Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 5147 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 3 Num. 5147 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 26/09/2023
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
VALENTE NOME, nata a Bisceglie (Bat) il DATA_NASCITA;
avverso la sentenza n. 2583/22 della Corte di appello di Bari del 9 giugno 2022;
letti gli atti di causa, la sentenza impugnata e il ricorso introduttivo;
sentita la relazione fatta dal AVV_NOTAIO COGNOME;
letta la requisitoria scritta del PM, in persona del Sostituto Procuratore general NOME COGNOME, il quale ha concluso chiedendo la dichiarazione di inammissibili del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza pronunziata in data 9 giugno 2022 la Corte di appello di Bari ha confermato la decisione assunta in data 20 febbraio 2019 con la quale il Tribunale di Trani aveva dichiarato la penale responsabilità di NOME in ordine al reato a lei ascritto, consistente nella violazione della normat urbanistica per avere la stessa realizzato delle opere edili in assenza de prescritte autorizzazioni e la aveva, pertanto, condannata alla pena ritenuta giustizia.
Ha interposto ricorso per cassazione avverso la predetta sentenza la difesa fiduciaria della NOME, articolando due motivi di impugnazione; il primo è riferito all’errore in cui sarebbe caduto il giudice del gravame nel non ritene in ragione della intervenuta posticipazione operata in sede processuale del tempus commissi delitti, estinto il reato commesso per prescrizione, posto che la stessa contestazione cristallizzerebbe il termine di decorrenza di questa al luglio 2013, per cui, anche a considerare il pur lungo periodo di sospensione del detto termine, il reato già sarebbe stato prescritto al momento della pronunzi della sentenza di appello.
Il secondo motivo attiene alla mancata rilevazione dell’avvenuto rilascio del permesso a costruire in sanatoria il quale avrebbe determinato anch’esso la cessazione della rilevanza penale della condotta posta in essere.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile.
Ritiene il Collegio, stante la logica sua priorità – posto che laddove relativo motivo di impugnazione fosse accolto, la formula assolutoria da utilizzare in favore della prevenuta sarebbe la più ampia e liberatoria di dove esaminare in via principale il secondo motivo di ricorso, afferente all intervenuta irrilevanza penale, non colta in sede di gravame dalla Corte barese, del fatto ascritto alla imputata in quanto la realizzazione da parte sua manufatto edilizio per cui è causa sarebbe, ora, assistita dall’avvenuto rilas da parte della competente Autorità amministrativa del permesso a costruire in sanatoria.
Il motivo è manifestamente infondato.
Osserva infatti, il Collegio che, secondo quanto emerge dalla impugnata sentenza, il provvedimento cui si riferisce la ricorrente, ed il dato non ris
essere stato contestato in occasione della presente impugnazione, oltre riguardare, con riferimento ad un solo profilo dell’intervento edilizio opera dalla COGNOME, solamente l’aspetto paesaggistico della vicenda in esame, è stato per il resto, rilasciato sotto la condizione che la imputata compisse ancora de specifici interventi correttivi sulla struttura edificata, per altro neppure ri eseguiti.
Una tale provvedimento, secondo la consolidata e tuttora ampiamente condivisa, anche da questo Collegio, giurisprudenza della Corte di cassazione deve essere considerato tamquam non esset posto che il permesso a costruire in sanatoria è atto che, mutuando la nomenclatura del diritto privato, rient nel novero degli actus legitimi i quali non tollerano la apposizione di condizioni (cfr. in tale senso, nella specifica materia edilizia, per tutti: Corte di cassa Sezione III penale, 15 ottobre 2020, n. 28666; Corte di cassazione, Sezione II penale, 29 dicembre 2025, n. 51013).
Passando al primo motivo di impugnazione, con il quale la ricorrente sostiene che, essendo stata contestata la commissione delle contravvenzioni per cui è processo sino alla data del 30 luglio 2013, il reato, per effetto maturata prescrizione, doveva intendersi estinto, pur considerato il periodo anni 2, mesi 2 e giorni 12 in cui il relativo termine era rimasto sospeso, fin 12 ottobre 2020, quindi anteriormente alla pronunzia della sentenza della Corte territoriale che, erroneamente, non avrebbe rilevato tale circostanza.
Anche in questo caso la doglianza è manifestamente infondata.
Come è, infatti, evidente esaminando il capo di imputazione originariamente mosso a carico della COGNOME, in esso, in cui è pure indicata data del 30 luglio 2013 quale data di accertamento del reato, è, tuttavi chiaramente precisato che i lavori edilizi di cui alla imputazione erano “ancor in corso di esecuzione”.
Un tale rilievo, per prima cosa priva di alcuna fondatezza l’affermazione riguardante una pretesa modificazione della contestazione operata dalla Corte di appello, essendo, invece, chiaro che la originaria contestazione non er secondo la ordinaria terminologia forense, una contestazione “chiusa”, essendo, invece, stato, di fatto, contestato l’illecito in “attuale permanenza”.
Lo stesso permette altresì di affermare che, ai fini della fondatezza del eccezione di prescrizione, sarebbe stato onere della ricorrente difesa, stante natura appunto permanente dell’illecito in contestazione, dare in sede d
giudizio di merito la prova del fatto che, essendo stati definitivamente sospesi i lavori a decorrere da una certa data, da questa doveva essere calcolato il termine prescrizionale delle contravvenzioni contestate (Corte di cassazione, Sezione III penale, 4 marzo 2019, n. 9275).
Non essendo ciò avvenuto – né avendo un qualche rilievo il fatto che il giudizio di primo grado sia iniziato quando, ancora, secondo la Corte di merito, il reato era flagrante, posto che ad interrompere la permanenza di un reato, ove la contestazione di esso sia “aperta”, non è, in mancanza di altri fattori di cessazione della flagranza, la introduzione del giudizio di primo grado ma, semmai, la pronunzia della sentenza relativa ad esso (Corte di cassazione, Sezione III penale, 21 settembre 2017, n. 43173) – nessun fattore deponente per la definitiva sospensione della realizzazione dei lavori in atto è stato allegato dalla parte ricorrente, deve concludersi nel senso che anche tale secondo motivo di impugnazione deve essere dichiarato inammissibile.
Il ricorso deve, pertanto, essere dichiarato inammissibile nel suo complesso e la ricorrente, visto l’art. 616 cod. proc. pen., va condannata al pagamento delle spese processuali e della somma di euri 3.000.00 in favore della Cassa delle ammende.
PQM
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 26 settembre 2023
Il AVV_NOTAIO estensore
Il Presidente