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Permessi premio reati ostativi: la nuova legge

La Corte di Cassazione ha confermato il diniego di un permesso premio a un detenuto all’ergastolo per reati di mafia. La sentenza chiarisce che, nonostante la nuova legge sui permessi premio per reati ostativi, la mancata collaborazione con la giustizia richiede prove rigorose della rottura con l’ambiente criminale. In questo caso, l’atteggiamento autogiustificatorio del detenuto e il persistente sostegno economico del clan alla sua famiglia sono stati considerati indicatori di una pericolosità sociale ancora attuale, rendendo legittimo il rigetto dell’istanza.

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Pubblicato il 22 dicembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Permessi Premio per Reati Ostativi: La Cassazione Sulla Nuova Disciplina

Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha offerto un’importante chiave di lettura sulla concessione di permessi premio per reati ostativi, specialmente per i detenuti non collaboranti con la giustizia. La pronuncia interviene sulla scia della riforma del 2022, che ha trasformato la presunzione di pericolosità da ‘assoluta’ a ‘relativa’. Questo caso specifico, riguardante un detenuto condannato all’ergastolo per associazione mafiosa e omicidio, dimostra come la strada per ottenere i benefici sia ancora rigorosa e richieda prove concrete di un effettivo distacco dal mondo criminale.

I Fatti del Caso: La Richiesta di un Detenuto per Ergastolo

Il ricorrente, condannato alla pena dell’ergastolo per essere stato capo e promotore di un sodalizio criminale, aveva presentato istanza per ottenere un permesso premio. La richiesta era stata respinta prima dal Magistrato di Sorveglianza e poi, in sede di reclamo, dal Tribunale di Sorveglianza. Secondo i giudici, nonostante la buona condotta carceraria e la partecipazione ad attività trattamentali, il detenuto non aveva fornito elementi sufficienti per superare la presunzione di pericolosità sociale. In particolare, il suo atteggiamento era stato definito ‘autogiustificatorio e minimalista’ riguardo ai gravissimi reati commessi. Inoltre, la sua scelta di non collaborare, motivata dal timore di ritorsioni sulla famiglia, non era stata ritenuta credibile, data la sua posizione apicale nel clan.

La Nuova Normativa e i Requisiti per i Permessi Premio Reati Ostativi

Il ricorso in Cassazione si fondava sulla presunta violazione della nuova disciplina introdotta dal D.L. n. 162 del 2022. Questa normativa, attuativa di una precedente sentenza della Corte Costituzionale, ha stabilito che anche i condannati per reati ostativi non collaboranti possono accedere ai benefici penitenziari, ma a condizioni molto stringenti. Essi devono dimostrare:

1. L’adempimento delle obbligazioni civili e risarcitorie o l’impossibilità di farlo.
2. L’allegazione di elementi specifici che escludano collegamenti attuali con la criminalità organizzata e il pericolo di un loro ripristino.
3. L’aver intrapreso iniziative a favore delle vittime, anche attraverso la giustizia riparativa.

Il ricorrente sosteneva di aver fornito elementi idonei a provare la recisione dei legami con il suo passato criminale, come la revisione critica del proprio operato, la disponibilità a percorsi di giustizia riparativa e il mutato contesto criminale sul territorio.

Le Motivazioni della Corte di Cassazione

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, ritenendo la decisione del Tribunale di Sorveglianza pienamente conforme alla nuova legge. I giudici di legittimità hanno sottolineato che il Tribunale ha condotto un’istruttoria approfondita, basandosi non solo sulla relazione di sintesi del carcere, ma anche sulle informative della Direzione Nazionale Antimafia.

Da queste indagini era emerso un quadro ben diverso da quello rappresentato dal detenuto. In particolare, la Corte ha valorizzato i seguenti punti:

* Mancanza di revisione critica: Il detenuto aveva banalizzato le sue scelte criminali passate, mostrando un atteggiamento incompatibile con un reale percorso di cambiamento.
* Persistenza del legame criminale: Le ragioni della mancata collaborazione sono state giudicate pretestuose ed espressive di una perdurante pericolosità. Inoltre, era stato accertato che il clan, ancora operativo, aveva continuato a versare una ‘retribuzione’ mensile alla famiglia del detenuto fino a tempi recenti, un chiaro segno di mantenimento del legame associativo.
* Presunzione di pericolosità non superata: L’insieme di questi elementi ha portato la Corte a concludere che il ricorrente non aveva fornito la prova rigorosa, richiesta dalla nuova normativa, di un distacco effettivo e irreversibile dall’organizzazione criminale.

Conclusioni: Cosa Cambia per i Detenuti Non Collaboranti?

La sentenza ribadisce un principio fondamentale: la riforma del 2022 non ha introdotto un ‘liberi tutti’ per i condannati per permessi premio reati ostativi. Se da un lato ha eliminato l’automatismo che legava la concessione dei benefici alla collaborazione, dall’altro ha posto a carico del detenuto non collaborante un onere probatorio molto gravoso. Non basta la buona condotta o una generica dichiarazione di dissociazione. È necessario fornire elementi concreti, specifici e verificabili che dimostrino, senza ombra di dubbio, la fine di ogni collegamento con il contesto criminale di provenienza. La decisione del giudice di sorveglianza deve basarsi su un’analisi completa che tenga conto di tutti gli indicatori, inclusi quelli provenienti dalle autorità investigative, per valutare se la presunzione di pericolosità possa dirsi superata.

Dopo la riforma del 2022, un detenuto per reati ostativi che non collabora con la giustizia può ottenere un permesso premio?
Sì, può ottenerlo, ma solo a condizioni molto stringenti. Deve dimostrare di aver adempiuto agli obblighi civili, di aver rotto ogni legame con la criminalità organizzata e di aver intrapreso iniziative a favore delle vittime.

Quali prove deve fornire un detenuto non collaborante per superare la presunzione di pericolosità?
Deve fornire elementi specifici, diversi e ulteriori rispetto alla regolare condotta carceraria e alla mera dichiarazione di dissociazione. Questi elementi devono consentire di escludere l’attualità di collegamenti con la criminalità e il pericolo che si ripristinino, tenendo conto anche di una revisione critica della propria condotta criminale.

Perché in questo caso la Corte ha ritenuto che il detenuto non avesse reciso i legami con il clan?
La Corte ha ritenuto la dissociazione non credibile perché il detenuto ha mantenuto un atteggiamento autogiustificatorio, ha fornito motivazioni non convincenti per la sua mancata collaborazione e, soprattutto, perché è stato accertato che il suo clan di appartenenza, ancora operativo, ha continuato fino a tempi recenti a versare una retribuzione mensile alla sua famiglia.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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