Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 35384 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 6 Num. 35384 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 27/06/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da
COGNOME NOME, nata a S. Pietro Vernotico (BR) il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 16/02/2024 del Tribunale di Lecce;
udita la relazione svolta dal AVV_NOTAIO NOME COGNOME; lette le richieste del Pubblico ministero, in persona del AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIO, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso; lette le conclusioni del difensore del ricorrente, AVV_NOTAIO, che ha insistito per l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con l’ordinanza impugnata, il Tribunale di Lecce ha respinto la richiesta di riesame proposta da NOME COGNOME avverso il decreto di sequestro preventivo di un immobile, di titoli postali e di una carta “postepay”, finalizzato alla confisca per equivalente a norma dell’art. 240-bis, cod. pen., emesso nei suoi confronti dal Giudice per le indagini preliminari del medesimo Tribunale, in relazione ai reati di cui agli artt. 73 e 74, d.P.R. n. 309 del 1990.
Ella lamenta, con un unico motivo, la violazione dell’art. 240-bis, cit., e degli artt. 125, 309, 321 e 324, cod. proc. pen., per avere il decreto di sequestro omesso di motivare sul presupposto del c.d. “periculum in mora” e per avere il Tribunale del riesame colmato tale lacuna, illegittimamente sostituendosi al primo giudice anziché annullarne la decisione.
Peraltro, la motivazione del Tribunale si presenterebbe apodittica, perché, invece di illustrare le ragioni per le quali, nelle more del giudizio di cognizione, i beni potrebbero essere alienati, dispersi od altrimenti sottratti all’eventuale confisca, si limita a giustificarne il sequestro sulla base di un generico riferimento alla sproporzione del loro valore rispetto ai redditi leciti dell’interessata ed alla mancata giustificazione della loro provenienza legittima, così eludendo i princìpi sanciti dalla sentenza n. 36959 del 2021, ric. Ellade, delle Sezioni unite di questa Corte.
In particolare, l’ordinanza impugnata non ha tenuto conto della situazione di fatto attuale e concreta, non ha considerato l’ampio lasso di tempo trascorso dalle condotte ex art. 73, cit., oggetto di addebito (alle quali, peraltro, non si applica la confisca ai sensi del citato art. 240 -bis), ha ricondotto il pericolo di dispersione dei beni in sequestro ad eventi futuri, incerti e riferibili non alla ricorrente ma a sua madre.
Ha depositato requisitoria scritta la Procura AVV_NOTAIO, concludendo per l’inammissibilità del ricorso.
Ha depositato memoria di replica e conclusioni scritte la difesa ricorrente, sviluppando e ribadendo quanto osservato in ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso non è fondato e dev’essere, perciò, respinto.
È corretto il rilievo del Tribunale – suffragato dalla trasposizione testuale nel proprio provvedimento dei relativi passaggi argomentativi del decreto di sequestro – che la motivazione di quest’ultimo sul “periculum in mora” non fosse assente, ma al più insufficiente od incompleta, essendosi specificamente soffermata soltanto su alcuni dei presupposti normativi necessari per l’adozione della misura (sproporzione reddituale, cioè, e non giustificazione della provenienza dei beni) e non anche sul pericolo di frustrazione dell’eventuale confisca e, dunque, sulla necessità dell’ablazione anticipata, come invece imposto dalla citata “sentenza Ellade”.
Di conseguenza, legittimo deve ritenersi l’uso, da parte del Tribunale del riesame, dei poteri integrativi riconosciutigli dalla legge rispetto alla motivazione del provvedimento innanzi ad esso impugnato.
La relativa doglianza difensiva, dunque, non è fondata.
Addirittura inammissibile, poi, è quella rivolta verso la motivazione, sul punto, rassegnata dal Tribunale del riesame.
Anzitutto non è vero che quei giudici abbiano eluso l’onere di motivazione sul periculum in mora, avendo essi dato conto, con espresso richiamo delle relative risultanze probatorie, delle preoccupazioni della madre e coindagata della ricorrente per l’eventuale aggressione, da parte degli inquirenti, delle disponibilità liquide presenti sul proprio conto corrente bancario e provento della loro attività delittuosa («i soldi della merce» vengono infatti definiti dagli interessati), nonché della sua intenzione di parlarne al più presto con il proprio avvocato per adottare le opportune precauzioni. E, in proposito, è sufficiente rammentare che il pericolo di dispersione giustificativo della misura cautelare ha una dimensione oggettiva, nel senso che non deve essere necessariamente ricollegato ad attività od iniziative del solo indagato.
In ogni caso, la censura difensiva riguarda, al più, un vizio della motivazione, il quale però non è deducibile con il ricorso per Cassazione avverso i provvedimenti in materia cautelare reale (art. 325, comma 1, cod. proc. pen.).
Al rigetto del ricorso segue obbligatoriamente la condanna della proponente al pagamento delle relative spese di giudizio (art. 616, cod. proc. pen.).
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 27 giugno 2024.