Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 3035 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 3 Num. 3035 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 14/11/2023
SENTENZA
sul ricorso proposto da
COGNOME NOME, nato a San Benedetto del Tronto il DATA_NASCITA, nella qualità di legale rappresentante della società “RAGIONE_SOCIALE“
avverso l’ordinanza del 25/05/2023 del Tribunale di Salerno visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME; udito il Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso; udito, per il ricorrente, l’AVV_NOTAIO, che ha insistito pe
l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza emessa il 25 maggio 2023 e depositata il 29 maggio 2023, il Tribunale di Salerno, pronunciando in materia di misure cautelari reali, ha respinto la richiesta di riesame presentata da NOME COGNOME, nella qualità di legale rappresentante della “RAGIONE_SOCIALE“, avverso il decreto di sequestro /
preventivo a fini di confisca diretta della somma di denaro di 52.128,64 euro nella disponibilità dell’impresa, o, in subordine, a fini di confisca per equivalente, di beni nella sua personale disponibilità fino a concorrenza di tale importo.
Il sequestro è stato disposto con riferimento ai reati di cui agli artt. 76, comma 1, d.P.R. n. 445 del 2000, e 10-quater, comma 2, d.lgs. n. 74 del 2000, ipotizzandosi, a carico di NOME COGNOME, nella qualità di legale rappresentante della “RAGIONE_SOCIALE“, la condotta di utilizzo di documentazione falsa finalizzata alla costituzione di un credito di imposta di 52.128,64 euro, e la conseguente indebita compensazione di un credito di imposta inesistente, commessa il 20 agosto 2021 (capo n. 226-d).
Peraltro, NOME COGNOME è pure legale rappresentante sia della “RAGIONE_SOCIALE“, già “RAGIONE_SOCIALE“, in relazione alla quale sono contestati identici reati nei capi 226-a), per l’importo di 261.666,30 euro, nonché 226-c), per l’importo di 71.981,01 euro, sia della “RAGIONE_SOCIALE“, in relazione alla quale è contestato identico reato nel capo 226-b), per l’importo di 174.558,54 euro, anch’essi commessi il 20 agosto 2021.
Ha presentato ricorso per cassazione avverso l’ordinanza indicata in epigrafe NOME COGNOME, nella qualità di legale rappresentante della “RAGIONE_SOCIALE“, con atto sottoscritto dall’AVV_NOTAIO, articolando un unico motivo strutturato in tre parti.
2.1. Nella prima parte del motivo, si denuncia violazione di legge, in riferimento agli artt. 125, comma 3, 121, comma 3, 321, comma 2, e 309, comma 9, cod. proc. pen., nonché 240 cod. pen., a norma dell’art. 606, comma 1, lett. b) e c), cod. proc. pen., avendo riguardo alla assenza di motivazione in ordine alla ritenuta sussistenza del fumus commissi delicti e del periculum in mora.
Si riportano, in premessa, gli approdi della elaborazione giurisprudenziale in tema di mancanza di motivazione, sequestro a fini di confisca, confisca, nonché sindacato sul fumus commissi delicti e sul periculum in mora.
