Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 7709 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 7709 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 16/11/2023
SENTENZA
sui ricorsi proposti da: COGNOME NOME nato a NOCERA INFERIORE il DATA_NASCITA COGNOME NOME nato a BUSTO ARSIZIO il DATA_NASCITA
avverso il decreto del 10/05/2023 della CORTE APPELLO di MILANO
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
lette le conclusioni del PG in persona del AVV_NOTAIOCOGNOME che ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità del ricorso;
lette le memorie dei difensori;
RITENUTO IN FATTO
Con decreto del 10 maggio 2023, la Corte di appello di Milano, giudicando in sede di rinvio della Corte di cassazione, ha riformato parzialmente il decreto emesso il 6 giugno 2019 dal Tribunale di Varese e, conseguentemente, annullato la confisca e revocato il sequestro di una parte dei beni oggetto di ablazione nei confronti di NOME e NOME, rispettivamente, moglie separata e figlia del proposto NOME COGNOME.
La confisca ha avuto ad oggetto, quanto a NOME COGNOME, la cassetta di sicurezza n. 3600001 presso la Banca Popolare di Bergamo e, quanto a NOME COGNOME, i seguenti beni: tre unità immobiliari nel comune di Cardano al Campo, due conti correnti accesi presso la Banca Julius Baer & C di Lugano, variamente denominati, le quote societarie della RAGIONE_SOCIALE, compendi riferibili alla società RAGIONE_SOCIALE
Nel dichiarato intento di conformarsi alla sentenza della Quinta Sezione di questa Corte n. 8984 del 2022, la Corte di appello di Milano ha ritenuto la pericolosità del predetto COGNOME inquadrabile ai sensi dell’art. 4, comma 1, lett. i bis, d.lgs. n. 159 del 2011 in quanto indiziato di appartenere a un’associazione per delinquere finalizzata al traffico illecito di rifiuti, falsificazione di docume truffa e riciclaggio, tanto da essere, più volte, attinto da misure cautelari sentenze di condanna (siccome emergenti dal certificato del Casellario puntualmente riepilogato) per un totale di diciassette anni di reclusione.
Il percorso criminale del proposto è stato temporalmente delimitato e fatto coincidere con il suo «intero percorso esistenziale produttivo di reddito», con conseguente sottoposizione alla misura di prevenzione patrimoniale di tutti i beni nella sua disponibilità.
1.1. In relazione al profilo della sproporzione, la Corte di appello ha confermato il provvedimento del Tribunale di Varese escludendo l’autonoma capacità patrimoniale delle ricorrenti rispetto alle acquisizioni ad esse formalmente intestate.
Sono state ritenute prive di fondamento le allegazioni difensive riferite all’esistenza di entrate lecite per effetto di dazioni di denaro provenienti da soggetti legati affettivamente alle stesse e priva di rilievo decisivo la circostanza che, a partire dal 1992, NOME COGNOME si sia separata dal marito NOME COGNOME.
In particolare, è stata affermata l’assenza di prove concrete dell’effettività della separazione tra i due e della diversità dei rispettivi domicili; è stata, altres valorizzata un’intercettazione nel corso della quale COGNOME si lamentava di
dovere provvedere al mantenimento dei propri familiari.
Sono state ritenute non attendibili le dichiarazioni del teste NOME COGNOME che ha dichiarato di avere convissuto con NOME COGNOME dal 1992 al 2000.
Ai fini del calcolo della sperequazione economica in relazione a NOME COGNOME, la Corte di appello ha preso in considerazione solo gli anni dal 1997 al 2000 e dal 2006 al 2007, ossia quelli in cui la stessa è risultata convivente con il proprio nucleo familiare evidenziando l’esiguità del reddito prodotto nelle relative annualità.
A supporto dell’affermazione secondo cui i rapporti con il padre erano particolarmente stretti, è stato segnalato come NOME COGNOME abbia pagato le spese legali per il padre con il quale è stata anche coimputata in un procedimento penale in occasione del quale è emersa la sua compartecipazione ai traffici illeciti del congiunto.
