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Pericolosità sociale: vincoli mafiosi e confisca

La Cassazione annulla la revoca di una misura di prevenzione, sottolineando che la `pericolosità sociale` di un soggetto legato alla ‘ndrangheta non svanisce con la sola buona condotta carceraria. Vanno valutati i legami familiari e la mancata dissociazione. Confermato il principio per cui la confisca di prevenzione può seguire a una revoca di confisca penale se emergono fatti nuovi.

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Pubblicato il 20 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Pericolosità Sociale e Legami Mafiosi: La Cassazione Annulla la Revoca della Misura di Prevenzione

La valutazione della pericolosità sociale, specialmente in contesti di criminalità organizzata, rappresenta uno dei temi più delicati e complessi del nostro ordinamento. Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha riaffermato principi cruciali in materia, annullando la decisione di una Corte di Appello che aveva revocato la sorveglianza speciale e la confisca di una società a un soggetto condannato per associazione di tipo mafioso. La Suprema Corte ha chiarito che la buona condotta carceraria e un temporaneo allontanamento non sono sufficienti a dimostrare il venir meno di un radicato vincolo criminale.

I Fatti del Processo

Il caso trae origine da un decreto del Tribunale di Torino che applicava a un soggetto, già condannato in via definitiva per il delitto di cui all’art. 416 bis c.p., la misura di prevenzione della sorveglianza speciale per cinque anni e la confisca di diversi beni mobili e immobili a lui riconducibili, direttamente o indirettamente. Il Tribunale aveva ritenuto sussistente e attuale la sua pericolosità sociale qualificata, basandosi sulla condanna, sulla sua continua collaborazione con una società operante nel settore dei giochi d’azzardo ritenuta impresa mafiosa e su recenti contatti con esponenti della consorteria criminale. La pericolosità era stata considerata attuale nonostante non avesse commesso nuovi reati dopo la scarcerazione, dato il breve lasso di tempo trascorso.

La Decisione della Corte di Appello

Investita delle impugnazioni del proposto e di terzi interessati, tra cui la moglie e la rappresentante legale della società confiscata, la Corte di Appello di Torino ribaltava parzialmente la decisione di primo grado. Pur confermando la confisca di alcuni immobili intestati alla moglie, la Corte revocava la misura di prevenzione personale e la confisca della società e dei beni a essa intestati.

La motivazione si fondava sulla ritenuta assenza di attualità della pericolosità sociale. I giudici di secondo grado avevano valorizzato la buona condotta tenuta in carcere, l’assenza di contatti con ambienti criminali dopo un certo periodo, il reperimento di attività lavorative e il trasferimento all’estero, interpretando questi elementi come segnali di un effettivo cambiamento di vita.

Il Ricorso in Cassazione

Contro tale decisione, il Procuratore Generale presso la Corte di Appello proponeva ricorso per cassazione, lamentando una motivazione mancante e meramente apparente. Secondo la Procura, la Corte territoriale aveva ignorato circostanze decisive per valutare l’attualità della pericolosità, come la natura permanente del reato associativo mafioso, i profondi legami familiari del soggetto con vertici della ‘ndrangheta locale e il fatto che, dopo un breve periodo in Svizzera, fosse tornato a vivere nello stesso ambiente criminale di origine senza mai dissociarsi.

Anche la moglie del proposto ricorreva in Cassazione, eccependo la violazione del principio del ne bis in idem, poiché una precedente confisca sugli stessi immobili era stata revocata in sede di esecuzione penale.

La Valutazione della Pericolosità Sociale

La Corte di Cassazione ha accolto integralmente il ricorso del Procuratore Generale. Ha censurato duramente la decisione della Corte di Appello, definendola viziata da omissione motivazionale. La Suprema Corte ha ribadito che, per i reati di mafia, la valutazione dell’attualità della pericolosità non può limitarsi alla mera assenza di nuovi reati o alla buona condotta carceraria. È necessario un esame più approfondito basato su tre indicatori fondamentali:
1. Il livello di coinvolgimento del soggetto nell’attività del gruppo criminale.
2. La persistente capacità operativa del gruppo di riferimento.
3. La manifestazione di comportamenti che denotino un reale e inequivocabile abbandono delle logiche criminali.

Nel caso di specie, la Corte di Appello aveva omesso di considerare la radice familistica del legame del proposto con la ‘ndrangheta e le dichiarazioni di un collaboratore di giustizia che lo descrivevano come pienamente inserito in un ruolo da cui si esce “solo con la collaborazione o con la morte”.