Si sintetizza, poi, il contenuto dell’ordinanza genetica per le parti di specifico interesse in questa sede. A questo fine, si dà conto dell’imputazione posta a base della misura applicata nei confronti della società “RAGIONE_SOCIALE” e del quadro complessivo delle risultanze investigative concernenti la più ampia vicenda nella quale si inserisce il fatto in contestazione, come esposti nell’ordinanza genetica. Riassumendosi l’ordinanza del G.i.p., si offre rappresentazione: a) delle modalità della frode, la quale sarebbe stata realizzata mediante la predisposizione di documentazione mendace e la conseguente artificiosa costituzione di falsi crediti di imposta c.d. “4.0” previsti dalla legge n. 205 del 2017 a vantaggio delle imprese per la formazione del personale aziendale in materia informatica; b) dei nomi dei promotori, costitutori ed organizzatori del sodalizio criminoso cui sarebbe
attribuibile l’ideazione e realizzazione di detta frode, la quale avrebbe assunto vastissime proporzioni ed avvantaggiato numerosissime società; c) dei nomi dei procacciatori d’affari, i quali avrebbero reperito le società cui “vendere” i fal crediti di imposta c.d. “4.0”; d) dei nomi dei professionisti i quali avrebbero rilasciato le false asseverazioni necessarie per la costituzione dei crediti di imposta c.d. “4.0”; e) dei nomi dei sindacalisti e degli altri soggetti coinvolti pe formazione di falsi contratti collettivi aziendali, anch’essi necessari per l costituzione dei crediti di imposta c.d. “4.0”. Si espone, in particolare, che, secondo l’ordinanza genetica, la frode emergerebbe: a) dall’improvviso passaggio della società organizzatrice dei corsi, la “RAGIONE_SOCIALE“, da una situazione di inoperatività fino al 2020, ad un volume di affari dichiarato ai fini IRES per i 2021 pari a 6.099.639,00; b) dallo svolgimento dell’attività didattica da parte dello stesso docente in contemporanea presso più aziende site in diversi luoghi del territorio nazionale, documentata dalla documentazione acquisita e da un accertamento a campione presso la società “RAGIONE_SOCIALE“; c) dalle conversazioni intercettate tra i membri dell’illecito gruppo.
Si osserva, a questo punto, che la difesa aveva contestato, in sede di riesame, innanzitutto la totale mancanza di motivazione dell’ordinanza genetica in ordine al periculum in mora, e poi la carenza di fumus commissi delicti nei confronti della società dell’attuale ricorrente. Si aggiunge che, in occasione del procedimento di riesame, la difesa aveva documentato l’assenza di periculum in mora, alla luce dei dati ufficiali della società, ed aveva segnalato come né la “RAGIONE_SOCIALE“, né i suoi rappresentanti avessero mai avuto contatti documentali o telefonici con i membri del sodalizio, i procacciatori di aziende attivi per conto dello stesso, i falsi asseveratori, ed i sindacalisti “complici”. Si precisa pure che, a tale fine, era stat esposto al Tribunale che: a) la “RAGIONE_SOCIALE” aveva potuto beneficiare del credito di imposta c.d. “4.0” senza dover stipulare contratti collettivi ad hoc, attesa la modifica normativa della legge di bilancio per il 2020; b) le asseverazioni di interesse di tale ditta erano state redatte dal commercialista di fiducia della stessa; c) i docenti dei corsi di formazione somministrati ai dipendenti della “RAGIONE_SOCIALE” sono risultati estranei alla frode, in quanto neppure indagati; d) il contat tra la “RAGIONE_SOCIALE” e la società organizzatrice dei corsi ritenuti “fasulli”, “RAGIONE_SOCIALE“, è avvenuto attraverso il sito internet di quest’ultima, e senza intermediario. Si osserva che l’ordinanza impugnata nulla ha risposto a queste specifiche obiezioni.
2.2. Nella seconda parte del motivo, si denuncia violazione di legge, in riferimento agli artt. 125, comma 3, 309, comma 9, e 321 cod. proc. pen., nonché 240 cod. pen., a norma dell’art. 606, comma 1, lett. b) e c), cod. proc. pen., avendo riguardo alla assenza di motivazione in ordine alla ritenuta sussistenza del periculum in mora.
Si deduce, in primo luogo, che illegittimamente il Tribunale, dopo aver ammesso la totale assenza di motivazione del G.i.p. in ordine al periculum in mora, ha poi ritenuto trattarsi di un errore di diritto emendabile con l’ordinanza di riesame. Si sottolinea che l’ordinanza dei G.i.p. nulla dice in ordine alla sussistenza dei presupposti del sequestro preventivo finalizzato alla confisca diretta del profitto del reato, limitandosi solo a succinte indicazioni in ordine alla sussistenza dei presupposti del sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente.
