Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 12981 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 2 Num. 12981 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 06/02/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME COGNOME, nato a Maddaloni il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 19/05/2023 della Corte d’appello di Napoli visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO Generale COGNOME, la quale ha concluso chiedendo l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata per essere il reato estinto per prescrizione, con trasmissione degli atti al giudice civile;
lette le conclusioni dell’AVV_NOTAIO, difensore della parte civile RAGIONE_SOCIALE, il quale ha concluso chiedendo che il ricorso sia dichiarato inammissibile, con la condanna dell’imputato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute dalla suddetta parte civile, come da allegata nota spese;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 19/05/2023, la Corte d’appello di Napoli confermava la sentenza del 29/09/2021 del Tribunale di Noia di condanna di NOME COGNOME alla pena di nove mesi di reclusione ed € 190,00 di multa per il reato di truffa continuata e pluriaggravata (dall’avere commesso il fatto a danno di un ente
pubblico e con abuso di prestazione d’opera)’ concesse le circostanze attenuanti generiche equivalenti alle due menzionate circostanze aggravanti.
Secondo il capo d’imputazione, tale reato era stato contestato all’imputato «perché, in esecuzione di un medesimo disegno criminoso, con artifici e raggiri consistiti nel dichiarare falsamente alla società RAGIONE_SOCIALE per cui svolgeva attività lavorativa di sorvegliante presso la sede di Pomigliano d’arco, di essere impegnato in attività inerenti il suo mandato di Consigliere Comunale presso il RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE, usufruendo in tal modo di permessi retribuiti inducendo in errore la società e il RAGIONE_SOCIALE, sulla liceità della sua assenza e sulla rimborsabilità dei permessi, si procurava l’ingiusto profitto di essere retribuito per i giorni in c non prestava alcuna attività lavorativa presso la RAGIONE_SOCIALE e non svolgeva alcuna attività consiliare con corrispondente danno per il RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE che rimborsava alla COGNOME la retribuzione anticipata per i permessi retribuiti usufruiti dallo RAGIONE_SOCIALE e per la società RAGIONE_SOCIALE che prestava la retribuzione anticipata e non usufruiva senza giustificato motivo della sua prestazione lavorativa. Con l’aggravante di aver commesso il fatto in danno di ente pubblico. Con l’aggravante dell’abuso di prestazione di opera di cui all’art. 61 n. 11 c.p. In RAGIONE_SOCIALE». Ciò ne giorni 6, 7, 9, 10, 16, 20, 23, 24 e 30 novembre 2015 (tempus commissi delicti così rettificato dal pubblico ministero nel corso dell’udienza del 09/12/2019 davanti al Tribunale di Noia; pag. 2 della sentenza di primo grado).
A
Avverso l’indicata sentenza del 19/05/2023 della Corte d’appello di Napoli, ha proposto ricorso per cassazione, per il tramite del proprio difensore, NOME COGNOME, affidato a due motivi.
2.1. Con il primo motivo, il ricorrente deduce, in relazione all’art. 606, comma 1, lett. e) e d), cod. proc. pen., l’inosservanza o l’erronea applicazione degli artt. 192 e 533, comma 1, cod. proc. pen.
Il ricorrente lamenta che la Corte d’appello di Napoli, non osservando o applicando erroneamente tali disposizioni della legge processuale, abbia confermato: a) sia la legittimità dell’acquisizione, da parte del Tribunale di Noia, della relazione ispettiva che era stata svoltai, su incarico di RAGIONE_SOCIALE, dal società di investigazioni RAGIONE_SOCIALE; b) sia la superflui dell’esame dei testimoni del pubblico ministero NOME COGNOME e NOME COGNOME, i quali avevano svolto, unitamente a NOME COGNOME (le cui dichiarazioni, rese nel giudizio civile davanti al giudice del lavoro, erano stat acquisite in ragione del successivo decesso dello stesso NOME COGNOME), le investigazioni che erano state esposte nella menzionata relazione ispettiva e la cui ammissione come testimoni era stata revocata, nonostante l’opposizione della difesa dell’imputato, dallo stesso Tribunale di Noia.
