Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 36881 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 1 Num. 36881 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 15/10/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a Aci Sant’Antonio il DATA_NASCITA;
avverso la ordinanza del Tribunale di sorveglianza di L’Aquila del 20/05/2025;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
lette le conclusioni del Pubblico ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME, che ha chiesto il rigetto del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con la ordinanza indicata in epigrafe il Tribunale di sorveglianza di L’Aquila respingeva il reclamo proposto da NOME COGNOME avverso il decreto in data 7 marzo 2025, con il quale il locale magistrato di sorveglianza aveva respinto la sua richiesta di permesso premio ex art. 30-ter Ord. pen.
1.1. Il magistrato di sorveglianza, pur riconoscendo la rilevanza del percorso rieducativo compiuto dal condannato, aveva osservato che le motivazioni addotte dal condannato circa la sua mancata collaborazione e i progressi in tema di revisione critica non consentivano la concessione del beneficio invocato.
1.2. Il Tribunale di sorveglianza, nel respingere il reclamo, evidenziava la sussistenza del pericolo di ripristino dei collegamenti con la criminalità organizzata da parte del detenuto che sta espiando la pena dell’ergastolo per associazione di stampo mafioso, omicidi, estorsione ed altri reati (tutti volti ad agevolare l’attività del clan di riferimento) commessi sino al dicembre del 1996.
Avverso tale ordinanza NOME COGNOME, mediante l’AVV_NOTAIO, ha proposto ricorso per cassazione affidato ad un unico motivo, di seguito riprodotto nei limiti di cui all’art. 173 disp. att. cod. proc. pen., insistendo per il suo annullamento.
2.1. Il ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b), c) ed e), cod. proc. pen., la violazione ed erronea applicazione dell’art. 30-ter1.354/75 e la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione anche alla luce della sentenza n.253/2019 della Corte costituzionale; al riguardo osserva che il Tribunale di sorveglianza ha rigettato il reclamo senza tenere conto che, sulla base della citata decisione, è possibile – per chi sta espiando la condanna per uno dei reati ricompresi nel primo comma dell’art. 4-bis Ord. pen. – accedere al permesso premio anche senza avere collaborato con la giustizia.
2.2. Inoltre, evidenzia di avere prodotto l’ordinanza emessa, in sede cautelare, dal Tribunale di Catania, nell’ambito del procedimento c.d. ‘Vicerè’, con la quale era stata esclusa la sussistenza di gravi indizi di colpevolezza a carico dell’odierno ricorrente per il reato di cui all’art. 416-bis cod. pen. a conferma della insussistenza di suoi attuali collegamenti con la criminalità organizzata, ma che
di tale provvedimento il Tribunale di sorveglianza non ha tenuto conto. Infine, egli sottolinea che l’ordinanza impugnata non ha considerato la sua costante regolare condotta e la sua partecipazione all’opera di rieducazione, da intendersi come ulteriori elementi a conferma della sua cessata pericolosità sociale e della assenza di attuali legami con associazioni criminali di qualsiasi tipo.
CONSIDERATO IN DIRITTO
tra le altre, Sez. 1, n. 36456 del 09/04/2018, Corrias, Rv. 273608; Sez. 1, n. 11581 del 05/02/2013, COGNOME, Rv. 255311).
2.1. Nella ipotesi di condannati, come l’odierno ricorrente, in espiazione di una pena per reati ostativi «di prima fascia», quale quello di associazione mafiosa, deve tenersi conto della nuova formulazione dell’art. 4-bis Ord. pen. (susseguente la sentenza n. 253 del 2019 della Corte costituzionale) in forza del quale i benefici penitenziari per reati ostativi di ‘prima fascia possono essere concessi ai detenuti anche in assenza di collaborazione con la giustizia, a condizione che: a) dimostrino l’adempimento delle obbligazioni civili e degli obblighi di riparazione pecuniaria conseguenti alla condanna o l’assoluta impossibilità di adempimento; b) alleghino elementi specifici, diversi e ulteriori rispetto alla regolare condotta carceraria, alla partecipazione al percorso rieducativo e alla mera dichiarazione di dissociazione, che consentano di escludere l’attualità di collegamenti con la criminalità organizzata e con il contesto nel quale il reato è stato commesso, nonché il pericolo di ripristino di tali collegamenti, anche indiretti o tramite terzi, tenuto conto delle circostanze personali e ambientali, delle ragioni eventualmente dedotte a sostegno della mancata collaborazione, della revisione critica della condotta criminosa e di altra informazione disponibile; c) il giudice accerti la sussistenza di iniziative dell’interessato a favore delle vittime, sia nelle forme risarcitorie che in quelle della giustizia riparativa. Una volta che si accerti la ricorrenza delle menzionate condizioni, il Tribunale è chiamato a una complessa attività istruttoria, consistente nell’acquisizione di dettagliate informazioni, anche a conferma degli elementi offerti dal richiedente, in ordine: 1) al perdurare dell’operatività del sodalizio criminale di appartenenza o del contesto criminale in cui il delitto fu commesso; 2) al profilo criminale del detenuto; 3) alla sua posizione all’interno dell’associazione; 4) alle eventuali nuove imputazioni o misure cautelari o di prevenzione sopravvenute e, ove significative, 5) alle infrazioni disciplinari commesse in corso di detenzione.
