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Permessi retribuiti: truffa e prescrizione del reato

Un lavoratore e consigliere comunale, condannato per truffa aggravata per aver utilizzato permessi retribuiti in modo fraudolento, vede la sua condanna penale annullata dalla Corte di Cassazione per intervenuta prescrizione. Tuttavia, la Corte ha confermato la sua responsabilità civile, obbligandolo a risarcire i danni al datore di lavoro e al Comune, ritenendo provato l’illecito civile sulla base delle prove raccolte, incluse le indagini di un’agenzia investigativa privata.

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Pubblicato il 10 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Permessi Retribuiti: Annullata per Prescrizione la Condanna per Truffa, Ma Resta il Risarcimento

L’uso improprio dei permessi retribuiti da parte di un lavoratore che ricopre anche una carica pubblica può avere conseguenze sia penali che civili. Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha chiarito un punto fondamentale: anche se il reato si estingue per prescrizione, l’obbligo di risarcire il danno rimane. Analizziamo questo caso complesso che coinvolge un dipendente di una società di sicurezza e consigliere comunale, accusato di aver truffato il suo datore di lavoro e l’ente pubblico.

I Fatti: L’Uso Illecito dei Permessi Retribuiti

Il caso riguarda un dipendente di una società di sicurezza che, in qualità di consigliere comunale, aveva diritto a permessi retribuiti per svolgere le sue funzioni istituzionali. Secondo l’accusa, confermata nei primi due gradi di giudizio, l’uomo avrebbe sistematicamente abusato di questo diritto. In particolare, avrebbe dichiarato falsamente di essere impegnato in attività consiliari per assentarsi dal lavoro, inducendo in errore sia la sua azienda che il Comune.

Il meccanismo fraudolento consisteva nella presentazione di attestazioni alterate al datore di lavoro per giustificare le assenze. Sulla base di questi documenti, la società gli corrispondeva la retribuzione, chiedendo poi il rimborso al Comune, come previsto dalla legge. Il risultato era un doppio danno: per l’azienda, che pagava uno stipendio per prestazioni lavorative non rese, e per l’ente pubblico, che rimborsava somme non dovute.

Le Indagini Private e la Prova nel Processo

Un aspetto cruciale del processo è stato il ruolo delle prove raccolte tramite un’agenzia di investigazioni private, incaricata dalla società datrice di lavoro per verificare i movimenti del dipendente. La difesa dell’imputato aveva contestato la legittimità dell’acquisizione di tale relazione investigativa e delle dichiarazioni rese da uno degli investigatori (poi deceduto) in un separato giudizio civile di lavoro.

La Corte di Cassazione ha respinto queste obiezioni, affermando la piena legittimità di tali prove. Ha chiarito che un soggetto privato, che sospetta di essere vittima di un reato, può incaricare un investigatore per raccogliere prove prima ancora che inizi un procedimento penale. La relazione prodotta, in questo contesto, è considerata un documento extra-processuale, pienamente utilizzabile ai fini della decisione.

La Decisione della Corte sui permessi retribuiti e la Truffa

Arrivata in Cassazione, la vicenda ha avuto un esito duplice. Dal punto di vista penale, i giudici hanno dovuto prendere atto del decorso del tempo. Calcolando il termine massimo di prescrizione dal giorno dell’ultimo fatto contestato (30 novembre 2015), il reato di truffa si era estinto. Di conseguenza, la Corte ha annullato la sentenza di condanna senza rinvio.

Tuttavia, la partita non si è chiusa qui. Per quanto riguarda gli effetti civili, la Corte ha rigettato il ricorso dell’imputato. Ciò significa che, pur non essendo più penalmente condannato, l’uomo è stato ritenuto civilmente responsabile del danno causato e obbligato a risarcire sia la società di sicurezza sia il Comune. Inoltre, è stato condannato a pagare le spese legali sostenute dalla parte civile nel giudizio di Cassazione.

Le Motivazioni della Sentenza

La motivazione della Corte si basa su un principio giuridico consolidato: la prescrizione estingue il reato, ma non cancella il fatto storico e l’illecito civile che ne deriva. L’articolo 578 del codice di procedura penale prevede che, in caso di prescrizione, il giudice d’appello o la Cassazione debbano comunque decidere sull’impugnazione ai soli fini delle statuizioni civili.

Nel caso specifico, la Corte ha riesaminato il materiale probatorio e ha concluso che la sussistenza dell’illecito civile fosse ampiamente dimostrata. Le prove decisive erano:

1. La difformità documentale: Esisteva una chiara discrepanza tra le attestazioni di presenza depositate al Comune (veritiere) e quelle, palesemente artefatte, inviate al datore di lavoro per giustificare un numero maggiore di ore di assenza.
2. Le prove investigative: Le dichiarazioni degli investigatori privati e la relativa relazione ispettiva confermavano che nei giorni contestati l’imputato non svolgeva attività politica o la svolgeva per un tempo inferiore a quello dichiarato.

La Corte ha quindi ritenuto che il comportamento dell’imputato costituisse un illecito civile, fonte di un danno ingiusto per il datore di lavoro e per l’ente pubblico, e ha confermato il suo obbligo di risarcimento.

Conclusioni: L’Importanza della Distinzione tra Effetti Penali e Civili

Questa sentenza offre un insegnamento importante sulla netta distinzione tra l’esito di un processo penale e le sue conseguenze civili. L’estinzione del reato per prescrizione non significa automaticamente un’assoluzione nel merito né tantomeno un’esenzione dalla responsabilità per i danni causati. Il compendio probatorio raccolto in sede penale può essere sufficiente a fondare una condanna al risarcimento, garantendo così una tutela, seppur parziale, alle vittime del comportamento illecito. La decisione ribadisce che l’ordinamento giuridico non lascia privo di conseguenze un atto dannoso, anche quando le tempistiche processuali impediscono di arrivare a una condanna penale definitiva.

È possibile utilizzare le prove raccolte da un investigatore privato ingaggiato dalla parte offesa in un processo penale?
Sì. La Corte di Cassazione ha stabilito che la relazione di un investigatore privato, incaricato prima dell’inizio del procedimento penale per verificare la fondatezza di un sospetto, è un documento extra-procedimentale che può essere legittimamente acquisito e utilizzato come prova documentale ai fini della decisione.

Cosa succede se il reato si estingue per prescrizione ma c’è una richiesta di risarcimento danni?
Se il reato si estingue per prescrizione, la condanna penale viene annullata. Tuttavia, il giudice dell’impugnazione (Corte d’Appello o Cassazione) è tenuto a decidere sulle richieste civili. Se le prove raccolte dimostrano l’esistenza di un illecito civile e di un danno, il giudice può confermare o stabilire la condanna al risarcimento a favore della parte civile.

In questo caso, perché la Cassazione ha ritenuto provato l’illecito civile nonostante l’annullamento della condanna penale?
La Corte ha ritenuto provato l’illecito civile sulla base di due elementi principali: primo, la palese difformità tra gli attestati di presenza depositati al Comune e le versioni alterate inviate al datore di lavoro; secondo, le risultanze delle indagini private che dimostravano come l’imputato non svolgesse le attività istituzionali dichiarate. Questi elementi, nel loro complesso, hanno dimostrato in modo inequivocabile il comportamento illecito e il danno conseguente.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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