Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 35479 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 35479 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 02/07/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a GROSSETO il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 21/03/2024 del TRIB. SORVEGLIANZA di SASSARI udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
lette le conclusioni del AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIO che ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso
RITENUTO IN FATTO
Con l’ordinanza indicata nel preambolo il Tribunale di sorveglianza di Sassari, in accoglimento del reclamo proposto dal Procuratore della Repubblica di Nuoro, ha riformato il provvedimento del Magistrato di sorveglianza rigettando l’istanza di permesso previo avanzata dal detenuto NOME COGNOME ai sensi dell’art. 30 Ord. pen.
Ricorre NOME, a mezzo del difensore di fiducia, articolando due motivi.
2.2. Con il primo deduce violazione di legge in relazione agli artt. 30 Ord. pen. e 4 bis Ord. pen., come modificati dalla sentenza n. 253 del 2019 della Corte costituzionale e dalla legge n. 199 del 2022.
Lamenta che l’ordinanza impugnata, in stridente contrasto con il novellato dettato normativo ed i principi fissati dalla Corte costituzionale, ha continuato a ritenere, nella sostanza, requisito imprescindibile ai fini dell’ammissione ai benefici penitenziari dei condannati per i reati ostativi di cui all’art. 4-bis Ord. pen. collaborazione con la giustizia. Anziché valorizzare i pareri imposti dalla nuova istruttoria rafforzata, ampiamente favorevoli al condannato, ha attributo rilevanza decisiva: – alla proclamazione di innocenza; – all’omessa indicazione di ragioni serie e plausibili a sostèjg i o della scelta di non prestare alcuna forma di collaborazione; all’inoltro di una istanza di revisione rispetto ad un contesto processuale privo di chiarezza. Tali circostanze, peraltro, sono state considerate sintomatiche dell’assenza di revisione critica intesa come vera e propria abiura morale.
2.2. Con il secondo motivo deduce vizio di motivazione, evidenziando la contraddittorietà tra la premessa dell’ordinanza, in cui si dà atto dell’acquisizione dei pareri previsti dal nuovo testo dell’art. 4-bis Ord. pen., e l’apparato giustificativo della decisione, imperniato sulla mancata collaborazione, sia pure sotto il profilo dell’inadempimento da parte del detenuto degli obblighi imposti dalla nuova istruttoria ai fini di chiarire il “contesto” in cui è stato commesso i reato.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Entrambi i motivi di ricorso, che possono essere trattati congiuntamente in ragione della connessione logica delle questioni poste, non sono fondati.
In premessa, va rammentato che l’art. 4 -bis Ord. pen., nella formulazione risultante a seguito delle modifiche di cui al d.l. 31 ottobre 2022, n. 162, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 dicembre 2022 n. 199, stabilisce, per le categorie di persone detenute e internate ivi previste, condizioni particolarmente restrittive per l’accesso alle misure alternative e trattamentali, tra le quali, pe quanto qui di interesse, rientrano i permessi premio.
1.1. Nella sua configurazione normativa precedente alla sentenza n. 253 del 23 ottobre 2019 della Corte costituzionale, l’art. 4 -bis Ord. pen. prevedeva, con riferimento ai reati cd. di prima fascia (tra i quali rientra quello, qui considerazione, ossia il sequestro a scopo di estorsione), che la persona detenuta o internata potesse godere dei benefici solo se avesse collaborato con la giustizia
ai sensi dell’art. 58 -ter Ord. pen. ovvero che fosse stata accertata l’impossibilità, irrilevanza o inesigibilità della sua collaborazione.
2.2. Tale regime giuridico è stato ritenuto costituzionalmente illegittimo dalla Consulta, la quale, con la citata sentenza, ha dichiarato il contrasto tra l’art. 4-bis, comma 1, Ord. pen. e gli artt. 3 e 27, terzo comma, Cost. nella parte in cui detta disposizione non prevedeva che, ai detenuti per i delitti di cui all’art. 416-bis cod. pen. e per quelli commessi avvalendosi delle condizioni previste dallo stesso articolo ovvero al fine di agevolare l’attività delle associazioni in esso previste, potessero essere concessi permessi premio anche in assenza di collaborazione con la giustizia a norma dell’art. 58 -ter Ord. pen., allorché fossero stati acquisiti elementi tali da escludere l’attualità di collegamenti con la criminalità organizzatasia il pericolo del ripristino di essi.