Si deduce, in secondo luogo, che, in ogni caso, il Tribunale ha risposto solo apparentemente alle deduzioni della difesa, nelle quali si era evidenziata l’insussistenza del rischio di dispersione del patrimonio della società attinta dalla misura. Si segnala che l’ordinanza impugnata ha fatto generico riferimento alle condotte elusive della società, ha richiamato i debiti risultanti dal bilancio aziendale, senza considerare i crediti e le immobilizzazioni, ed ha ritenuto di dover fare una prognosi solo sulla probabilità della permanenza delle sole liquidità monetarie quale unico possibile oggetto di confisca diretta, omettendo di considerare che la somma ritenuta profitto del reato commesso nell’interesse di “RAGIONE_SOCIALE“, pari a 52.128,64 euro, corrisponde ad un ventinovesimo del patrimonio netto della società per il 2021, ammontante a 1.435.142,00 euro, e ad un cinquantaduesimo della disponibilità liquida presente sui conti della stessa nel 2021, ammontante a 2.624.675,00 euro.
2.3. Nella terza parte del motivo, si denuncia violazione di legge, in riferimento agli artt. 483 cod. pen., nonché 10-quater, comma 2, d.igs. n. 74 del 2000, a norma dell’art. 606, comma 1, lett. b) e c), cod. proc. pen., avendo riguardo alla assenza di motivazione in ordine alla ritenuta sussistenza del fumus commissi delicti.
Si deduce che il Tribunale non ha proceduto ad un’autonoma valutazione rispetto al G.i.p., ed ha omesso del tutto di confrontarsi con le deduzioni della difesa. Si osserva che erano state evidenziate: a) la totale mancanza di contatti della “RAGIONE_SOCIALE” e dei suoi rappresentanti con i membri dell’organizzazione delinquenziale o con altri indagati, · compresi i procacciatori di affari, g asseveratori mendaci ed i sindacalisti “complici” dell’illecito sodalizio, anche per la sopravvenuta non necessità della stipula di contratti collettivi ad hoc, attesa la modifica normativa della legge di bilancio per il 2020; b) l’irrilevanza sia della inoperatività della società organizzatrice dei corsi ritenuti “fasulli”, la “RAGIONE_SOCIALE“, fino al maggio 2020, sia del rilascio dell’autorizzazione alla stessa solo il 16 luglio 2020, attesa l’esistenza di contatti tra questa e la “RAGIONE_SOCIALE” esclusivamente nel corso del 2021; c) la redazione dell’atto di asseverazione necessario per il riconoscimento del credito fiscale c,d. “4.0” da parte della commercialista di fiducia della società, il dottor NOME COGNOME, persona del tutto estranea all’indagine; d) la tenuta dei corsi di formazione ai dipendenti della
società da parte di due docenti provvisti dei requisiti formali, COGNOME e COGNOME, e la mancata prova dello svolgimento di attività didattiche in contemporanea presso la sede della ditta; e) l’irrilevanza della mancata produzione del tracciato relativo a data e durata dei corsi rilasciato dalla piattaforma web, siccome la custodia di questo dato non spettava all’impresa beneficiaria del credito di imposta, ma alla società erogatrice del servizio; f) l’irrilevanza dello svolgimento di insegnamenti di materie non riconosciute ai fini del riconoscimento del credito fiscale c.d. “4.0”, in quanto riferito ad imprese diverse dalla “RAGIONE_SOCIALE“; g) l’irrilevanza delle indagini a campione, perché relative a corsi svolti nei confronti di altra società e nell’anno 2019, ossia due anni prima di quelli somministrati ai dipendenti della “RAGIONE_SOCIALE“.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è fondato nei limiti e per le ragioni di seguito precisati.
Occorre preliminarmente precisare che il ricorso è ammissibile anche se lo stesso è proposto da un terzo non indagato, nella specie la società “RAGIONE_SOCIALE“, e contesta l’affermazione di esistenza dei presupposti del fumus commissi delicti e del periculum in mora.
2.1. In proposito, è doverosa una precisazione.
Secondo un principio ampiamente consolidato in sede di legittimità, in tema di sequestro preventivo, il terzo che affermi di avere diritto alla restituzione del bene oggetto di sequestro, può dedurre, in sede di merito e di legittimità, unicamente la propria effettiva titolarità o disponibilità del bene e l’inesistenza d un proprio contributo al reato attribuito all’indagato, senza potere contestare l’esistenza dei presupposti della misura cautelare (così, tra le tantissime, Sez. 3, n. 36347 del 11/07/2019, COGNOME, Rv. 276700-01, e Sez. 6, n. 42037 del 14/09/2016, COGNOME, Rv. 268070-01).
