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Permessi premio 4-bis: la Cassazione decide sul ricorso

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso di un detenuto condannato per reati di mafia, confermando il diniego di un permesso premio. La Corte ha ribadito che, in assenza di collaborazione con la giustizia, spetta al condannato l’onere di allegare elementi specifici e concreti che dimostrino la rottura dei legami con la criminalità organizzata e una revisione critica del proprio passato. La sola pendenza di una richiesta di revisione del processo è stata ritenuta insufficiente a soddisfare tale onere, in quanto non esonera il richiedente dal fornire le prove richieste dalla normativa sui permessi premio 4-bis.

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Pubblicato il 3 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Permessi Premio 4-bis: la Cassazione sull’onere della prova

Una recente sentenza della Corte di Cassazione torna a fare luce su un tema cruciale dell’ordinamento penitenziario: la concessione dei permessi premio 4-bis a detenuti per reati di mafia che non collaborano con la giustizia. La decisione ribadisce la necessità per il condannato di fornire elementi concreti a sostegno della propria richiesta, andando oltre la mera condotta regolare in carcere. Analizziamo insieme i dettagli di questo importante caso.

I Fatti di Causa

Il caso riguarda un uomo condannato a trent’anni di reclusione per reati gravissimi, tra cui omicidio aggravato dal metodo mafioso. Durante la detenzione, egli ha presentato un’istanza per ottenere un permesso premio, un beneficio che consente di trascorrere un breve periodo fuori dal carcere per coltivare relazioni familiari e sociali.

Sia il Magistrato di Sorveglianza che, in un secondo momento, il Tribunale di Sorveglianza hanno respinto la richiesta. La ragione del diniego risiede nel fatto che il detenuto, non avendo mai collaborato con la giustizia, non aveva adempiuto all’onere di allegare elementi specifici che potessero dimostrare un’effettiva rottura con l’ambiente criminale di appartenenza e una sincera revisione critica del proprio passato. Secondo i giudici, il semplice fatto di aver presentato una richiesta di revisione del processo, ancora pendente, non era sufficiente a superare la presunzione di pericolosità sociale legata ai reati commessi.

La disciplina dei permessi premio 4-bis e l’onere del detenuto

La questione ruota attorno all’interpretazione dell’art. 4-bis dell’ordinamento penitenziario. Questa norma, modificata nel tempo anche a seguito di interventi della Corte Costituzionale (in particolare con la sentenza n. 253 del 2019) e del legislatore (d.l. 162/2022), ha superato il divieto assoluto di concedere benefici ai non collaboranti per reati di mafia.

Oggi, per ottenere i permessi premio 4-bis, il detenuto che non collabora deve superare una presunzione di persistente pericolosità. Per farlo, non basta una buona condotta carceraria o una generica dichiarazione di dissociazione. La legge richiede che il condannato alleghi “elementi specifici, diversi e ulteriori” che consentano al giudice di escludere:

1. L’attualità di collegamenti con la criminalità organizzata.
2. Il pericolo che tali collegamenti possano essere ripristinati.

Questi elementi includono le circostanze personali e ambientali, le ragioni della mancata collaborazione, la revisione critica della condotta criminosa e ogni altra informazione utile. In sostanza, il detenuto ha un “onere di allegazione”: deve fornire al giudice il materiale fattuale su cui fondare una valutazione positiva.

La Decisione della Corte di Cassazione

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso infondato, confermando la decisione del Tribunale di Sorveglianza. Gli Ermellini hanno sottolineato che il Tribunale ha correttamente applicato i principi di legge, evidenziando la totale assenza di allegazioni da parte del detenuto riguardo a un percorso di revisione critica del proprio passato criminale.

Le Motivazioni

La motivazione della sentenza è chiara e rigorosa. La Corte ha spiegato che la presentazione di una richiesta di revisione del processo è un atto che attiene alla dinamica processuale, ma non costituisce, di per sé, un elemento idoneo a dimostrare un cambiamento interiore o un distacco dal mondo criminale. Non esonera, quindi, l’istante dall’assolvere agli specifici oneri di allegazione previsti dalla normativa sui permessi premio 4-bis. Il detenuto avrebbe dovuto fornire elementi concreti e personali sulla sua evoluzione, sul suo percorso di riflessione critica, cosa che nel caso di specie non è avvenuta. La valorizzazione della necessità di coltivare le relazioni familiari, pur essendo la finalità del permesso, non può superare la mancanza dei presupposti di legge per la sua concessione, ovvero la prova del superamento della presunzione di pericolosità sociale.

Conclusioni

Questa pronuncia consolida un orientamento giurisprudenziale preciso: la strada per l’accesso ai benefici penitenziari per i condannati per reati ostativi che non collaborano è percorribile, ma richiede un impegno attivo e dimostrabile da parte del detenuto. Non sono sufficienti atti formali o la semplice buona condotta. È necessario un percorso di cambiamento tangibile, supportato da elementi specifici che il condannato ha l’onere di presentare al giudice della sorveglianza. La sentenza riafferma la centralità della valutazione individualizzata e del percorso rieducativo, ponendo l’accento sulla responsabilità del singolo nel dimostrare di aver reciso i ponti con il passato.

Un detenuto per reati di mafia che non collabora con la giustizia può ottenere un permesso premio?
Sì, può ottenerlo, ma solo a condizione che dimostri l’adempimento di obblighi civili e di riparazione pecuniaria (o l’impossibilità di farlo) e alleghi elementi specifici e ulteriori rispetto alla regolare condotta carceraria che consentano di escludere l’attualità di collegamenti con la criminalità organizzata e il pericolo di un loro ripristino.

Cosa deve allegare concretamente il detenuto per superare la presunzione di pericolosità?
Deve allegare elementi specifici che riguardano le circostanze personali e ambientali, le ragioni della mancata collaborazione, la revisione critica della propria condotta criminosa e ogni altra informazione disponibile. La sola condotta regolare o la dichiarazione di dissociazione non sono sufficienti.

La presentazione di una richiesta di revisione del processo è sufficiente a dimostrare la revisione critica del proprio passato?
No. Secondo la Corte di Cassazione, la presentazione di una richiesta di revisione non esonera il detenuto dall’obbligo di assolvere agli specifici oneri di allegazione richiesti dalla norma per dimostrare l’avvio di un percorso di revisione critica del proprio passato criminale.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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