La Corte costituzionale, nell’occasione, ha affermato l’illegittimità di una presunzione assoluta di pericolosità correlata alla mancata collaborazione, essendo tale presunzione ragionevole solo se prevista in termini relativi.
In altri termini, mentre non è irragionevole presumere che il condannato non collaborante non abbia rescisso i legami con l’organizzazione criminale di originaria appartenenza, è irragionevole ritenere che essa non possa essere superata quando siano stati acquisiti elementi tali da escludere che il detenuto abbia ancora collegamenti con l’associazione criminale o che vi sia il pericolo del ripristino di questi rapporti. Fermo restando che, ai fini di tale accertamento, la Consulta ha affermato la necessità che la valutazione avvenga sulla base di criteri particolarmente rigorosi, proporzionati alla forza del vincolo criminale di cui si esige il definitivo abbandono dalla persona detenuta, di tal che deve ritenersi insufficiente, da parte di quest’ultima, il mero regolare comportamento, la sola partecipazione al percorso rieducativo e tantomeno una semplice dichiarazione di dissociazione.
Sulla scorta di tali indicazioni, nel periodo successivo alla declaratoria di incostituzionalità, la giurisprudenza di legittimità e di merito ha, dunque, ritenuto che la collaborazione con la giustizia o, comunque, l’accertamento della sua impossibilità o inesigibilità non fosse più condizione di ammissibilità dell’istanza del beneficio.
2.3. Con il decreto-legge n. 162 del 2022, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 dicembre 2022, n. 199, l’art. 4-bis Ord. pen. è stato modificato
Nel sistema vigente i benefici penitenziari per reati ostativi di prima fascia possono essere concessi ai detenuti anche in assenza di collaborazione con la giustizia, a condizione che:
a) dimostrino l’adempimento delle obbligazioni civili e degli obblighi di riparazione pecuniaria conseguenti alla condanna o l’assoluta impossibilità di adempimento;
b) alleghino elementi specifici, diversi e ulteriori rispetto alla regolare condotta carceraria, alla partecipazione al percorso rieducativo e alla mera dichiarazione di dissociazione, che consentano di escludere l’attualità di collegamenti con la criminalità organizzata e con il contesto nel quale il reato è stato commesso, nonché il pericolo di ripristino di tali collegamenti, anche indiretti o tramite terzi, tenuto conto delle circostanze personali e ambientali, delle ragioni eventualmente dedotte a sostegno della mancata collaborazione, della revisione critica della condotta criminosa e di altra informazione disponibile;
c) il giudice accerti la sussistenza di iniziative dell’interessato a favore delle vittime, sia nelle forme risarcitorie che in quelle della giustizia riparativa.
Accertate le menzionate condizioni, il Tribunale deve svolgere l’attività istruttoria mediante l’acquisizione di dettagliate informazioni, anche a conferma degli elementi offerti dal richiedente, in ordine:
a) al perdurare dell’operatività del sodalizio criminale di appartenenza o del contesto criminale in cui il delitto fu commesso;
b) al profilo criminale del detenuto e alla sua posizione all’interno dell’associazione;
c) alle eventuali nuove imputazioni o misure cautelari o di prevenzione sopravvenute e, ove significative;
d) alle infrazioni disciplinari commesse in corso di detenzione.
Il Tribunale, ancora, deve richiedere il parere del pubblico ministero presso il giudice che ha emesso la sentenza di primo grado o, se si tratta di condanne per i delitti di cui agli artt. 51 commi 3-bis e 3-quater, cod. proc. pen., del pubblico ministero presso il Tribunale del capoluogo del distretto ove è stata pronunciata la sentenza di primo grado, e del Procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo; deve, quindi, acquisire informazioni dalla Direzione dell’Istituto di detenzione e deve disporre accertamenti sulle condizioni reddituali e patrimoniali, sul tenore di vita, sulle attività economiche e sulla pendenza o definitività di misure di prevenzione personali o patrimoniali del detenuto, degli appartenenti al suo nucleo familiare o delle persone comunque a lui collegate.
Le nuove disposizioni sono applicabili,nei confronti della persona condannata per reati ostativi cd. di prima fascia che non abbia collaborato con la giustizia, qualora il relativo procedimento di applicazione sia in corso, avuto riguardo alla natura processuale delle norme inerenti ai benefici penitenziari come il permesso premio, che, in assenza di una specifica disciplina transitoria, soggiacciono al principio del tempus regit actum, secondo l’interpretazione offerta dalla Corte
costituzionale con la sentenza n. 32 del 2020, paragrafo 4.4.1 (v. Sez. 1, n. 38278 del 20/04/2023, COGNOME, Rv. 285203 – 01).
