Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 19659 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 1 Num. 19659 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 15/05/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a Catania il 02/03/1968;
avverso la ordinanza del Tribunale di sorveglianza di Ancona del 19/02/2025;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
lette le conclusioni del Pubblico ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha chiesto il rigetto del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con la ordinanza in epigrafe il Tribunale di sorveglianza di Ancona ha respinto il reclamo proposto da NOME COGNOME (detenuto presso il carcere di Fossonnbrone in espiazione della pena dell’ergastolo inflittagli per associazione di stampo mafioso ed altro) avverso il provvedimento in data 14 ottobre 2024, con il quale il competente magistrato di sorveglianza aveva respinto la sua domanda di permesso premio ex art. 30-ter Ord. pen. richiamando precedenti decisioni del medesimo tenore fondati sulla mancata collaborazione con la giustizia da parte del condannato e sulla esclusione di una impossibilità della stessa.
Avverso la predetta ordinanza NOME COGNOME per mezzo dell’avv. NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione affidato ad un unico ed articolato motivo, di seguito riprodotto nei limiti di cui all’art. 173 disp. att. c proc. pen., insistendo per il suo annullamento.
Il ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., la violazione ed erronea applicazione dell’art. 30-ter Ord. pen. ed il vizio di motivazione; in particolare deduce che il Tribunale di sorveglianza si sarebbe limitato a richiamare i precedenti provvedimenti di rigetto di analoghe istanze del Lauria senza verificare se vi fossero elementi nuovi e senza tenere conto dei significativi progressi nel suo percorso rieducativo, pur dando atto della avvenuta remissione del debito concessa dal magistrato di sorveglianza di Reggio Emilia e dei periodici versamenti effettuati in favore di associazione dedita alla lotta contro la mafia che, invece, assumono rilievo rispetto alle condizioni economiche del detenuto ed al suo processo di risocializzazione.
Infine, NOME COGNOME osserva che – sulla base dell’attuale versione dell’art. 4-bis Ord. pen. – a fronte delle sue allegazioni circa l’interruzione di ogni legame con la criminalità organizzata, il Tribunale di sorveglianza avrebbe dovuto effettuare un approfondimento di natura istruttoria in tal senso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.11 ricorso è fondato per le ragioni di seguito illustrate.
2.1. Nella ipotesi di condannati, come l’odierno ricorrente, in espiazione di una pena per reati ostativi «di prima fascia», quale quello di associazione mafiosa, deve tenersi conto della nuova formulazione dell’art. 4-bis Ord. pen. (susseguente la sentenza n. 253 del 2019 della Corte costituzionale) in forza del
quale i benefici penitenziari per reati ostativi di ‘prima fascia possono essere concessi ai detenuti anche in assenza di collaborazione con la giustizia, a condizione che: a) dimostrino l’adempimento delle obbligazioni civili e degli obblighi di riparazione pecuniaria conseguenti alla condanna o l’assoluta impossibilità di adempimento; b) alleghino elementi specifici, diversi e ulteriori rispetto alla regolare condotta carceraria, alla partecipazione al percorso rieducativo e alla mera dichiarazione di dissociazione, che consentano di escludere l’attualità di collegamenti con la criminalità organizzata e con il contesto nel quale il reato è stato commesso, nonché il pericolo di ripristino di tali collegamenti, anche indiretti o tramite terzi, tenuto conto delle circostanze personali e ambientali, delle ragioni eventualmente dedotte a sostegno della mancata collaborazione, della revisione critica della condotta criminosa e di altra informazione disponibile; c) il giudice accerti la sussistenza di iniziative dell’interessato a favore delle vittime, sia nelle forme risarcitorie che in quelle della giustizia riparativa. Una volta che si accerti la ricorrenza delle menzionate condizioni, il Tribunale è chiamato a una complessa attività istruttoria, consistente nell’acquisizione di dettagliate informazioni, anche a conferma degli elementi offerti dal richiedente, in ordine: 1) al perdurare dell’operatività del sodalizio criminale di appartenenza o del contesto criminale in cui il delitto fu commesso; 2) al profilo criminale del detenuto; 3) alla sua posizione all’interno dell’associazione; 4) alle eventuali nuove imputazioni o misure cautelari o di prevenzione sopravvenute e, ove significative, 5) alle infrazioni disciplinari commesse in corso di detenzione. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
2.2. Il Tribunale, ancora, deve richiedere il parere del pubblico ministero presso il giudice che ha emesso la sentenza di primo grado o, se si tratta di condanne per i delitti di cui agli artt. 51 commi 3-bis e 3-quater, cod. proc. pen., del pubblico ministero presso il Tribunale del capoluogo del distretto ove è stata pronunciata la sentenza di primo grado, e del Procuratore nazionale ‘antimafia e antiterrorismo; deve, quindi, acquisire informazioni dalla Direzione dell’Istituto di detenzione e deve disporre accertamenti sulle condizioni reddituali e patrimoniali, sul tenore di vita, sulle attività economiche e sulla pendenza o definitività di misure di prevenzione personali o patrimoniali del detenuto, degli appartenenti al suo nucleo familiare o delle persone comunque a lui collegate. In definitiva, il principale portato della nuova disciplina si rinviene nella trasformazione da
assoluta in relativa della presunzione di pericolosità ostativa alla concessione dei benefici e delle misure alternative in favore dei detenuti non collaboranti. Costoro, infatti, sono ora ammessi alla possibilità di proporre richiesta, che può essere accolta in presenza di stringenti e concomitanti condizioni, diversificate a seconda dei reati per i quali è intervenuta condanna.
