Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 11987 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 1 Num. 11987 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 06/12/2024
SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
PROCURATORE GENERALE PRESSO CORTE D’APPELLO DI TORINO nel procedimento a carico di: NOME nato a CUORGNÈ (ITALIA) il 30/06/1986
NOME nato a TORINO (ITALIA) il 20/07/1987 nel procedimento a carico di quest’ultimo
NOME COGNOME
RAGIONE_SOCIALE
CANI NOME
VERSACI MICHELANGELO
RAGIONE_SOCIALE COGNOME ( IN PERSONA PRES. LEGALE RAPPR. NOME COGNOME
RAGIONE_SOCIALE
avverso il decreto del 13/06/2024 della CORTE APPELLO di TORINO
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
lette le conclusioni del PG, NOME COGNOME che ha chiesto l’annullamento del decreto impugnato in accoglimento del ricorso del Procuratore generale.
RITENUTO IN FATTO
Con decreto del 14/07/2023, il Tribunale di Torino, Sez. misure di prevenzione, ha applicato nei confronti di NOME COGNOME la misura di prevenzione della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza per la durata di anni cinque, nonché ha disposto la confisca di beni mobili ed immobili, meglio in decreto specificati, direttamente od indirettamente a lui riconducibili.
In puntot) -ericolosità sociale, il Tribunale ha ritenuto sussistente a carico del proposto una pericolosità sociale qualificata ex art. 4 comma 1 lett a) d. Igs. 159 del 2011, evidenziando come egli fosse stato condannato in via definitiva per il delitto di cui all’art. 416 bis cod. pen. (procedimento c.d. COGNOME), con condotta partecipativa a far data dal 2007 sino alla data 2012 (come da contestazione); sino almeno al 2015 COGNOME ha continuato a collaborare con la soc. RAGIONE_SOCIALE, operante nel settore dei giochi d’azzardo, e ritenuta dal Tribunale impresa mafiosa; ha ricevuto ancheirtempi successivi e recenti somme di denaro, da ritenersi di natura illecita, dalla predetta società; ha intrattenuto rapporti recenti con soggetti appartenenti o contigui alla consorteria ndranghetista. Il Tribunale ha ritenuto non fosse venuta meno l’attualità della pericolosità sociale del proposto pur non avendo il medesimo commesso illeciti successivamente alla scarcerazione (avvenuta il 05/03/2022), stante la brevità del lasso temporale intercorso.
Il Tribunale ha ritenuto sussistente anche una pericolosità generica ex art. 1 lett. b) d. Igs. 159 del 2011 in quanto, proprio grazie alla sua appartenenza alla consorteria ‘ndranghetista, era entrato nel settore dei giochi d’azzardo on line, attività particolarmente lucrosa per il proposto..
Relativamente alla misura patrimoniale, il Tribunale ha disposto la confisca di alcuni beni mobili e immobili meglio descritti in decreto, osservando come tutti fossero entrati nella disponibilità dell’Agresta in epoca successiva al 2007; relativamente al requisito della sproporzione, sulla base degli accertamenti effettuati dalla GdF è stata ritenuta una costante sproporzione tra tenore di vita del nucleo famigliare del proposto ed i redditi dichiarati tra il 2010 ed il 2019.
Investita delle impugnazioni del proposto, e dei terzi interessati NOME COGNOME moglie dell’Agresta, e GLYPH di NOME COGNOME in qualità di socia e rappresentante pro tempore della RAGIONE_SOCIALE, la Corte di appello di Torino ha respinto l’appello proposto da NOME COGNOME (che chiedeva la revoca della confisca degli immobili a lei intestati), e, in accoglimento delle residue impugnazioni, ha revocato la misura di prevenzione personale applicata al proposto, nonché, per quanto di interesse in questa sede, ha revocato la confisca della RAGIONE_SOCIALE e dell’intero complesso aziendale e dei beni immobili alla società intestati.