La Corte si è soffermata sulle modalità di acquisizione della società RAGIONE_SOCIALE tramite la fiduciaria svizzera RAGIONE_SOCIALE ed è stato ritenuto che l’acquisto sia stato effettuato con risorse non compatibili con le disponibilità economiche effettive della ricorrente, con ciò non condividendo le conclusioni diverse alle quali è pervenuto il consulente della difesa COGNOME e ritenendo irrilevanti, anche, le allegazioni difensive giustificate con l’analisi de flusso di cassa aziendale e le differenze tra le entrate le uscite.
Parimenti, sono state disattese le indicazioni difensive che, in ordine alla estinzione di un mutuo acceso nel 2003 presso l’RAGIONE_SOCIALE, si sono fondate sul contributo fornito dal compagno della ricorrente, NOME COGNOME.
Procedendo ad un’analisi dettagliata dei momenti in cui è avvenuta l’estinzione delle rate in rapporto alle elargizioni di COGNOME, la Corte ha ritenuto che tali importi non abbiano inciso sulla sproporzione tra le movimentazioni finanziarie della NOME e le sue entrate che, peraltro, dovrebbero essere comparate con ulteriori entrate e spese della ricorrente.
Con riguardo alle provviste riferite al conto corrente denominato “Farabutto” presso la banca svizzera Julius Baer & C di Lugano, è stata evidenziata l’incompatibilità con le disponibilità finanziarie della ricorrente e la possibilità ricostruire le relative movimentazioni, dal 2005 al 2009, con risorse provenienti dal padre.
Analogo riferimento all’assenza di disponibilità autonome in capo a NOME COGNOME, è stato fatto in ordine alle tre unità immobiliari di Cardano al Campo acquisite tra il 1994 e il 1997.
Sulle allegazioni aventi ad oggetto prestiti e donazioni ricevute dell’ex compagno, dagli zii e da amici del padre, è stato evidenziato che le stesse non
giustifichino l’affermazione della liceità dei flussi di cassa, anche perché, alcune elargizioni sono state destinate al pagamento delle spese legali del padre della ricorrente.
Riassuntivamente, su tali donazioni, al netto di quelle provenienti da NOME COGNOME, è stata compiuta una valutazione cumulativa ed affermato che le stesse «non sono state supportate da sufficienti e idonee documentazioni attestanti l’origine delle stesse e le modalità di pagamento, ma addirittura, con riferimento all’aiuto economico fornito dallo zio COGNOME NOME, non è stata esclusa la possibilità che fosse stato corrisposto in contanti».
1.2. In relazione a NOME COGNOME, è stato evidenziato che la stessa ha avuto capacità economica solo negli anni 2001, 2008 e 2009 per importi esigui.
La sperequazione è stata desunta dal valore dei beni presenti nella cassetta di sicurezza n. 3600001 presso la Banca Popolare di Bergamo, anche a fronte dell’esiguità degli importi ricavati dalle vendite di oro e dal riscatto di una polizz il 7 ottobre 1999.
Sono state ritenute inattendibili le dichiarazioni di NOME COGNOME, fratello della ricorrente, e NOME COGNOME e non documentate quelle del compagno NOME COGNOME.
Alla luce della fittizietà della separazione dal proposto e dell’assunzione della carica di amministratrice della società RAGIONE_SOCIALE, è stata esclusa l’autonomia patrimoniale della ricorrente.
1.3. Con riferimento ai beni presenti nella cassetta di sicurezza, è stata esclusa la confiscabilità, riguardo a NOME COGNOME, dei beni acquistati prima degli anni ’90, in quanto non collegati al proposto e alla sua pericolosità sociale.
A tal fine, sono state prese in considerazione le conclusioni del consulente della difesa COGNOME.
In relazione ai beni di NOME COGNOME, è stata esclusa la confiscabilità di quelli provenienti da donazioni elargite da NOME COGNOME, mentre con riferimento a tutti gli altri oggetti dei quali è stata allegata la provenienza leci è stata negata la revoca della confisca tenuto conto della genericità delle prospettazioni difensive, dell’inattendibilità di alcune deposizioni testimoniali (tra cui NOME COGNOME) e della mancanza di idonea certificazione e documentazione idonee a comprovare che si sia trattato di regali.