Quanto al primo aspetto, il ricorrente contesta la tesi della Corte d’appello di Napoli secondo cui la menzionata relazione ispettiva sì sarebbe potuta legittimamente acquisire ai sensi dell’art. 238, comma 3, cod. proc. pen., perché essa «risulta sottoscritta, in ogni sua pagina, dal solo COGNOME e che quest’ultimo, nel corso della sua deposizione, ha interamente richiamato» (pag. 10 della sentenza impugnata), atteso che le attività investigative esposte nella stessa relazione «venivano compiute da più soggetti che ben potevano e dovevano essere ascoltati sulle loro specifiche attività».
Nel citare testualmente un ampio stralcio del proprio atto di appello evidenziante «le criticità espresse sulla intera investigazione» effettuata da RAGIONE_SOCIALE, con particolare riferimento al «corredo fotografico» della stessa relazione – sul quale, contrariamente alla ritenuta (dalla Corte d’appello di Napoli) «irrilevan» dello stesso corredo, si fonderebbe la ricostruzione degli orari degli spostamenti dell’imputato e, quindi, l’affermazione della sua responsabilità -, il ricorrente ribadisce la valenza della negata prova testimoniale (con riferimento ai testimoni NOME COGNOME:chio e NOME COGNOME), la quale «avrebbe potuto lumeggiare sull’intero modus operandi tenuto dagli investigatori», le risultanze della cui attività avrebbero costituito fonte esclusiva dell’affermazione della propria responsabilità. Per tale ragione, sarebbe stata richiesta la rinnovazione dell’istruzione dibattimentale per esaminare i menzionati NOME COGNOME e NOME COGNOME.
2.2. Con il secondo motivo, il ricorrente deduce, in relazione all’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., l’inosservanza o l’erronea applicazione degli artt. 192 e 533, comma 1, cod. proc. pen.
Il ricorrente lamenta la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione della sentenza impugnata, oltre che di quella della sentenza di primo grado, in quanto richiamata dalla Corte d’appello di Napoli, rappresentando, a tale riguardo, che: a) diversamente da quanto ritenuto dalla stessa Corte d’appello, le dichiarazioni dei testimoni della difesa dell’imputato NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME non sarebbero state affatto «imprecise» (pag. 12 della sentenza impugnata), atteso che le stesse dichiarazioni «restituiscono la effettività delle attività inerenti la carica elettiva tenute dallo e la loro esatta corrispondenza con le risultanze investigative»; b) la Corte d’appello di Napoli, con l’affermare che «alcun elemento è stato acquisito per dimostrare che lo studio dei fascicoli avvenisse proprio in tale, singolare, orario» (pag. 12 della sentenza impugnata), cioè dalle ore 06:00 alle ore 09:00 del mattino, avrebbe trascurato quanto era stato dichiarato, nel corso dell’udienza di primo grado del 26/04/2021, dal testimone della difesa dell’imputato NOME COGNOME, il quale aveva riferito come gli fosse capitato di andare a casa dello COGNOME
di mattina presto; c) la stessa Corte d’appello di Napoli aveva ritenuto raggiunta la prova della responsabilità in ragione della riscontrata difformità tra il prospett riepilogativo dei giorni di assenza dal lavoro dell’imputato nel mese di novembre 2015 che lo NOME aveva inoltrato a RAGIONE_SOCIALE a mezzo fax il 03/12/2015, e le attestazioni depositate presso il RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE, nonostante queste ultime «attesta la effettiva partecipazione dello COGNOME alle attività istituziona susseguentemente certificano la insussistenza del reato di truffa», per inesistenza di artifici e raggiri posti in essere dall’imputato.
CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il primo motivo non è fondato. 1.1. Ancorché ciò non sia stato oggetto di contestazione, è anzitutto comunque opportuno evidenziare la legittimità dell’acquisizione delle dichiarazioni che erano state rese da NOME COGNOME – cioè uno degli investigatori privati della società di investigazioni RAGIONE_SOCIALE che, su incaric della persona offesa RAGIONE_SOCIALE, aveva svolto le investigazioni sui movimenti e sulle attività poste in essere dall’imputato nelle giornate di cui all’imputazion (come rettificata dal pubblico ministero) e che sottoscrisse la relazione ispettiva che compendiava gli esiti delle stesse investigazioni – nel corso del processo civile celebrato davanti al Tribunale di Noia, in funzione di giudice del lavoro, nella causa per la convalida del licenziamento che era stato intimato allo NOME (per gli stessi fatti di cui all’imputazione) dal suo datore di lavoro RAGIONE_SOCIALE L’acquisizion delle suddette dichiarazioni di NOME COGNOME si deve infatti ritenere legittima ai sensi sia del comma 2-bis dell’art. 238 cod. proc. pen., atteso che la sentenza civile faceva stato nei confronti dello COGNOME, sia del comma 3 dello stesso art. 238bis cod. proc. pen., atteso che il sopravvenuto imprevedibile decesso di NOME COGNOME rendeva impossibile la ripetizione delle stesse sue dichiarazioni. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Venendo alle censure del ricorrente, si deve ritenere parimenti legittima, contrariamente a quanto dallo stesso sostenuto, l’acquisizione della relazione ispettiva contenente l’esposizione delle menzionate investigazioni sui movimenti e sulle attività effettuati dall’imputato nelle giornate di cui all’imputazione.
A tale proposito, si deve rammentare come la Corte di cassazione abbia chiarito che l’attivazione dello statuto codicistico che è previsto per la disciplin delle attività di investigazione difensiva preventiva (artt. 327-bis e 391-nonies cod. proc. pen.) è rimessa alla volontà del soggetto, giacché essa ha natura del tutto facoltativa. In tale prospettiva ricostruttiva, si è ritenuta perciò legit l’attività svolta dall’investigatore privato, prima dell’iscrizione della notizia di re al di fuori dell’ambito applicativo dell’art. 391-nonies cod. proc. pen. (Sez. 4, n.
13110 del 08/01/2019, COGNOME, Rv. 275286-01; Sez. 2, n. 1731 del 21/12/2017, dep. 2018, Colella, Rv. 272674-01).
Pertanto, posto che, alla luce di tali principi – e, in particolare, de facoltatività del ricorso all’attività di investigazione preventiva prevista dall’ 391-nonies cod. proc. pen. – RAGIONE_SOCIALE non aveva alcun obbligo di nominare un difensore ma ben poteva, come ha fatto, conferire direttamente all’investigatore privato un incarico al fine di verificare la fondatezza dei propr sospetti circa la giustificatezza dei permessi retribuiti dei quali lo NOME avev chiesto di usufruire, ne discende che la rellazione del suddetto investigatore, configurandosi come un documento extra-procedimentale, in quanto precostituito rispetto all’inizio del procedimento penale, ben poteva essere legittimamente acquisita come prova documentale e, quindi, utilizzata ai fini della decisione.