2.1. GLYPH Con riferimento alla misura di prevenzione personale, la Corte ha ritenuto mancante il requisito dell’attualità della pericolosità sociale. I giudici d’appello hanno innanzitutto rilevato come il proposto fosse stato condannato per il delitto di cui all’articolo 416 bis cod. pen. per fatti commessi sino al 08/06/2011 (data in cui è stata applicata all’Agresta la misura cautelare della custodia in carcere nell’ambito del proc. c.d. COGNOME); non aveva più avuto contatti con soggetti legati alla consorteria ‘ndranghetista dal marzo 2017; era stato assolto nell’ambito del procedimento c.d. Cerbero dalle imputazioni ivi mosse (tra le quali non vi era quella di cui all’art. 416 bis cod. pen.); durante il periodo di detenzione in carcere scontato dopo l’irrevocabilità della sentenza, dal 3 novembre 2020 al 5 marzo 2022, aveva sempre tenuto una buona condotta, e dalla data di scarcerazione non aveva commesso illeciti, dimostrando un suo reinserimento nel tessuto sociale, reperendo varie attività lavorative, e trasferendosi dapprima in Svizzera per poi rientrare in Italia. La Corte ha conclusivamente ritenuto che detti elementi non fossero dimostrativi di un’attualità della pericolosità qualificata essendo anzi ravvisabili plurimi segnali attestanti un cambiamento di vita del proposto ed un distacco rispetto al contesto criminale accertato in precedenza; quanto alla pericolosità generica, del pari difettava il requisito dell’attualità stante l’assenza di elementi concreti per ritenere che il proposto viva nell’attualità abitualmente con i proventi di attività delittuose.
2.2. Venendo alla misura patrimoniale, quanto agli immobili formalmente intestati alla Gambino, siti in Volpiano INDIRIZZO la Corte ha disatteso le doglianze difensive contenute nell’atto di appello proposto dalla predetta terza interessata, condividendo la disamina effettuata dal Giudice di primo grado. La Corte ha in particolare ritenuto infondata l’eccezione di ne bis in idem formulata dall’appellante relativamente alla decisione assunta il 11 gennaio 2023 dalla Corte d’appello di Torino, quale giudice dell’esecuzione, con la quale era stata disposta la revoca della confisca ex art. 240 bis cod. pen. dei medesimi beni, con restituzione degli stessi alla COGNOME; ha quindi argomentato come gli immobili in questione fossero stati acquistati il 03/12/2010, in un periodo di comprovata pericolosità qualificata del proposto e, per quanto attiene ai ratei del mutuo, in un’evidente regime di sproporzione.
2.3. In relazione invece alla confisca della RAGIONE_SOCIALE, la Corte pur condividendo la disamina effettuata dai primi Giudici in ordine alla natura di “impresa mafiosa” della società, ha tuttavia osservato come non fossero emersi sufficienti elementi per ritenere che il proposto avesse un effettivo ruolo gestorio nella società e quindi una sua titolarità di fatto essendo unicamente emersa «una sua forte ingerenza nelle attività della società mai tuttavia tale da sconfinare in concreti atti di vera e propria gestione o nella elargizione di diretti investimenti di capitali personali
nella predetta società»; conseguentemente La Corte revocava la confisca della società e dei beni alla stessa riconducibili.
Avverso detto decreto hanno GLYPH proposto ricorso per cassazione il Procuratore generale presso la Corte di appello di Torino e la terza interessata NOME COGNOME.
La parte pubblica ricorrente articola due motivi.
4.1. GLYPH Con il primo motivo denuncia violazione di legge per assoluta mancanza della motivazione e mera apparenza della stessa con particolare riferimento al punto 4. del decreto, avendo la Corte totalmente ignorato plurime circostanze decisive in riferimento all’attualità della pericolosità del proposto.
