Permesso con Orario Limitato: Anche un Minuto Conta per la Cassazione
Quando si è sottoposti a una misura restrittiva della libertà personale, ogni autorizzazione concessa dal giudice va rispettata con la massima precisione. Un recente provvedimento della Corte di Cassazione chiarisce che ignorare le prescrizioni orarie di un Permesso con orario limitato rende qualsiasi giustificazione inefficace e porta a conseguenze legali inevitabili. Analizziamo insieme questa importante decisione.
I Fatti del Caso
Una donna, sottoposta a una misura restrittiva che la obbligava a rimanere presso la residenza materna, aveva ottenuto un’autorizzazione speciale dal Magistrato di Sorveglianza. Questo provvedimento le consentiva di allontanarsi dal luogo di restrizione per due ore al giorno, specificamente dalle 10:00 alle 12:00 del mattino.
Nonostante la chiarezza dell’autorizzazione, la donna veniva sorpresa fuori dalla residenza alle ore 15:30, ben oltre il limite consentito. La sua difesa ha tentato di sostenere in appello che non fossero emersi elementi tali da dimostrare la “sopravvenuta inefficacia” del permesso. In altre parole, si cercava di argomentare che il permesso fosse ancora valido in linea di principio, nonostante la violazione dell’orario.
La Decisione della Corte e il Permesso con Orario Limitato
La Corte di Cassazione ha respinto categoricamente questa linea difensiva, dichiarando il ricorso “inammissibile” per manifesta infondatezza. Gli Ermellini hanno sottolineato un punto cruciale: l’autorizzazione stessa conteneva i limiti della sua validità. Il permesso non era generico, ma strettamente circoscritto a una precisa fascia oraria.
La condotta della donna, trovata fuori casa alle 15:30, era palesemente e inequivocabilmente incompatibile con i termini del Permesso con orario limitato che le era stato concesso. Di conseguenza, non era necessario dimostrare alcuna “inefficacia” sopravvenuta del provvedimento, poiché la violazione era già insita nel mancato rispetto delle sue condizioni essenziali.
Le Motivazioni della Sentenza
La motivazione della Suprema Corte è lineare e si fonda su un principio di logica e di diritto. I giudici hanno evidenziato come la sentenza impugnata avesse già correttamente messo in luce che la stessa autorizzazione, su cui la difesa basava le sue argomentazioni, era in realtà la prova principale contro la ricorrente. Il documento specificava chiaramente l’orario (10-12), rendendo la presenza fuori casa alle 15:30 una violazione diretta e non interpretabile.
Il ricorso è stato quindi giudicato manifestamente infondato perché pretendeva di contestare un giudizio di responsabilità basandosi su un elemento che, al contrario, confermava pienamente l’accusa. La Cassazione, in linea con l’art. 616 del codice di procedura penale, ha quindi condannato la ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma di tremila euro in favore della Cassa delle ammende.
Le Conclusioni e le Implicazioni Pratiche
Questa ordinanza ribadisce un concetto fondamentale nell’esecuzione penale: le autorizzazioni e i permessi concessi non sono un’attenuazione generica della misura, ma provvedimenti con prescrizioni specifiche che devono essere osservate alla lettera. Qualsiasi deviazione, specialmente per quanto riguarda gli orari, costituisce una violazione diretta e non lascia spazio a interpretazioni.
Per chi si trova in situazioni simili, questa decisione serve da monito: la fiducia accordata dal Magistrato di Sorveglianza attraverso un permesso va ripagata con il più scrupoloso rispetto delle regole. Tentare di giustificare una palese violazione oraria si rivela una strategia processuale inefficace e controproducente, che può portare a sanzioni economiche e a un aggravamento della propria posizione giuridica.
È possibile contestare una violazione se si possiede un’autorizzazione ad uscire?
No, se la condotta viola le condizioni specifiche dell’autorizzazione stessa. Nel caso di specie, l’autorizzazione era limitata alla fascia oraria 10:00-12:00, e trovarsi fuori alle 15:30 costituiva una violazione diretta di tale condizione.
Cosa succede se un ricorso in Cassazione viene dichiarato inammissibile?
Quando un ricorso è dichiarato inammissibile, la Corte non esamina il merito della questione. Come previsto dall’art. 616 c.p.p., il ricorrente viene condannato al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria a favore della Cassa delle ammende.
Perché il ricorso è stato considerato ‘manifestamente infondato’?
Perché le argomentazioni della difesa erano palesemente prive di fondamento giuridico. La difesa ha cercato di usare l’autorizzazione come prova a favore, ma la Corte ha stabilito che proprio quel documento, specificando l’orario, dimostrava in modo incontrovertibile la colpevolezza della ricorrente.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 30931 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 30931 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data Udienza: 06/06/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME nato a PESCARA il 17/08/1978
avverso la sentenza del 13/12/2024 della CORTE APPELLO di L’AQUILA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere COGNOME
letto il ricorso proposto nell’interesse di NOME COGNOME avverso la sentenza in epigrafe; esaminati gli atti e il provvedimento impugnato;
ritenuto che il ricorso è inammissibile giacchè l’unica censura prospettata, diretta a contestare il giudizio di responsabilità facendo leva sui contenuti dell’autorizzazione in derog concessa alla ricorrente con provvedimento del Magistrato di Sorveglianza del 6 novembre 2019, rispetto alla quale, ad avviso della difesa, non sarebbero emersi elementi utili ad affermarne la sopravvenuta inefficacia, è comunque manifestamente infondata, atteso che, come sinteticamente ma altrettanto adeguatamente messo in luce dalla sentenza gravata (pag. 3, quarto capoverso), anche detta autorizzazione prevedeva la possibilità per la ricorrente di uscire dal luogo di restrizione ( in quel frangente, secondo l’assunto difensivo, la residenza della madre) in un orario circoscritto ( dalla 10 alle 12), chiaramente incompatibile con quello della condott riscontrata ( le ore 15, 30 del 6 dicembre 2019)
rilevato che all’inammissibilità del ricorso conseguono le pronunce di cui all’art. 616 cod. proc. pen.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in data 6 Giugno 2025.