La Confisca dell’Impresa Mafiosa

Anche il secondo motivo del ricorso del Procuratore, relativo alla revoca della confisca della società, è stato accolto. La Cassazione ha ritenuto illogica e assertiva la conclusione della Corte di Appello, la quale, pur riconoscendo la natura di “impresa mafiosa” della società, aveva escluso la titolarità di fatto del proposto per mancanza di prove di un ruolo gestorio diretto. I giudici di legittimità hanno sottolineato che la Corte territoriale non ha adeguatamente considerato l’ipotesi che il proposto agisse come “socio d’opera”, un ruolo pienamente compatibile con l’imponente flusso di denaro fraudolento dalla società verso di lui.

La Questione del Ne Bis in Idem

Infine, la Corte ha respinto il ricorso della moglie, chiarendo la portata del principio del ne bis in idem nel rapporto tra confisca penale e confisca di prevenzione. Sebbene esista una forma di preclusione, questa opera solo per il “dedotto” (ciò che è stato effettivamente deciso) e non per il “deducibile”. Poiché dopo la revoca della prima confisca erano emersi elementi di novità (come le condanne definitive di altri soggetti coinvolti nell’acquisto degli immobili), il Pubblico Ministero era legittimato a richiedere una nuova misura di prevenzione basata su questi nuovi presupposti.

Le Motivazioni

Le motivazioni della Cassazione si fondano su un’interpretazione rigorosa dei presupposti per le misure di prevenzione in contesti mafiosi. La Corte ha stabilito che la pericolosità sociale qualificata, derivante dall’appartenenza a un’associazione come la ‘ndrangheta, è caratterizzata da una stabilità e una persistenza che non possono essere scalfite da elementi superficiali. Il vincolo associativo, specialmente se cementato da legami di sangue, richiede, per essere ritenuto cessato, atti positivi, inequivocabili e incontrovertibili di rottura con il passato criminale, che nel caso di specie erano del tutto assenti. L’atteggiamento omertoso e la mancata presa di distanza dalle condotte passate sono stati considerati incompatibili con la presunta “evaporazione” della pericolosità. Per quanto riguarda la confisca, la motivazione carente della Corte d’Appello sul ruolo del proposto all’interno dell’impresa mafiosa ha reso inevitabile l’annullamento, imponendo una nuova valutazione che tenga conto di tutte le forme di partecipazione, inclusa quella di socio d’opera.

Le Conclusioni

La sentenza rappresenta un importante monito per i giudici di merito: la valutazione sulla pericolosità sociale non può essere un esercizio formale. Occorre un’analisi sostanziale e approfondita che consideri la natura specifica del vincolo mafioso, la sua resilienza e i segnali concreti di un eventuale cambiamento. La decisione annulla con rinvio il provvedimento impugnato, incaricando la Corte di Appello di riesaminare il caso tenendo conto dei principi espressi. La lotta alla criminalità organizzata si combatte anche attraverso un’applicazione rigorosa e coerente delle misure di prevenzione, strumenti essenziali per prosciugare le risorse economiche delle mafie e neutralizzare la minaccia che esse rappresentano per la società.

La buona condotta in carcere è sufficiente per escludere la pericolosità sociale di un condannato per associazione mafiosa?
No. Secondo la Corte di Cassazione, la buona condotta carceraria è un elemento neutro e non sufficiente a dimostrare il venir meno della pericolosità sociale, la quale richiede atti positivi e inequivocabili di rottura con il passato criminale e le logiche del gruppo di appartenenza.

È possibile disporre una confisca di prevenzione su beni per i quali era già stata revocata una confisca in sede di esecuzione penale?
Sì, è possibile a condizione che emergano fatti nuovi. La preclusione processuale (ne bis in idem) in questo ambito è debole e copre solo le questioni già dedotte e decise. Se emergono elementi nuovi (come sentenze di condanna sopravvenute a carico di terzi) che illuminano diversamente la provenienza dei beni, è possibile procedere con una nuova misura.

Cosa deve valutare il giudice per affermare l’attualità della pericolosità sociale legata alla criminalità organizzata?
Il giudice deve compiere un’analisi approfondita basata su tre indicatori: il livello di coinvolgimento passato del soggetto nel gruppo, la continua operatività del gruppo stesso e, soprattutto, la presenza di comportamenti concreti del soggetto che dimostrino un reale abbandono delle logiche criminali, come una dissociazione effettiva, non essendo sufficiente la mera assenza di nuovi reati.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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