LexCED: l'assistente legale basato sull'intelligenza artificiale AI. Chiedigli un parere, provalo adesso!

Permesso premio: Cassazione su reati ostativi

La Corte di Cassazione ha annullato l’ordinanza che negava un permesso premio a un detenuto condannato all’ergastolo per reati di stampo mafioso, sulla base della sola mancata collaborazione con la giustizia. La Suprema Corte ha chiarito che, alla luce delle nuove norme, il giudice deve compiere una complessa istruttoria per verificare l’assenza di legami attuali con la criminalità organizzata e il pericolo di un loro ripristino, non potendosi limitare a richiamare la mancata collaborazione.

Prenota un appuntamento

Per una consulenza legale o per valutare una possibile strategia difensiva prenota un appuntamento.

La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)
Pubblicato il 4 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Permesso Premio: Nuovi Orizzonti per i Detenuti Non Collaboranti

Il tema del permesso premio per i condannati per reati ostativi, specialmente quelli di stampo mafioso, è da sempre al centro di un acceso dibattito giuridico. Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha riaffermato un principio cruciale: la mancata collaborazione con la giustizia non può più essere l’unico motivo per negare questo importante strumento rieducativo. Vediamo insieme i dettagli di questa decisione e le sue implicazioni.

I Fatti del Caso

Un detenuto, condannato alla pena dell’ergastolo per associazione di stampo mafioso e altri reati, si era visto respingere dal Magistrato di Sorveglianza la richiesta di un permesso premio. La decisione era stata confermata anche in sede di reclamo dal Tribunale di Sorveglianza, il quale aveva basato il diniego essenzialmente sulla mancata collaborazione con la giustizia da parte del condannato.

Il detenuto, tramite il suo difensore, ha proposto ricorso in Cassazione, lamentando che il Tribunale si fosse limitato a richiamare precedenti decisioni negative senza valutare gli elementi di novità e i progressi significativi compiuti nel suo percorso rieducativo. Tra questi, la remissione di un debito e versamenti periodici a favore di un’associazione impegnata nella lotta alla mafia. Inoltre, il ricorrente sosteneva che, in base alla nuova formulazione dell’art. 4-bis dell’Ordinamento penitenziario, il giudice avrebbe dovuto condurre un’approfondita istruttoria per verificare la sua effettiva interruzione dei legami con la criminalità organizzata.

La Disciplina del Permesso Premio per i Non Collaboranti

La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso, ritenendolo fondato. La sentenza chiarisce che, a seguito delle modifiche normative e degli interventi della Corte Costituzionale (in particolare la sentenza n. 253 del 2019), la presunzione di pericolosità per i condannati per reati ostativi che non collaborano non è più assoluta.

Oggi, per ottenere un permesso premio, questi detenuti devono dimostrare una serie di condizioni stringenti:
1. L’adempimento delle obbligazioni civili e di riparazione del danno, o l’assoluta impossibilità di farlo.
2. L’allegazione di elementi specifici e ulteriori rispetto alla sola buona condotta carceraria, che provino la rottura con la criminalità organizzata e l’assenza del pericolo di ripristino di tali legami.
3. L’esistenza di iniziative a favore delle vittime.

Le Motivazioni

La Suprema Corte ha stabilito che il Tribunale di Sorveglianza, di fronte a una richiesta di permesso premio da parte di un non collaborante, non può limitarsi a constatare la mancata collaborazione. Al contrario, ha il dovere di avviare una complessa e approfondita attività istruttoria per valutare la sussistenza delle condizioni sopra elencate. Questo significa acquisire informazioni dettagliate sul percorso rieducativo, sulla revisione critica del proprio passato criminale, sulla posizione attuale del sodalizio criminale di appartenenza e sul profilo del detenuto.

Il giudice deve richiedere pareri al pubblico ministero e al Procuratore nazionale antimafia, nonché disporre accertamenti patrimoniali e sul tenore di vita del detenuto e del suo nucleo familiare. In sintesi, il focus si sposta dalla collaborazione (o dalla sua assenza) alla prova concreta e attuale della cessazione di ogni legame con l’ambiente criminale. Nel caso di specie, il Tribunale di Sorveglianza aveva errato nel non attivare questo potere-dovere di valutazione, giustificando il diniego unicamente sull’omessa collaborazione.

Le Conclusioni

Questa sentenza rappresenta un’importante conferma del cambio di paradigma nell’esecuzione della pena per i reati ostativi. La mancata collaborazione non è più un ostacolo insormontabile alla concessione dei benefici penitenziari. Tuttavia, la strada per ottenerli è rigorosa e richiede non solo un comportamento esemplare in carcere, ma anche la prova tangibile di un reale e irreversibile distacco dal mondo criminale. La decisione della Cassazione impone ai giudici di sorveglianza un ruolo proattivo e un’analisi approfondita caso per caso, garantendo che ogni istanza sia valutata nel merito alla luce dei principi costituzionali di rieducazione della pena.

Un detenuto condannato per reati di mafia può ottenere un permesso premio senza collaborare con la giustizia?
Sì, è possibile. La sentenza chiarisce che, a seguito delle recenti riforme, la mancata collaborazione non è più un impedimento assoluto. Tuttavia, la concessione del beneficio è subordinata alla dimostrazione di specifiche e rigorose condizioni che attestino la rottura con l’ambiente criminale.

Cosa deve dimostrare concretamente un detenuto non collaborante per accedere al permesso premio?
Deve fornire elementi specifici che escludano l’attualità di collegamenti con la criminalità organizzata e il pericolo che si ripristinino. Deve inoltre aver adempiuto alle obbligazioni civili derivanti dal reato (o dimostrare l’impossibilità di farlo) e aver intrapreso iniziative a favore delle vittime.

Qual è il compito del Tribunale di Sorveglianza in questi casi?
Il Tribunale non può limitarsi a registrare la mancata collaborazione. Deve svolgere una complessa e approfondita istruttoria, anche d’ufficio, acquisendo informazioni e pareri (ad esempio dal Procuratore nazionale antimafia) per verificare in concreto la sussistenza di tutti i requisiti richiesti dalla legge per escludere la pericolosità sociale del detenuto.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

Desideri approfondire l'argomento ed avere una consulenza legale?

Prenota un appuntamento. La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza / conference call e si svolge in tre fasi.

Prima dell'appuntamento: analisi del caso prospettato. Si tratta della fase più delicata, perché dalla esatta comprensione del caso sottoposto dipendono il corretto inquadramento giuridico dello stesso, la ricerca del materiale e la soluzione finale.

Durante l’appuntamento: disponibilità all’ascolto e capacità a tenere distinti i dati essenziali del caso dalle componenti psicologiche ed emozionali.

Al termine dell’appuntamento: ti verranno forniti gli elementi di valutazione necessari e i suggerimenti opportuni al fine di porre in essere azioni consapevoli a seguito di un apprezzamento riflessivo di rischi e vantaggi. Il contenuto della prestazione di consulenza stragiudiziale comprende, difatti, il preciso dovere di informare compiutamente il cliente di ogni rischio di causa. A detto obbligo di informazione, si accompagnano specifici doveri di dissuasione e di sollecitazione.

Il costo della consulenza legale è di € 150,00.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)

Articoli correlati