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Permessi premio: no se manca la revisione critica

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso di un detenuto condannato per sequestro di persona a scopo di estorsione, a cui era stato negato un permesso premio. La Corte ha stabilito che, anche in assenza di collaborazione con la giustizia, il detenuto deve fornire prove concrete del suo distacco dalla criminalità. La semplice proclamazione di innocenza e un’istanza di revisione basata su presunte prove artefatte sono state interpretate come assenza di revisione critica e persistente pericolosità sociale, giustificando il diniego dei permessi premio.

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Pubblicato il 19 dicembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Permessi premio negati: la Cassazione esige una vera revisione critica

Una recente sentenza della Corte di Cassazione ribadisce un principio cruciale in materia di esecuzione della pena: per i detenuti condannati per reati gravi, l’accesso ai permessi premio è subordinato non solo alla buona condotta, ma anche a una tangibile e profonda revisione critica del proprio passato criminale. La mera dichiarazione di innocenza, se non supportata da altro, può essere interpretata come un segnale contrario a tale percorso, precludendo il beneficio.

I Fatti di Causa

Il caso esaminato riguarda un detenuto condannato per sequestro di persona a scopo di estorsione, un reato ‘ostativo’ che limita l’accesso ai benefici penitenziari. Inizialmente, il Magistrato di sorveglianza aveva concesso il permesso, ma il Procuratore della Repubblica aveva presentato reclamo. Il Tribunale di sorveglianza, accogliendo il reclamo, aveva riformato la decisione, negando il beneficio.

Il detenuto ha quindi proposto ricorso in Cassazione, lamentando una violazione della normativa sui permessi premio (art. 4-bis Ord. pen.), così come modificata da recenti interventi della Corte Costituzionale e del legislatore. Sosteneva che il Tribunale avesse erroneamente dato peso decisivo alla sua mancata collaborazione e alla sua proclamazione di innocenza, ignorando pareri favorevoli e il suo percorso carcerario.

La Disciplina dei Permessi Premio per Reati Ostativi

L’art. 4-bis dell’Ordinamento Penitenziario ha subito una significativa evoluzione. In origine, per i condannati per reati di prima fascia (come quelli di mafia), la collaborazione con la giustizia era una condizione quasi imprescindibile per ottenere benefici.

La Corte Costituzionale, con la storica sentenza n. 253 del 2019, ha dichiarato illegittima questa presunzione assoluta di pericolosità, aprendo alla possibilità di concedere permessi premio anche ai non collaboranti, a patto che fossero emersi elementi tali da escludere collegamenti attuali con la criminalità organizzata.

Successivamente, la legge n. 199 del 2022 ha recepito questi principi, stabilendo nuove e rigorose condizioni. Il detenuto non collaborante deve:
1. Dimostrare di aver adempiuto alle obbligazioni civili (risarcimento del danno).
2. Allegare elementi specifici che escludano l’attualità di legami con il contesto criminale e il pericolo di un loro ripristino.
3. Provare di aver intrapreso iniziative a favore delle vittime.

Questi elementi devono essere ‘diversi e ulteriori’ rispetto alla semplice buona condotta carceraria e alla partecipazione al percorso rieducativo. Fondamentale è la dimostrazione di una ‘revisione critica della condotta criminosa’.

Le Motivazioni della Decisione

La Corte di Cassazione ha ritenuto il ricorso infondato, confermando la decisione del Tribunale di sorveglianza. Secondo gli Ermellini, il detenuto non solo non ha adempiuto al suo onere di allegazione, ma ha posto in essere condotte che dimostrano l’esatto contrario di una revisione critica.

Il Tribunale aveva evidenziato come l’imputato, per sostenere la propria innocenza, avesse attivato un’istanza di revisione del processo basata su testimonianze e fatti ‘artefatti’, configurando un vero e proprio ‘depistaggio’. Questa azione, particolarmente insidiosa perché mirava a confutare un accertamento giudiziario irrevocabile, è stata interpretata come un chiaro sintomo di elevata pericolosità sociale e di totale assenza di un percorso di riesame interiore.

La Cassazione ha chiarito che non si richiede un’ammissione di colpevolezza come condizione necessaria, ma si esclude che possa iniziare un percorso di revisione critica quando il condannato cerca attivamente di contrastare la sentenza con mezzi fraudolenti. Questo comportamento non è un legittimo esercizio del diritto di difesa, ma un indice negativo che preclude la concessione dei permessi premio.

Le Conclusioni

La sentenza consolida un’interpretazione rigorosa della nuova normativa. Per i condannati per reati ostativi che non collaborano, la strada verso i benefici penitenziari è percorribile, ma richiede una prova particolarmente onerosa. Non è sufficiente mantenere una buona condotta in carcere; è indispensabile dimostrare attivamente, con elementi concreti e specifici, di aver reciso ogni legame con il passato e di aver intrapreso un autentico percorso di revisione critica. L’ostinata e pretestuosa negazione della propria responsabilità, manifestata attraverso tentativi di depistaggio, è stata considerata dalla Corte come la negazione stessa di questo percorso, giustificando pienamente il diniego del beneficio.

Un detenuto per un reato grave che non collabora con la giustizia può ottenere un permesso premio?
Sì, la legge lo consente, ma a condizioni molto rigorose. Il detenuto deve dimostrare, con elementi concreti e specifici, l’assenza di collegamenti attuali con la criminalità organizzata, di aver adempiuto alle obbligazioni civili e di aver intrapreso una profonda revisione critica del proprio passato criminale.

Cosa si intende per ‘revisione critica della condotta criminosa’?
È un processo interiore di riesame e presa di distanza dal reato commesso. Secondo la sentenza, non è compatibile con azioni che mirano a contrastare la condanna definitiva con mezzi fraudolenti, come la creazione di prove false per ottenere la revisione del processo.

Perché in questo caso la proclamazione di innocenza è stata un fattore negativo?
Non è stata la proclamazione di innocenza in sé a essere negativa, ma le modalità con cui è stata perseguita. Il detenuto ha organizzato un ‘depistaggio’, tentando di confutare la condanna con prove testimoniali ritenute artefatte. Questo comportamento è stato interpretato dalla Corte non come un legittimo diritto, ma come un sintomo di persistente pericolosità sociale e di totale assenza del necessario percorso di revisione critica.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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