2.3. Ciò posto, l’eventuale accoglimento del reclamo rispetto al diniego del permesso premio era specificamente subordinato all’avvenuta acquisizione di elementi tali da escludere, sia l’attualità di collegamenti con la criminalità organizzata, sia il pericolo del ripristino di tali collegamenti e non già – come indicato nel provvedimento del magistrato di sorveglianza, confermato dalla impugnata ordinanza – sulla mancata collaborazione. Pertanto, le verifiche propedeutiche all’accertamento delle indicate condizioni dovevano estendersi, oltre agli ordinari presupposti del permesso premio, all’eventuale, esistenza di elementi, concreti e specifici, idonei a escludere non solo l’attualità dei collegamenti tra il condannato e la criminalità organizzata, terroristica o eversiva – requisito espressamente previsto dall’art. 4- bis, comma 1-bis, legge 26 luglio 1975, n. 354 – ma anche il pericolo del ripristino di siffatti collegamenti, tenuto conto delle circostanze del caso, tenuto anche conto della avvenuta remissione del debito e dei periodici versamenti effettuati dall’odierno ricorrente all’associazione antimafia di cui sopra.
2.4. Non va poi dimenticato che la giurisprudenza di legittimità ha precisato che, dopo la sentenza della Corte costituzionale n. 253 del 2019, il condannato non collaborante che intenda accedere al permesso premio può limitarsi ad allegare elementi fattuali – quali, ad esempio, l’assenza di procedimenti posteriori alla carcerazione, il mancato sequestro di missive o la partecipazione fattiva all’opera rieducativa – che, anche solo in chiave logica, siano idonei a contrastare la presunzione di perdurante pericolosità prevista dalla legge, spettando, invece, al giudice il compito di completare, se necessario, l’istruttoria, anche d’ufficio e restando, comunque, indefettibile l’acquisizione di informazioni dal Procuratore nazionale antimafia, dal Procuratore distrettuale territorialmente competente e dal Comitato dell’ordine e della sicurezza pubblica (Sez. 1, n. 33743 del 14/7/2021, COGNOME Rv. 281764). D’altra parte la Corte costituzionale, con la sentenza n. 20 del 2022, ha dichiarato l’infondatezza della questione di
legittimità sollevata con riferimento alla diversità di oneri probatori richiesti a ch rispettivamente, non abbia collaborato con la giustizia per libera scelta o perché
oggettivamente impossibilitato, osservando che raccoglimento o meno dell’istanza dipende dalla situazione oggettiva all’esame della magistratura di
sorveglianza, alla quale l’ordinamento, non irragionevolmente, è ancorato per stabilirne la forza presuntiva e, conseguentemente, per definire il regime
probatorio necessario a superarla.
3. Orbene, l’ordinanza impugnata deve essere annullata dato che il Tribunale di sorveglianza non si è attenuto alle chiare indicazioni contenute nel citato art.
e di quanto statuito dal Giudice delle leggi e della giurisprudenza di
4-bis legittimità; infatti, il provvedimento impugnato, nonostante dia atto di un
percorso intramurario ineccepibile del condannato e pur dando atto delle ulteriori allegazioni contenute nell’istanza (remissione del debito e versamenti in favore
di un’associazione per le vittime dei reati di mafia) ha fatto propria la decisione del magistrato di sorveglianza dando rilievo, in sostanza, alla sola mancata giustificazione dell’omessa collaborazione nonostante la nuova versione dell’art. 4-bis Ord. pen., come sopra illustrato, richiede l’esercizio del potere valutativo di merito in ordine all’esistenza dei requisiti di accesso al beneficio penitenziario di cui si tratta, alla luce della qualità, legislativamente riconosciuta quale relativa della presunzione di mantenimento di collegamenti con l’organizzazione di appartenenza, in caso di mancata collaborazione processuale.
L’ordinanza impugnata, pertanto, deve essere annullata con rinvio al Tribunale di sorveglianza di Ancona, affinché – in piena autonomia decisionale svolga una completa valutazione dell’istanza di permesso premio del ricorrente alla luce di principi sopra esposti.
P.Q.M.
Annulla l’ordinanza impugnata con rinvio per nuovo giudizio al Tribunale di sorveglianza di Ancona.
Così deciso in Roma, il 15 maggio 2025.