Avverso il decreto ha proposto ricorso per cassazione NOME COGNOME, per mezzo del proprio difensore, AVV_NOTAIO, articolando due motivi.
2.1. Con il primo ha eccepito la violazione di legge in relazione all’avvenuta individuazione di una fattispecie di pericolosità sociale del proposto non applicabile al caso concreto e violazione di legge per non essere state osservate
le statuizioni sul punto da parte della sentenza di annullamento.
In particolare, è stato evidenziato come sia stata applicata la misura patrimoniale sulla base di una fattispecie di pericolosità (art. 4, comma 1, lett. i bis, d.lgs. n. 159 del 2017) introdotta con una norma successiva (risalendo al 17 ottobre 2017) alla proposta di applicazione della misura di prevenzione.
Inoltre, sarebbe stata violata la statuizione della sentenza di annullamento nella parte in cui non era stata disposta la restituzione dei beni acquisiti dalle NOME in epoca precedente e successiva alla manifestazione della pericolosità.
La Corte di cassazione aveva accolto il rilievo relativo all’errata perinnetrazione temporale della pericolosità (sussistente, semmai, solo dal 2006 al 2010), ma, in sede di rinvio, non era stato adottato il provvedimento conseguente.
2.2. Con il secondo motivo la violazione di legge è stata articolata in relazione alla motivazione omessa e/o apparente circa l’assolvimento, da parte della ricorrente, dell’onere della prova sul requisito della sperequazione patrimoniale.
I giudici di merito avrebbero disatteso con una motivazione meramente apparente le numerose allegazioni difensive, la copiosa documentazione prodotta, la consulenza tecnica e le deposizioni testimoniali offerte.
Il vizio si sarebbe verificato, in particolare, con riguardo al dato della sperequazione patrimoniale, alla individuazione del nucleo familiare e della capacità patrimoniale della ricorrente.
La sostanziale estraneità di NOME COGNOME alle vicende giudiziarie e personali di NOME COGNOME sarebbe stata totalmente pretermessa, benché la circostanza fosse stata puntualmente articolata e dedotta.
Il dato della comune residenza anagrafica dei due coniugi sarebbe stato considerato omettendo di valutare la circostanza che COGNOME ha sempre dimorato altrove con la sua nuova compagna.
Le esigenze della ricorrente e della figlia NOME sono state affrontate con risorse provenienti dal convivente della prima (NOME COGNOME).
Le dichiarazioni di costui sarebbero state totalmente trascurate.
L’interruzione dei rapporti con il marito e la fruizione di una capacità patrimoniale autonoma sono state circostanze puntualmente allegate dalla ricorrente, anche attraverso il verbale di separazione, la testimonianza di COGNOME, la dimostrazione della convivenza del proposto con altra donna, l’esistenza di una capacità patrimoniale autonoma della ricorrente per effetto di elargizioni da parte della sua famiglia di origine (padre e fratello), anche per effetto della vendita di immobili di provenienza familiare.
Su tali elementi offerti alla cognizione dei giudici di merito sarebbe mancata una risposta, essendosi limitata la Corte di appello a sostenere apoditticamente la non credibilità di NOME COGNOME.
Sulla sperequazione, inoltre, era stata prodotta una consulenza tecnica sulla quale, parimenti, la Corte di appello avrebbe omesso di motivare.
Analoga omissione è stata eccepita sulla capacità patrimoniale derivante dalla vendita di alcune unità immobiliari.
In ordine ai beni detenuti nella cassetta di sicurezza n. 3600001 e solo parzialmente oggetto di dissequestro e annullamento della confisca, la ricorrente ha ribadito le eccezioni relative alla inesatta perimetrazione della pericolosità.
La Corte di appello avrebbe omesso di considerare che anche altri beni, sulla scorta delle testimonianze (testi COGNOME e COGNOME) acquisite nel corso del procedimento avrebbero dovuto essere restituiti.