Nel caso in esame, il Collegio ritiene che la Corte d’appello di Napoli abbia congruamente motivato la conferma della superfluità, già ritenuta dal Tribunale di Nola, dell’escussione dei testimoni NOME COGNOME e NOME COGNOME. La stessa Corte d’appello ha infatti logicamente evidenziato come costoro, tenuto conto del fatto che, nelle acquisite dichiarazioni che erano state rese davanti al giudice civile, NOME COGNOME, oltre a richiamare interamente la ricordata relazione ispettiva a sua firma, aveva descritto, con dovizia di particolari, le modalità con le quali erano avvenuti i pedinamenti dello NOME e ne erano stati ricostruiti i movimenti, l’invocata audizione degli altri due menzionati investigatori (NOME COGNOME e NOME COGNOME) nulla avrebbe potuto in effetti
Quanto alla contestata conferma della revoca dell’ammissione dei testimoni NOME COGNOME e NOME COGNOME – cioè degli altri due investigatori privati che, oltre a NOME COGNOME e a NOME COGNOME (quest’ultimo esaminato come testimone nel corso del dibattimento in primo grado), avevano svolto le più volte menzionate investigazioni, si deve rammentare che, secondo la giurisprudenza della Corte di cassazione, il potere giudiziale di revoca, per superfluità, delle prove già ammesse è, nel corso del dibattimento, più ampio di quello esercitabile all’inizio del dibattimento stesso, momento in cui il giudice può non ammettere soltanto le prove vietate dalla legge o quelle manifestamente superflue o irrilevanti; con la conseguenza che la censura di mancata ammissione di una prova decisiva si risolve, una volta che il giudice abbia indicato in sentenza le ragioni della revoca della prova già ammessa, in una verifica della logicità e congruenza della relativa motivazione, raffrontata al materiale probatorio raccolto e valutato (Sez. 3, n. 13095 del 17/01/2017, S., Rv. 269331-01; Sez. 2, n. 9056 del 21/09/2009, COGNOME, Rv. 243306-01; .Sez. 6, n. 13792 del 06/10/1999, COGNOME, Rv. 215281-01). Corte di Cassazione – copia non ufficiale
aggiungere a quanto era stato riferito dal dominus di RAGIONE_SOCIALE NOME COGNOME.
La Corte d’appello di Napoli ha altresì evidenziato, sempre in ordine alla confermata superfluità dell’esame dei testimoni NOME COGNOME e NOME COGNOME, come le «criticità» che erano state prospettate dalla difesa dell’imputato in ordine al «corredo fotografico» della relazione ispettiva, fino a contestarne la stessa autenticità, trovassero in realtà agevole spiegazione – che anche il Collegio ritiene del tutto logica – nel fatto che le fotografie de quibus erano state stampate più volte, per essere successivamente prodotte nel giudizio civile, in allegato alla denuncia-querela e nel processo penale.
Si deve altresì sottolineare come la stessa Corte d’appello di Napoli avesse evidenziato come le riscontrate difformità tra, da un lato, il prospetto riepilogativo dei giorni di assenza dal lavoro dello NOME nel mese di novembre 2015 che l’imputato aveva inoltrato al suo datore di lavoro RAGIONE_SOCIALE a mezzo fax il 03/12/2015 e gli attestati relativi allo svolgimento delle sedute consilia allegati allo stesso prospetto e, dall’altro lato, gli analoghi attestati che erano sta depositati presso il RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE – con la conseguenza che i primi si dovevano ritenere essere stati materialmente alterati – costituisse un elemento tale da supportare la valutazione di responsabilità penale «anche al netto delle valutazioni in ordine alle dichiarazioni degli investigatori» (pag. 10 della sentenza impugnata).
Con tale complessiva motivazione, la Corte d’appello di Napoli si deve ritenere avere dato altresì logicamente conto delle ragioni per le quali riteneva di potere decidere allo stato degli atti e di non dovere, perciò, rinnovare l’istruttori dibattimentale per esaminare i due menzionati testimoni.
1.2. Considerato che il motivo è sì privo di fondatezza ma non si deve ritenere manifestamente infondato, la conseguente formazione di un valido rapporto d’impugnazione impone di rilevare e dichiarare la prescrizione dei reati maturata successivamente alla sentenza impugnata; nella specie, per il più recente dei contestati episodi delittuosi (cioè quello del 30/11/2015), il 02/08/2023, in applicazione del termine massimo di sette anni e sei mesi, ai quali vanno aggiunti 64 giorni di sospensione del corso della prescrizione durante il giudizio di primo grado ai sensi della disciplina emergenziale per il contenimento della pandemia da Covid-19).