Questo principio, però, appare persuasivo nelle ipotesi in cui il sequestro e la confisca possano avere ad oggetto soltanto beni nella “disponibilità” dell’indagato.
In queste ipotesi, infatti, il terzo, per il solo fatto di dimostrare di esser soggetto nella “disponibilità” del bene, esclude in radice la sussistenza di uno dei presupposti indefettibili per l’applicazione del sequestro o della confisca, e, quindi, ha diritto alla restituzione del bene. Inoltre, il medesimo terzo, se non offre dimostrazione di essere egli il soggetto nella “disponibilità” del bene, non è persona «che avrebbe diritto alla restituzione» dello stesso, e, quindi, non è proprio legittimato a proporre ricorso per cassazione, e ancor prima riesame o appello, avverso i provvedimenti che hanno disposto il sequestro preventivo (cfr. art. 325 cod. proc. pen., ma anche 322 e 322-bis cod. proc. pen.).
2.2. Diversa è la situazione di sequestro preventivo funzionale ad assicurare la confisca di beni che possono essere anche di terzi.
È questa l’ipotesi del sequestro di cose appartenenti a persone ritenute non estranee al reato, e però diverse dal reo, come il sequestro avente ad oggetto il prodotto o il profitto dell’illecito penale. Paradigmatica, in proposito, è proprio l disposizione di cui all’art. 12-bis, comma 1, d.lgs. n. 74 del 2000, la quale prevede in modo nettamente distinto, da un lato, la confisca dei beni che costituiscono il profitto o il prezzo dell’illecito penale «salvo che appartengano a persona estranea al reato», e, dall’altro, per l’ipotesi in cui la misura appena indicata non può essere adottata, «la confisca di beni, di cui il reo ha la disponibilità, per un valo corrispondente a tale prezzo o profitto».
In effetti, facendo applicazione del principio riportato al § 2.1, nell’ipotesi i cui sia possibile procedere al sequestro di cose appartenenti a persona ritenuta non estranea al reato, quest’ultima, se pure offrisse dimostrazione di essere ella il soggetto nella titolarità e disponibilità del bene, non avrebbe perciò solo diritto alla restituzione dello stesso.
E, però, a norma dell’art. 322 cod. proc. pen., alla persona che vanta il diritto alla restituzione delle cose sequestrate, pur se diversa dall’indagato, è riconosciuta espressamente la facoltà di proporre richiesta di riesame «anche nel merito».
Del resto, se si ritenesse che, nell’ipotesi in cui sia possibile procedere al sequestro di cose appartenenti a persona ritenuta non estranea al reato, quest’ultima sia legittimata far valere solo la propria titolarità o disponibilità d bene e l’inesistenza di un proprio contributo al reato attribuito all’indagato, il su diritto di difesa verrebbe fortemente limitato. Si consideri, infatti, da un lato, c sarebbe del tutto irrilevante, in tale ipotesi, dedurre la propria titolarit disponibilità del bene, perché tale situazione non sarebbe in alcun modo ostativa al sequestro. E, dall’altro, che, secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza, persona non estranea al reato, ai fini della confisca e del sequestro a fini di confisca, è anche quella che abbia solo obiettivamente tratto un vantaggio dal reato, perché, ad esempio, come nel caso dei delitti di cui al d.lgs. n. 74 del 2000, sia una società che dall’illecito abbia derivato un risparmio di spesa.
Ancora, a ritenere operante la limitazione indicata, vi sarebbe una incisiva ed ingiustificata differenza di trattamento tra l’indagato ed il terzo non estraneo al reato, quando il bene da sottoporre a vincolo possa essere anche nella “titolarità” di quest’ultimo. Invero, l’indagato, per ottenere la restituzione del “proprio” bene, potrebbe contestare l’esistenza sia del fumus commissi delicti, sia del periculum in mora; il terzo, invece, per ottenere la restituzione del “proprio” bene, potrebbe solo contestare la sua “non” estraneità al reato. Senza considerare che l’argomento preliminare e risolutivo per dimostrare la propria estraneità al reato
è quello concernente l’insussistenza di questo, ossia, esattamente, il difetto del fumus commissi delicti.
