Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 34862 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 34862 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 15/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME NOME a ROMA il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 18/11/2024 della CORTE APPELLO di ROMA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Letti il ricorso di NOME COGNOME, la memoria depositata nell’interesse del medesimo il 24 giugno 2025, la memoria difensiva, le note di conclusioni e la nota spese depositate dalla parte civile RAGIONE_SOCIALE n. data 26 giugno 2025;
considerato che il primo motivo di ricorso, con cui si contesta violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla dichiarazione di responsabilità per il reato di cui all’art. 640 cod. pen. e alla mancata riqualificazione del fatto nella fattispecie di cui all’art. 316-ter, secondo comma, cod. pen., non è formulato in termini consentiti dalla legge in questa sede poiché fondato su profili di censura che si risolvono nella pedissequa reiterazione di quelli già dedotti in appello e già compiutamente esaminati e disattesi dalla Corte territoriale, dovendosi gli stessi considerare non specifici ma soltanto apparenti, in quanto omettono di assolvere la tipica funzione di una critica argomentata avverso la sentenza oggetto di ricorso;
che, a ben vedere, essendo state prospettate doglianze volte a prefigurare un’alternativa ricostruzione della vicenda fattuale, mediante criteri diversi da quelli utilizzati dai giudici di merito, e, dunque, per giungere a conclusioni differenti sul giudizio di responsabilità cui sono pervenuti con una c.d. “doppia conforme” i giudici di primo e secondo grado, deve ribadirsi la preclusione per la Corte di cassazione non solo di sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi, ma anche di saggiare la tenuta logica della pronuncia portata alla sua cognizione mediante un raffronto tra l’apparato argomentativo che la sorregge ed eventuali altri modelli di ragionamento mutuati dall’esterno (per tutte, Sez. U., n. 12 del 31/05/2000, Jakani, Rv. 216260);
che, in conclusione, la Corte territoriale, con motivazione esente da vizi censurabili in questa sede, ha esplicitato le ragioni del suo convincimento con congrue e lineari argomentazioni, affermando la sussistenza di tutti i presupposti costitutivi della condotta truffaldina ascritta all’odierno ricorrente (si vedano le pagg. 2 e 3 della impugnata sentenza, ove si è sottolineata l’artificiosa rappresentazione da parte del ricorrente di esigenze di assistenza del parente bisognoso, ai fini dell’ottenimento del permesso ex art. 33 della I. 104 del 1992, poi utilizzato, invero, per altre finalità);
ritenuto che il secondo motivo di ricorso, con cui si deduce l’omessa applicazione delle circostanze attenuanti di cui agli artt. 62 -bis e 62, primo comma, n. 6, cod. pen., oltre che privo di rigorosa specificità, risulta anche manifestamente infondato, a fronte della adeguata motivazione esposta sul punto dai giudici di appello (si veda la pag. 3 della impugnata sentenza, in cui si è sottolineata l’insussistenza di elementi valorizzabili ai fini della concedibilità delle attenuanti
generiche e l’assenza di prova dell’avvenuto risarcimento del danno nelle forme richieste dalla legge);
che, in particolare, secondo l’indirizzo consolidato di questa Corte, il mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche possa essere legittimamente giustificato anche con l’assenza di elementi o circostanze di segno positivo (Sez. 3, n. 24128 del 18/03/2021, COGNOME, Rv. 281590; Sez. 1, n. 39566 del 16/02/2017, COGNOME, Rv. 270986; Sez. 3, n. 44071 del 25/09/2014, COGNOME, Rv. 260610);
osservato, infine, che anche il terzo motivo di ricorso risulta riproduttivo di doglianze già motivatamente respinte dalla Corte territoriale, che ha sottolineato la correttezza della costituzione della società datrice di lavoro dell’odierno ricorrente quale parte civile nell’odierno processo, sulla base di congrue argomentazioni logiche e giuridiche (si veda pag. 3 della impugnata sentenza);
rilevato, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende, nonché alla rifusione delle spese processuali sostenute dalla parte civile costituita RAGIONE_SOCIALE, che devono essere liquidate in euro 2.686,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Condanna, inoltre, l’imputato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile RAGIONE_SOCIALE che liquida in complessivi euro 2.686, oltre accessori di legge.
Così deciso, il 15 luglio 2025.