Ha proposto ricorso NOME COGNOME, per mezzo del proprio difensore, AVV_NOTAIO, articolando due motivi.
3.1. Con il primo ha eccepito la violazione dell’art. 10, comma 3, in relazione all’art. 4, comma 1, lett. i bis, d.lgs. n. 159 del 2011 per essere stato ritenuto NOME COGNOME socialmente pericoloso in relazione a una fattispecie di pericolosità qualificata non applicabile e la violazione delle medesime disposizioni, anche in relazione agli artt. 627 e 628 cod. proc. pen., per non essersi attenuto il giudice di rinvio a quanto demandatogli dalla sentenza di annullamento con riferimento alla esatta perimetrazione temporale della pericolosità e all’individuazione dei beni che si collocano fuori dal periodo di manifestazione della pericolosità.
La fattispecie di pericolosità è stata individuata sulla base di una norma entrata in vigore con la legge 17 ottobre 2017, n. 161 inapplicabile, tuttavia, alle proposte di applicazione della misura di prevenzione precedenti; nel caso di specie, la proposta è del 18 agosto 2017.
Ciò avrebbe prodotto effetti sul profilo espressamente demandato dalla sentenza rescindente al giudice di rinvio in tema di esatta perimetrazione della pericolosità sociale in funzione della restituzione dei beni da disporsi con riguardo a quelli acquistati in epoca precedente o successiva al periodo di manifestazione della pericolosità.
Pur a fronte della possibilità di desumere la pericolosità sociale di COGNOME esclusivamente per vicende del 2006 e del 2010, il provvedimento impugnato, sulla scorta di una norma ritenuta non applicabile, ha individuato il periodo di pericolosità dal 1997 al 2015.
3.2. Con il secondo motivo ha eccepito la violazione di legge (art. 10,
comma 3, d.lgs. n. 159 del 2011 e 125 cod. proc. pen., in relazione all’art. 24 d.lgs. n. 159 del 2011) per motivazione apparente in ordine alla presunta titolarità fittizia dei beni confiscati, a fronte delle allegazioni difensi dell’accertamento imposto dalla sentenza di annullamento che sarebbe stato totalmente disatteso dal giudice di rinvio.
Ha, così, richiamato quanto precisato dalla sentenza rescindente in punto di onere di allegazione del terzo interessato e di accertamento demandato al giudice del merito il cui compito è stato individuato in quello di prendere in esame le allegazioni relative alla titolarità dei beni, anche sotto il profilo del verifica di sproporzione.
Il vizio di motivazione apparente, sul punto, è stato individuato in relazione a molteplici profili.
Sotto quello della scissione tra titolarità formale dei beni e impiego delle risorse per il relativo acquisto, è stata evidenziata la pretermissione dell’analisi delle allegazioni difensive basate anche su intercettazioni il cui contenuto contraddiceva quello della captazione valorizzata dalla Corte di appello milanese in occasione della quale COGNOME aveva affermato di provvedere al sostentamento dei propri familiari.
In relazione ai testi COGNOME e COGNOME ha lamentato il travisamento della prova, non avendo gli stessi mai riferito che NOME COGNOME aveva sostenuto le spese legali del padre, avendo, anzi, acquisito una società immobiliare con modalità tese ad impedire l’intromissione di COGNOME.
Ulteriormente, la Corte di appello, avrebbe ulteriormente trascurato quanto allegato dalla difesa omettendo di considerare le allegazioni volte a dimostrare l’esistenza di autonome disponibilità da parte della madre della ricorrente, NOME COGNOME, per l’acquisto dei beni confiscati, anche a seguito della effettività della separazione con COGNOME, per come desumibile da fonti probatorie totalmente pretermesse.
Sotto altro profilo, il decreto è stato avversato in ragione della motivazione apparente anche rispetto alle allegazioni difensive riferite alla verifica dell sproporzione del patrimonio delle terze interessate rispetto agli acquisti e alla loro liceità in ragione della provenienza delle provviste da soggetti, a loro volta, estranei al procedimento.