Precisato che il ricorso in esame è ammissibile, deve osservarsi che lo stesso è fondato laddove deduce l’illegittimità ed insanabilità del provvedimento genetico del sequestro, per l’assoluta mancanza di motivazione da parte del G.i.p. in ordine alla sussistenza del periculum in mora.
3.1. Il periculum in mora costituisce, secondo l’ormai consolidata ed incontroversa elaborazione della giurisprudenza, presupposto indispensabile per l’applicazione del sequestro preventivo, e di esso il giudice che lo dispone deve darne motivazione del provvedimento impositivo.
Chiarissima è l’enunciazione, da parte delle Sezioni Unite, del principio secondo cui il provvedimento di sequestro preventivo di cui all’art. 321, comma 2, cod. proc. pen., finalizzato alla confisca di cui all’art. 240 cod. pen., deve contenere la concisa motivazione anche del periculum in mora, da rapportare alle ragioni che rendono necessaria l’anticipazione dell’effetto ablativo della confisca rispetto alla definizione del giudizio, salvo restando che, nelle ipotesi di sequestro delle cose la cui fabbricazione, uso, porto, detenzione o alienazione costituisca reato, la motivazione può riguardare la sola appartenenza del bene al novero di quelli confiscabili ex lege (Sez. U, n. 36959 del 24/06/2021, Ellade, Rv. 281848-01).
E in questo senso si è ripetutamente espressa la successiva giurisprudenza di legittimità (cfr., tra le tantissime, Sez. 3, n. 4920 del 23/11/2022, dep. 2023, Beni, Rv. 284313-01, e Sez. 3, n. 4949 del 04/11/2022, dep. 2023, COGNOME, Rv. 283993-01, entrambe con riferimento a sequestri a fini di confisca prevista dall’art. 12-bis d.lgs. n. 74 del 2000).
3.2. Deve poi osservarsi che, anche nel caso di sequestro preventivo, il tribunale del riesame deve annullare, e non può integrare, il provvedimento impugnato se la motivazione manca o non contiene la autonoma valutazione degli elementi che ne costituiscono il necessario fondamento, nonché degli elementi forniti dalla difesa.
Invero, le Sezioni Unite hanno precisato che, nel procedimento di riesame avverso i provvedimenti di sequestro, le disposizioni concernenti il potere di annullamento del tribunale, introdotte dalla legge 8 aprile 2015, n. 47, al comma 9 dell’art. 309 cod. proc. pen., sono applicabili – in virtù del rinvio operato dall’ar 324, comma 7, dello stesso codice – in quanto compatibili con la struttura e la funzione del provvedimento applicativo della misura cautelare reale e del sequestro probatorio, nel senso che il tribunale del riesame annulla il provvedimento impugnato se la motivazione manca o non contiene la autonoma valutazione degli elementi che ne costituiscono il necessario fondamento, nonché Avi
degli elementi forniti dalla difesa (così Sez. U, n. 18954 del 31/03/2016, Capasso, Rv. 266789-01).
E, in applicazione di questo principio, si è affermato che, in sede di riesame avverso misure cautelari reali, il tribunale non può integrare motivazioni assenti, essendo necessario che il provvedimento genetico di applicazione della misura o di convalida della stessa presenti una motivazione che, anche eventualmente attraverso la tecnica della redazione per relationem, dia conto degli elementi posti a fondamento del vincolo e di quelli a discarico rappresentati dalla difesa, al fine di consentire l’esercizio della funzione di controllo a cui il tribunale del riesame è deputato, nel rispetto dei parametri identificati dal combinato disposto degli artt. 324, comma 7, e 309, comma 9, cod. proc. peri. (così Sez. 2, n. 7258 del 27/11/2019, dep. 2020, COGNOME, Rv. 278509-01, nonché Sez. 5, n. 51900 del 20/10/2017, COGNOME, Rv. 271413-01, la quale, in applicazione del principio, ha annullato senza rinvio sia il provvedimento del tribunale del riesame, sia il decreto di sequestro preventivo disposto dal G.i.p., e ordinato la restituzione dei beni in sequestro ex art. 626 cod. proc. pen.).
