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Permesso di necessità: il tempo che passa lo nega?

La Corte di Cassazione ha confermato il diniego di un permesso di necessità a un detenuto che chiedeva di visitare la tomba del fratello, deceduto quasi cinque anni prima. La sentenza sottolinea come il notevole lasso di tempo trascorso dall’evento luttuoso possa affievolire il requisito della sua attuale incidenza sulla vita familiare del richiedente, rendendo il permesso non più necessario ai fini umanitari previsti dalla legge.

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Pubblicato il 15 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Permesso di necessità: il decorso del tempo può annullare il diritto?

Il permesso di necessità rappresenta un importante strumento di umanizzazione della pena, consentendo ai detenuti di affrontare eventi familiari di eccezionale gravità. Tuttavia, la sua concessione non è automatica e richiede una valutazione attenta di specifici requisiti. Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha chiarito un aspetto cruciale: il fattore tempo. Quanto a lungo un evento luttuoso può essere considerato una giustificazione valida per ottenere tale beneficio? La Corte ha stabilito che un notevole lasso temporale può affievolire il legame tra l’evento e la vita familiare del detenuto, portando al rigetto della richiesta.

I Fatti del Caso

Un detenuto presentava istanza per ottenere un permesso di necessità al fine di recarsi sulla tomba del fratello, deceduto in data 24 giugno 2019. La richiesta veniva inizialmente rigettata dal Magistrato di Sorveglianza e, successivamente, anche il Tribunale di Sorveglianza di Roma, con ordinanza del 18 aprile 2024, respingeva il reclamo. La motivazione principale dei giudici di merito si basava sulla considerevole distanza temporale tra il decesso e la richiesta, ritenendo che tale intervallo avesse indebolito la finalità del permesso, ovvero la cura delle relazioni familiari, specialmente alla luce dell’elevata pericolosità sociale del richiedente.

Il detenuto, tramite il suo difensore, proponeva ricorso in Cassazione, sostenendo che la morte di un familiare costituisce sempre un evento di tale gravità da legittimare un permesso e che la non immediatezza non dovrebbe essere un fattore rilevante. Inoltre, secondo la difesa, le preoccupazioni per la sicurezza pubblica avrebbero potuto essere gestite attraverso adeguate misure di cautela, come la scorta armata.

La Decisione della Corte di Cassazione sul permesso di necessità

La Suprema Corte di Cassazione, con la sentenza in esame, ha rigettato il ricorso, confermando la decisione del Tribunale di Sorveglianza. I giudici hanno ritenuto infondate le doglianze del ricorrente, affermando che la valutazione del tribunale di merito non era né contraddittoria né manifestamente illogica. La Corte ha quindi condannato il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Le Motivazioni della Sentenza

La Corte ha ribadito che la concessione del permesso di necessità, ai sensi dell’art. 30, comma 2, dell’Ordinamento Penitenziario, è subordinata alla sussistenza di tre requisiti cumulativi:

1. L’eccezionalità della concessione.
2. La particolare gravità dell’evento giustificativo.
3. La correlazione dello stesso con la vita familiare del detenuto, valutando l’idoneità del fatto a incidere sulla sua vicenda umana.

Nel caso specifico, pur non negando la gravità dell’evento luttuoso (la morte del fratello), la Cassazione ha ritenuto logica l’argomentazione del Tribunale di Sorveglianza secondo cui il tempo trascorso – quasi cinque anni – incide negativamente sul terzo requisito: la correlazione con la vita familiare.

I giudici hanno spiegato che, sebbene il decesso di un familiare abbia un impatto profondo e duraturo, l’esigenza di vicinanza fisica per consolare i congiunti e per l’elaborazione comunitaria del dolore si attenua con il passare del tempo. L’atto di recarsi sulla tomba, a distanza di anni, assume un carattere diverso e non risponde più a quella necessità umanitaria immediata che la norma intende tutelare. In altre parole, il decorso del tempo “stempera il dolore e l’esigenza della sua esteriorizzazione”, rendendo non più “necessaria” la condivisione fisica con i familiari ai fini umanitari previsti dalla legge.

La Corte ha inoltre precisato che il controllo di legittimità non può consistere in una nuova valutazione dei fatti, ma deve limitarsi a verificare l’assenza di vizi logici o giuridici nella motivazione del provvedimento impugnato. In questo caso, la decisione del Tribunale di Sorveglianza era ben argomentata e coerente.

Le Conclusioni

Questa sentenza offre un importante principio guida per la valutazione delle istanze di permesso di necessità legate a eventi luttuosi non recenti. La gravità dell’evento, da sola, non è sufficiente. È fondamentale che l’evento abbia ancora un’incidenza significativa e attuale sulla vita familiare del detenuto. Il fattore temporale diventa quindi un elemento decisivo nell’analisi della “necessità” del permesso. La decisione sottolinea come il beneficio non sia uno strumento per la gestione del lutto a tempo indeterminato, ma un rimedio eccezionale legato a un bisogno concreto e attuale di sostegno familiare. Per i detenuti e i loro difensori, ciò significa che tali richieste devono essere motivate non solo sulla base della gravità del fatto passato, ma anche sulla sua persistente e dimostrabile rilevanza nel presente contesto familiare.

Un detenuto può sempre ottenere un permesso per visitare la tomba di un familiare?
No, non è un diritto automatico. La concessione dipende dalla valutazione congiunta di tre requisiti: l’eccezionalità del permesso, la particolare gravità dell’evento e la sua attuale correlazione con la vita familiare del detenuto.

Il tempo trascorso dal decesso di un familiare influisce sulla concessione del permesso di necessità?
Sì, in modo decisivo. Secondo questa sentenza, un lungo lasso di tempo può affievolire l’esigenza di condivisione del dolore e la necessità di vicinanza fisica, facendo venir meno il requisito della correlazione tra l’evento e la vita familiare, essenziale per ottenere il permesso.

La pericolosità sociale del detenuto è stato il motivo principale del diniego?
No. Sebbene la pericolosità sociale del richiedente sia stata menzionata, il motivo centrale del rigetto, come confermato dalla Cassazione, è stato il venir meno di uno dei requisiti di legge a causa del tempo trascorso, ovvero l’idoneità dell’evento a incidere in modo significativo sulla vita familiare attuale del detenuto.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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