2.2. Il Tribunale, ancora, deve richiedere il parere del pubblico ministero presso il giudice che ha emesso la sentenza di primo grado o, se si tratta di condanne per i delitti di cui agli artt. 51 commi 3-bis e 3-quater, cod. proc. pen., del pubblico ministero presso il Tribunale del capoluogo del distretto ove è stata
pronunciata la sentenza di primo grado, e del Procuratore nazionale ‘antimafia e antiterrorismo; deve, quindi, acquisire informazioni dalla Direzione dell’Istituto di detenzione e deve disporre accertamenti sulle condizioni reddituali e patrimoniali, sul tenore di vita, sulle attività economiche e sulla pendenza o definitività di misure di prevenzione personali o patrimoniali del detenuto, degli appartenenti al suo nucleo familiare o delle persone comunque a lui collegate. In definitiva, il principale portato della nuova disciplina si rinviene nella trasformazione da assoluta in relativa della presunzione di pericolosità ostativa alla concessione dei benefici e delle misure alternative in favore dei detenuti non collaboranti. Costoro, infatti, sono ora ammessi alla possibilità di proporre richiesta, che può essere accolta in presenza di stringenti e concomitanti condizioni, diversificate a seconda dei reati per i quali è intervenuta condanna.
Ciò posto, l’eventuale accoglimento del reclamo rispetto al diniego del permesso premio era specificamente subordinato all’avvenuta acquisizione di elementi tali da escludere, sia l’attualità di collegamenti con la criminalità organizzata, sia il pericolo del ripristino di tali collegamenti. Pertanto, le verifiche propedeutiche all’accertamento delle indicate condizioni dovevano estendersi, oltre agli ordinari presupposti del permesso premio, all’eventuale, esistenza di elementi, concreti e specifici, idonei a escludere non solo l’attualità dei collegamenti tra il condannato e la criminalità organizzata, terroristica o eversiva – requisito espressamente previsto dall’art. 4-bis, comma 1-bis, legge 26 luglio 1975, n. 354 – ma anche il pericolo del ripristino di siffatti collegamenti, tenuto conto delle circostanze del caso.
3.1. Non va poi dimenticato che la giurisprudenza di legittimità ha precisato che, dopo la sentenza della Corte costituzionale n. 253 del 2019, il condannato non collaborante che intenda accedere al permesso premio può limitarsi ad allegare elementi fattuali – quali, ad esempio, l’assenza di procedimenti posteriori alla carcerazione, il mancato sequestro di missive o la partecipazione fattiva all’opera rieducativa – che, anche solo in chiave logica, siano idonei a contrastare la presunzione di perdurante pericolosità prevista dalla legge, spettando, invece, al giudice il compito di completare, se necessario, l’istruttoria, anche d’ufficio e restando, comunque, indefettibile l’acquisizione di informazioni dal Procuratore nazionale antimafia, dal Procuratore distrettuale territorialmente
competente e dal Comitato dell’ordine e della sicurezza pubblica (Sez. 1, n. 33743 del 14/7/2021, Marazzotta Rv. 281764). D’altra parte la Corte costituzionale, con la sentenza n. 20 del 2022, ha dichiarato l’infondatezza della questione di legittimità sollevata con riferimento alla diversità di oneri probatori richiesti a chi, rispettivamente, non abbia collaborato con la giustizia per libera scelta o perché oggettivamente impossibilitato, osservando che l’accoglimento o meno dell’istanza dipende dalla situazione oggettiva all’esame della magistratura di sorveglianza, alla quale l’ordinamento, non irragionevolmente, è ancorato per stabilirne la forza presuntiva e, conseguentemente, per definire il regime probatorio necessario a superarla.
3.2. Orbene, l’ordinanza impugnata appare rispettosa delle chiare indicazioni contenute nel citato art. 4-bis e di quanto statuito dal Giudice delle leggi e dalla giurisprudenza di legittimità in materia; infatti, il Tribunale di sorveglianza – pur dando atto di un percorso intramurario regolare e partecipativo all’opera di rieducazione del condannato – ha evidenziato, con motivazione adeguata e non manifestamente illogica, la sussistenza di elementi a conferma del mantenimento di collegamenti con l’organizzazione di appartenenza, alla luce di quanto riferito dalla D.D.A. di Catania e della ordinanza dello stesso Tribunale che nel 2019 aveva escluso la impossibilità della collaborazione in capo al COGNOME, nonché di quanto indicato nella sopra indicata ordinanza del Tribunale del riesame di Catania, con particolare riferimento alla permanenza di contatti, da parte dell’odierno ricorrente nonostante sia detenuto, con i sodali.
3.3. Pertanto, le censure difensive (peraltro, in gran parte rivalutative) non scalfiscono il congruo argomentare del Tribunale di sorveglianza.
Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali a norma dell’art. 616 del codice di rito.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Così deciso in Roma, il 15 ottobre 2025.