Nonostante l’accertamento, sul punto, demandato dalla Corte di cassazione, il giudice di rinvio avrebbe omesso di considerare le allegazioni della difesa consistite anche nella ricostruzione operata dal consulente tecnico COGNOME.
Nella stessa erano stati indicati gli investimenti effettuati, i corrispett derivanti dalla vendita di immobili acquisiti da NOME COGNOME e dalla figlia a seguito di lascito ereditario, da mutui (in particolare, uno con il Credit
RAGIONE_SOCIALE, dal quale è derivata una provvista di 200.000 euro nell’anno 2003 per l’acquisto delle quote, oggetto di confisca, della società RAGIONE_SOCIALE).
Sono state documentate e ritenute lecite le elargizioni provenienti dal compagno della ricorrente, NOME COGNOME e, mediante consulenza tecnica, dimostrata la disponibilità della somma di 179.878 euro dal 2007 al 2015, ossia il doppio di quello impiegato per estinguere il mutuo.
Anche gli incrementi patrimoniali della società, secondo il decreto impugnato, sarebbero stati di origine non dimostrata e da ciò ne è derivata la confisca.
Nel compiere tale operazione, la Corte di appello avrebbe omesso di prendere in considerazione le singole acquisizioni patrimoniali della società avendo proceduto all’ablazione dell’intero compendio sociale e di tutte le relative acquisizioni.
Le ulteriori allegazioni difensive circa le dazioni ricevute dalla ricorrente dai parenti e dal compagno della madre (gli zii NOME COGNOME e NOME COGNOME, oltre che NOME COGNOME) sarebbero state, anch’esse, immotivatamente disattese.
In relazione all’immobile di Cardano al Campo sarebbe stata omessa la considerazione della disponibilità di oltre 77.000 euro da parte di NOME e NOME COGNOME, all’epoca del relativo acquisto, per come evidenziato anche dalla consulenza COGNOME.
Infine, in relazione ai beni della cassetta di sicurezza, sarebbero state, parimenti, trascurate le indicazioni difensive, anche tramite testi, in relazione alla lecita provenienza di tutti i beni derivanti da regalie effettuate da soggetti privi di legame con NOME e dotati di autonoma capacità patrimoniale, non potendo rilevare la mancata produzione di certificazioni di acquisto.
Infine, è stata segnalata l’apoditticità della motivazione riferita all’avvenuta confisca di tutti i beni e crediti intestati alla NOME, inclusi i saldi attivi conti correnti, siccome risultati provati i presupposti della confisca.
Il riferimento è al conto corrente costituito presso un istituto bancario svizzero nel 2017, ossia in periodo avulso da quello di pericolosità sociale di NOME COGNOME.
4. Il AVV_NOTAIO AVV_NOTAIO ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità del ricorso. Nell’interesse delle ricorrenti sono state depositate memorie di replica.
CONSIDERATO IN DIRITTO
I ricorsi sono fondati nei termini di seguito illustrati.
Tenuto conto della omogeneità del primo motivo di ricorso proposto nell’interesse di entrambe le ricorrenti, può procedersi all’esame congiunto delle censure che si rivelano fondate.
2.1. In punto di pericolosità sociale, la sentenza rescindente resa dalla Quinta Sezione di questa Corte ha prestato adesione all’orientamento maggioritario secondo cui «nel caso di confisca di prevenzione avente ad oggetto beni ritenuti fittiziamente intestati ad un terzo, questi può rivendicare esclusivamente l’effettiva titolarità e la proprietà dei beni sottoposti a vincolo, assolvendo al relativo onere di allegazione, mentre non è legittimato a sostenere che il bene sia di effettiva proprietà del proposto, essendo del tutto estraneo a ogni questione giuridica relativa ai presupposti per l’applicazione della misura nei confronti di quest’ultimo – quali la condizione di pericolosità, la sproporzione tra il valore del bene confiscato ed il reddito dichiarato, nonché la provenienza del bene stesso – e che solo costui può avere interesse a fare valere».