2.4. Sulla base della nuova disciplina, qualora la persona detenuta presenti, come nel caso di specie, richiesta di permesso premio, essa dovrà allegare specificamente i concreti elementi “diversi e ulteriori rispetto alla regolare condotta carceraria, alla partecipazione del detenuto al percorso rieducativo e alla mera dichiarazione di dissociazione dall’organizzazione criminale di eventuale appartenenza, che consentano di escludere l’attualità di collegamenti con la criminalità organizzata, terroristica o eversiva e con il contesto nel quale il reato è stato commesso, nonché il pericolo di ripristino di tali collegamenti, anche indiretti o tramite terzi, tenuto conto delle circostanze personali e ambientali, delle ragioni eventualmente dedotte a sostegno della mancata collaborazione, della revisione critica della condotta criminosa e di ogni altra informazione disponibile. Al fine della concessione dei benefici, il giudice accerta altresì la sussistenza di iniziative dell’interessato a favore delle vittime, sia nelle forme risarcitorie che i quelle della giustizia riparativa”.
Il giudice, a seguito di tali allegazioni, deve compiere un esame in concreto degli elementi «individualizzanti» che caratterizzano il percorso rieducativo della persona detenuta (Sez. 5, n. 19536 del 28/02/2022, Barranca, Rv. 283096 – 01) al fine di apprezzare la sussistenza dei requisiti della regolare condotta del detenuto e dell’assenza di pericolosità sociale. In questa peculiare prospettiva, rileva, in senso negativo, la mancanza di elementi indicativi di una rivisitazione critica del pregresso comportamento deviante da valutarsi con maggiore rigore nei casi di soggetti condannati per reati di particolare gravità e con fine pena lontana nel tempo, in relazione ai quali rileva, in senso negativo, anche » (Sez. 1, n. 435 del 29/11/2023, dep. 2024, COGNOME, Rv. 285567Sez. 1, n. 5505 del 11/10/2016, dep. 2017, Patacchiola, Rv. 269195).
Tanto premesso in termini di ricostruzione del quadro normativo e giurisprudenziale di riferimento, ritiene il Collegio che il provvedimento impugnato sia esente dalle censure sollevate con entrambi i motivi perché, oltre a fare buon governo degli esposti principi, ha dato conto delle scelte con un apparato giustificativo logico e coerente.
Il Tribunale di sorveglianza, dopo avere provveduto a compiere un’adeguata istruttoria, acquisendo le informazioni dall’istituto sull’andamento del percorso detentivo e dagli organi investigativi e inquirenti sul territorio, ha osservato che il condannato non ha adempiuto agli oneri di allegazione, giustificando la scelta con la proclamazione di innocenza rispetto al reato accertato. Da tale premessa in fatto, nemmeno contestata dal ricorrente, ha correttamente desunto la mancanza
di qualsiasi forma, anche embrionale, di revisione critica della condotta e, per converso, la sua attuale elevata pericolosità sociale. Al riguardo ha evidenziato che il detenuto si era attivato per contrastare la condanna ritenuta ingiusta, quindi non accettata, inoltrando una istanza di revisione basta, grazie alla collaborazione dei suoi familiari previamente contattati, su fatti non realmente accaduti, anche attraverso prove testimoniali artefatte, per confutare le risultanze probatorie poste a fondamento dell’accertamento irrevocabile. In tal modo, NOME aveva organizzato un vero e proprio depistaggio, particolarmente insidioso in ragione della mancata definizione dell’intera vicenda processuale, essendo ancora in corso un procedimento penale a carico di altro concorrente nel sequestro di persona oggetto della condanna in esecuzione.
Si tratta di argomentazione plausibile in fatto e giuridicamente corretta. Infatti, il Tribunale di sorveglianza ai fini della concessione del beneficio non ha considerato né necessaria un’ammissione di colpevolezza da parte del condannato né ostativo il mancato completamento del processo di revisione critica del vissuto criminale ma, in radice, ha escluso il suo inizio (Sez. 1, n. 26557 del 10/05/2023, Rv. 284894 – 01).
Il ricorso deve pertanto essere rigettato, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso, in Roma 2 luglio 2024.