3.3. Da quanto precedentemente evidenziato nei §§ 3.1 e 3.2, discende che il G.i.p., nel provvedimento impositivo del sequestro preventivo, ha l’obbligo di motivare in ordine alla sussistenza del presupposto del periculum in mora, a pena di nullità, e che l’assenza di qualunque motivazione anche solo con riguardo a tale specifico punto non costituisce vizio “sanabile” da parte del tribunale del riesame.
Di conseguenza, quando la Corte di cassazione rileva l’assenza di motivazione del provvedimento genetico del sequestro preventivo anche solo in punto di periculum in mora, deve annullare senza rinvio sia l’ordinanza del tribunale del riesame, sia il decreto o l’ordinanza del G.i.p., e disporre la restituzione all’avente diritto di quanto sottoposto a vincolo.
Non può soccorrere, in tale evenienza, il principio, pure enunciato in giurisprudenza, secondo cui, in tema di riesame avverso provvedimenti che dispongono misure cautelari reali, è legittima l’ordinanza con cui il tribunale, facendo uso dei propri poteri integrativi, ponga rimedio all’errore di diritto del giudice per le indagini preliminari che, nel decreto di sequestro preventivo finalizzato alla confisca obbligatoria, abbia omesso, ritenendola non dovuta, la motivazione in punto di periculum in mora con provvedimento adottato prima della pronuncia delle Sez. U, n. 36959 del 2021 (così Sez. 3, n. 39846 del 13/05/2022, Muntean, Rv. 283831-01).
Invero, in disparte da ogni considerazione sulla condivisibilità del principio appena riportato, occorre rilevare che lo stesso: a) presuppone un’espressa affermazione del provvedimento genetico in ordine alla non necessità della motivazione in ordine al periculum in mora; b) è stato espressamente enunciato in riferimento ad un decreto emesso anteriormente alla pronuncia delle Sez. U, n.
36959 del 2021, Ellade, cit., ossia in un momento in cui, secondo il convincimento ampiamente prevalente della giurisprudenza, ai fini del sequestro finalizzato alla confisca sarebbe sufficiente la sola verifica dell’inclusione del bene da sequestrare tra le cose oggettivamente suscettibili di confisca (così Sez. 3, n. 39846 del 2022, Muntean, cit., in motivazione, § 1).
3.4. Facendo applicazione al caso di specie dei principi indicati nel § 3.3, è doveroso annullare senza rinvio sia l’ordinanza del tribunale del riesame impugnata in questa sede, sia il provvedimento di sequestro preventivo del G.i.p. del 19 marzo 2023 nella parte relativa all’attuale ricorrente, e disporre la restituzione all’avente diritto di quanto sottoposto a vincolo.
Invero, il provvedimento del G.i.p. del 19 marzo 2023 non contiene alcuna motivazione in ordine al presupposto del periculum in mora, neppure per rappresentare che lo stesso deve ritenersi non richiesto dalla legge, come risulta direttamente dalla lettura di esso, e come riconosce espressamente anche l’ordinanza impugnata, rilevando che «il Gip ha motivato solo richiamando la confiscabilità del bene senza fare cenno alcuno al periculum in mora».
Il vizio rilevato preclude l’esame di ogni questione concernente il fumus commissi delicti.
Le censure formulate nel ricorso con riguardo al profilo del fumus commissi delicti, infatti, potrebbero, eventualmente, determinare l’annullamento con rinvio dell’ordinanza impugnata, ma non certo la caducazione di essa e del provvedimento genetico, e la restituzione dei beni in sequestro all’avente diritto.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio l’ordinanza impugnata nonché l’ordinanza del G.i.p. del Tribunale di Vallo della Lucania in data 19/03/2023 e ordina la restituzione di quanto in sequestro all’avente diritto. Manda alla cancelleria per l’immediata comunicazione al AVV_NOTAIO AVV_NOTAIO in sede per quanto di competenza ai sensi dell’art. 626 cod. proc. pen.
Così deciso il 14/11/2023