Sul tema sono stati richiamati gli arresti costituiti da Sez. 5, n. 333 del 20/11/2020, COGNOME, Rv. 280249; Sez. 2, n. 31549 del 06/06/2019, RAGIONE_SOCIALE, Rv. 277225-04; Sez. 6, n. 7469 del 04/06/2019, dep. 2020, COGNOME, 278454-03).
Non è stata, così, condivisa l’isolata pronuncia contraria costituita da Sez. 5, n. 12374 del 14/12/2017, dep. 2018, La Porta, Rv. 272608 in base alla quale il terzo che rivendica l’effettiva titolarità e la proprietà dei beni oggetto di vinco è legittimato ed ha interesse non solo a contestare la fittizietà dell’intestazione, ma anche a far valere l’insussistenza dei presupposti per l’applicazione della misura nei confronti del proposto.
Nella sentenza di annullamento, la Quinta Sezione ha aderito all’impostazione seguita da Sez. 1, n. 13375 del 20/09/2017, dep. 2018, Brussolo, Rv. 272703 che ha affermato, pur aderendo all’indirizzo maggioritario, che il terzo è abilitato a interloquire sulla perimetrazione temporale della pericolosità del proposto, quando il bene confiscato fuoriesca da essa.
Pertanto, secondo la decisione dalla quale è originato il giudizio di rinvio, «il terzo intestatario può essere ammesso a documentare la datazione del suo acquisto per espungerla dall’area temporale della pericolosità del proposto; pericolosità che, dunque, viene in esame soltanto in via mediata e non già come motivo principale di censura consentito al ricorrente che sia terzo intestatario fittizio».
Su questo punto è stato demandato un preciso onere di accertamento al giudice di rinvio chiamato a compiere tale verifica «avuto riguardo alle
indicazioni difensive che collocano l’acquisto di beni in epoca antecedente o successiva alla perimetrazione della pericolosità del proposto».
2.2. Proprio sulla questione della perimetrazione temporale emerge la criticità evidenziata dalle ricorrenti con il primo motivo di censura articolato nei rispettivi ricorsi.
A fronte della pericolosità ritenuta, originariamente, sulla base delle norme sopra indicate, la Corte di appello ha giudicato applicabile alla fattispecie la diversa ipotesi di cui all’art. 4, lett. i bis, d.lgs. n. 159 del 2011.
Viene contestata la classificazione della pericolosità sociale del proposto NOME COGNOME nell’ambito della categoria di cui all’art. 4, lett. i bis d.lgs. n. 159 del 2011 che riguarda i «soggetti indiziati del delitto di cui all’articolo 640 bis o del delitto di cui all’articolo 416 del codice penale, finalizzato alla commissione di taluno dei delitti di cui agli articoli 314, primo comma, 316, 316 bis, 316 ter, 317, 318, 319, 319 ter, 319 quater, 320, 321, 322 e 322 bis del medesimo codice».
L’inquadramento in tale particolare categoria di pericolosità qualificata ha determinato l’affermazione della Corte di appello milanese secondo cui «la pericolosità sociale coincide con l’intero percorso esistenziale del proposto produttivo di reddito, pertanto devono essere sottoposti a misura patrimoniale tutti i beni nella disponibilità del proposto».
Tale inquadramento è stato, per la prima volta, operato dalla Corte di appello, mentre il decreto del Tribunale di Varese aveva qualificato la pericolosità sociale di NOME ai sensi dell’art. 1, lett. a) e b) d.lgs. n. 159 del 2011.
Si tratta delle fattispecie per le quali è intervenuta la sentenza della Corte costituzionale n. 24 del 2019 con la quale è stata, fra l’altro, dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 4, comma 1, lett. c), del d.lgs. n. 159 del 2011, nella parte in cui stabilisce che i provvedimenti previsti dal capo II si applicano anche ai soggetti indicati nell’art. 1, lett. a) e dell’art. 16 del medesimo d.lgs. n. 159, nella parte in cui stabilisce che le misure di prevenzione del sequestro e della confisca, disciplinate dagli articoli 20 e 24, si applicano anche ai soggetti indicati nell’art. 1, comma 1, lett. a) (relativamente, dunque, ai destinatari che debbano ritenersi «sulla base di elementi di fatto, abitualmente dediti a traffici delittuosi».