Alla luce del quadro probatorio descritto dalle due conformi sentenze di merito, non sussistono infatti elementi per giungere a una più favorevole sentenza di assoluzione nel merito.
1.3. Posto che la dichiarazione di prescrizione dei reati in continuazione, stante la presenza delle statuizioni civili nei confronti dello lodo (e in favore de RAGIONE_SOCIALE e di RAGIONE_SOCIALE), impone di valutare l’impugnazione ai
sensi dell’art. 578 cod. proc. pen., il Collegio ritiene che il ricorso debba essere rigettato agli effetti civili e che le suddette statuizioni civili debbano, perciò, ess confermate.
Il Collegio reputa infatti che dal compendio probatorio descritto dalle due sentenze di merito risulti la sussistenza dell’illecito civile e la conseguent fondatezza delle pretese risarcitorie delle suddette due menzionate parti civili.
Tale sussistenza dell’illecito civile, consistito nell’avere utilizzato i permess previsti dall’art. 79 del d.lgs. 18 agosto 2020, n. 267 per scopi diversi da quelli propri di ciascuno di essi, inviando delle false attestazioni al proprio datore di lavoro RAGIONE_SOCIALE, e tale fondatezza delle suddette pretese risarcitorie, in ragione del danno cagionato sia al RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE (che rimborsava al datore di lavoro la retribuzione da questo anticipata allo NOME per i permessi retribuiti d lui usufruiti) sia a RAGIONE_SOCIALE (che anticipava la retribuzione e non usufruiva, senza un giustificato motivo, della prestazione lavorativa dello COGNOME) risultano infatti alla luce: a) del fatto che il prospetto riepilogativo dei giorn assenza dal lavoro dello NOME nel mese di novembre 2015 che lo stesso NOME aveva inoltrato al suo datore di lavoro RAGIONE_SOCIALE a mezzo fax il 03/12/2015 e gli attestati relativi allo svolgimento delle sedute consiliari allegati allo ste prospetto erano risultati difformi rispetto agli analoghi attestati che erano stat depositati presso il RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE, con la conseguenza che i primi appaiono essere stati materialmente alterati, sicché appare logico quanto ritenuto dalla Corte d’appello di Napoli che lo COGNOME, da un lato, avesse depositato presso il RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE degli attestati veritieri (cioè riportanti gli orari di effett svolgimento delle sedute consiliari) e, dall’altro lato, avesse al contempo inviato al proprio datore di lavoro delle attestazioni artefatte, in quanto recanti una tempistica che gli consentiva di coprire il residuo orario di lavoro ed evitare di doversi presentare in ufficio per ultimare il proprio turno, confidando nel fatto che RAGIONE_SOCIALE non era in condizioni di controllare la veridicità delle attestazioni a essa trasmesse; b) del contenuto delle dichiarazioni degli investigatori privati NOME COGNOME (rese nel giudizio civile davanti al giudice del lavoro) e NOME COGNOME (rese nella qualità di testimone nel corso del giudizio di primo grado) e della più volte menzionata relazione ispettiva, dalle quali risultavano i movimenti e le attività effettuati dello NOME nei giorni di all’imputazione e, in particolare, che in tali giorni lo NOME non aveva svolto attiv politica o l’aveva svolta per un numero di ore inferiore a quanto dichiarato al proprio datore di lavoro senza rientrare in servizio. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Pertanto: a) la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio agli effetti penali, perché i reati sono estinti per prescrizione; b) il ricorso deve esser rigettato agli effetti civili; c) in conseguenza di quest’ultima statuizione,
ricorrente deve essere condannato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile RAGIONE_SOCIALE, che si liquidano in complessivi C 3.450,00, oltre accessori di legge,
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata agli effetti penali, perché i reati sono estinti per prescrizione. Rigetta il ricorso agli effetti civili e condann l’imputato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile RAGIONE_SOCIALE che liquida in complessivi euro 3450,00 oltre accessori di legge.
Così deciso il 06/02/2024.