisione critica dei propri trascorsi criminali che si è, altresì, tradotto, in una progettualità improntata ai valori affettivi familiari anziché a quelli, negativi, che hanno in passato ispirato le sue scelte.
Il ragionamento seguito dal Tribunale di sorveglianza si palesa, in altri termini, monco, perché non comprendente il vaglio dell’idoneità delle circostanze segnalate dall’équipe penitenziaria a vincere, nel contesto concretamente delineato, la presunzione relativa prevista dal legislatore.
Soccorrono, al riguardo, le indicazioni che si traggono dalla giurisprudenza costituzionale che ha chiarito come, in materia di permesso premio, non sia «consentito al legislatore disconoscere il percorso rieducativo effettivamente compiuto dal condannato che abbia già raggiunto, in concreto, un grado di rieducazione adeguato alla concessione del beneficio» (così Corte costituzionale, sentenza n. 32 del 2020).
In una ipotesi siffatta, invero, l’intervento normativo – ha di recente ribadito la giurisprudenza di legittimità (Sez. 5, n. 33693 del 28/06/2024, Biondo, Rv. 286988 – 01) – si porrebbe in contrasto con il principio di eguaglianza e del finalismo rieducativo della pena (artt. 3 e 27, terzo Comma, Cost.), poiché «negare, a chi si trovi nella posizione di quel condannato, la concessione del beneficio, equivarrebbe a disconoscere la funzione pedagogico-propulsiva del permesso premio (sentenza n. 253 del 2019), quale strumento idoneo a consentirne un suo iniziale reinserimento nella società, in vista dell’eventuale concessione di misure alternative alla detenzione, in assenza di gravi comportamenti che dimostrino la non meritevolezza del beneficio nel caso concreto (sentenza n. 504 del 1995; nello stesso senso, sentenze n. 137 del 1999 e n. 445 del 1997)» (così, ancora, Corte costituzionale, sentenza n. 32 del 2020).
Ne discende l’apparenza della motivazione del provvedimento impugnato nella parte in cui assume, lapidariamente, che il vissuto criminale di COGNOME e le informazioni tramesse dalla DDA «non consentono, nonostante l’attuale regolare condotta carceraria e la revisione critica in corso da parte del reo, di ritenere cessato il vincolo associativo e quindi il pericolo di ripristino dei collegamenti con l’associazione criminale di appartenenza», in tal modo assegnando, in termini sostanzialmente assoluti, preminente rilievo al curriculum criminale del condannato, alla sua mancata collaborazione ed alla persistenza, sul territorio di riferimento, di compagini organizzate dedite al
narcotraffico e mancando di operare la necessaria, ponderata valutazione di tutte le evidenze disponibili (in questo senso, cfr. anche Sez. 1, n. 38468 del 12 luglio 2024, COGNOME, n.m.).
Dalle precedenti considerazioni discende, in conclusione, l’annullamento dell’ordinanza impugnata, con rinvio al Tribunale di sorveglianza di Ancona per un nuovo giudizio che, libero nell’esito, sia esente dal vizio riscontrato.
P.Q.M.
Annulla l’ordinanza impugnata con rinvio per nuovo giudizio al Tribunale di sorveglianza di Ancona.
Così deciso il 07/11/2024.