La sentenza ha reso una pronuncia interpretativa di rigetto, invece, con riferimento al presupposto per l’applicazione delle misure di prevenzione personali e patrimoniali nei confronti di «coloro che per la condotta ed il tenore di vita debba ritenersi, sulla base di elementi di fatto, che vivono abitualmente, anche in parte, con i proventi di attività delittuose» (art. 1, comma 1, lett. b), del d.lgs. n. 159 del 2011).
La disposizione con la quale è stata prevista la fattispecie di pericolosità sociale qualificata ritenuta sussistente dalla Corte di appello di Milano è stata introdotta dall’art. 1, comma 1, lett. d), legge 17 ottobre 2017, n. 161 che, per effetto della norma transitoria di cui all’art. 36, comma 3 dello stesso provvedimento/ non si applica ai procedimenti nei quali, alla data di entrata in vigore della legge, sia stata già formulata proposta di applicazione della misura di prevenzione.
Nel caso in esame, la proposta è stata formulata il 18 agosto 2017 e quindi prima dell’entrata in vigore della norma applicata dalla Corte di appello ai fini dell’inquadramento della pericolosità sociale di COGNOME.
Coglie, pertanto, nel segno la censura difensiva articolata in ragione del fatto che l’accertamento specifico demandato da questa Corte con la sentenza di annullamento è stato compiuto dai giudici di merito tramite il riferimento ad una disposizione definitoria di una specifica fattispecie di pericolosità sociale inapplicabile al presente procedimento.
Da tale vizio di fondo del provvedimento impugnato discende direttamente quello relativo alla esatta delimitazione temporale della pericolosità che dovrà essere oggetto di ulteriore verifica sulla scorta delle norme concretamente applicabili.
In conclusione, a fronte della eccezione difensiva relativa alla maggiore limitazione temporale della pericolosità sociale (confinata, semmai, al periodo 2006 – 2010), la Corte di appello ha riproposto la tesi di una pericolosità sociale qualificata del proposto coincidente con il suo «intero percorso esistenziale» sulla base di una norma non vigente all’epoca della proposta di confisca.
2.3. Spetterà quindi al giudice del nuovo rinvio procedere all’accertamento della pericolosità sociale sulla scorta delle disposizioni concretamente applicabili e stabilire esattamente il periodo rilevante ai fini della misura ablatoria, con specifico riguardo alla effettiva sussistenza del requisito all’epoca delle singole acquisizioni patrimoniali.
Nel compiere tale operazione, occorrerà tenere conto dell’obbligo motivazionale già fissato dalla Quinta Sezione laddove è stata censurata la pretesa dei giudici di merito circa la prova da parte dei terzi della riferibilità de beni al loro patrimonio, senza considerare che su costoro non grava un onere della prova, ma di semplice allegazione.
Sul punto, era stato precisato che «non può porsi a carico del terzo, ritenuto fittizio intestatario dei beni oggetto della richiesta di confisca, un vero e proprio onere probatorio di dimostrazione compiuta della legittima provenienza delle risorse utilizzate per gli acquisti, atteso che il terzo, per definizione, non è soggetto portatore di pericolosità poichè il primo passaggio della catena
dimostrativa – in punto di dimostrazione della scissione tra titolarità formale del bene e impiego delle risorse – spetta comunque alla pubblica accusa».
Da quanto esposto, deriva l’accoglimento del primo motivo di impugnazione articolato in entrambi i ricorsi e, previo assorbimento degli ulteriori motivi, l’annullamento del decreto impugnato con rinvio per nuovo giudizio alla Corte di appello di Milano.
P.Q.M.
Annulla il decreto impugnato con rinvio per nuovo giudizio alla Corte di appello di Milano.
Così deciso in data 16/11/2023
Il Consiglire eensore
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Il Presidente