La Corte ha omesso di considerare che il reato associativo mafioso, per il quale è intervenuta condanna dell’Agresta nel proc. c.d. COGNOME, era contestato dal 2007 in permanenza; erra quindi la Corte nel ritenere cessata la permanenza al momento in cui vi era stata la cattura dell’odierno proposto, dal momento che, per orientamento consolidato della Corte di legittimità, vige la regola processuale per cui la cessazione della permanenza coincide con la data della sentenza di primo grado; osserva ancora il Procuratore ricorrente come la sentenza COGNOME fosse divenuta definitiva solo nel novembre 2020, motivo per il quale ad Agresta non era stato contestato, nel proc. COGNOME, il reato di cui all’art. 416 bis cod. pen.; l’assoluzione dell’COGNOME nel processo c.d. COGNOME per tre episodi di intestazione fittizia di cui all’art. 512 bis cod. pen., non consente quindi alcuna conclusione sull’appartenenza o meno alla ‘ndrangheta del proposto in quel periodo (2016 – 2017); irrilevante appare poi il trasferimento in Svizzera del proposto successivamente alla sua scarcerazione, dal momento che COGNOME ha poi fatto rientro in Italia, ristabilendosi proprio a Volpiano, nello stesso luogo ove ha sede la locale `ndranghestista di cui ha fatto parte, e dove è percepito come soggetto mafioso, di famiglia mafiosa, che mai si è dissociato.
Quanto agli ulteriori elementi fondanti la decisione della Corte, ovvero la buona condotta carceraria e l’astensione dalla commissione di reati dopo la scarcerazione, osserva il Procuratore generale come i giudici d’appello, pur avendo richiamato correttamente gli orientamenti della Corte di legittimità in ordine al tema oggetto di valutazione, ne hanno disatteso i principi avendo totalmente ignorato plurime circostanze decisive, che erano state invece poste alla base della motivazione del decreto del Tribunale di Torino.
Si è in particolare omesso totalmente di considerare la peculiare matrice familistica della locale di ‘ndrangheta di Volpiano: tale solo elemento evidenzia come siano del tutto attuali i contatti ed i legami di COGNOME con soggetti legati alla locale di
sndrangheta di Volpiano, tra i quali il padre, a sua volta condannato in via definitiva per il reato di cui all’art. 416 bis cod. pen. quale affiliato e capo della locale in argomento. Ed ancora si è omesso di considerare le dichiarazioni del collaboratore di giustizia, omonimo del proposto, NOME COGNOME cl. 88, più volte riconosciuto credibile ed attendibile in sentenze definitive, il quale ha descritto il proposto come «pienamente inserito con ruolo dinamico all’interno della locale di ndrangheta di Volpiano ad un livello dal quale si è recede solo con la collaborazione o con la morte», oltre ad avere descritto la propria esperienza carceraria – formalmente regolare -, nel corso della quale, egli era costantemente informato delle vicende legate al clan, essendo anche destinatario di ulteriori doti ricevute in carcere. Ebbene, la Corte territoriale, a fronte della formale buona condotta carceraria dell’Agresta, non ha considerato come il proposto non avesse preso le distanze dalle condotte partecipative per cui era stato condannato, dalle quali mai si era dissociato.
4.2. Con il secondo motivo denuncia mancanza o mera apparenza della motivazione in riferimento al punto 5.4 relativo alla riferibilità al proposto della RAGIONE_SOCIALE
La Corte territoriale dopo aver elencato gli elementi attestanti una continua ingerenza del proposto nella gestione della società ha illogicamente concluso nel senso che non fossero emersi elementi sufficienti per ritenere che l’COGNOME avesse un ruolo effettivo gestorio nella Bat Noleggio.
Tale conclusione appare assertiva, tautologica e sostanzialmente immotivata posto che il tema non sarebbe stato tanto se il proposto fosse amministratore o socio di capitali di Bat Noleggio, quanto se fosse stato socio occulto, potendolo esserlo conchiude il ricorso – anche quale socio d’opera.
GLYPH NOME COGNOME per il tramite del suo difensore avv. NOME COGNOME a sua volta ricorre contro l’impugnato decreto, articolando un unico motivo con il quale deduce violazione di legge, con riferimento all’art. 649 cod. proc. pen. e motivazione apparente.
La ricorrente eccepisce in particolare la violazione del ne bis in idem, applicabile anche in relazione ai rapporti tra confisca di prevenzione e confisca di esecuzione, con riferimento alla revoca della confisca disposta dal G.E. con ordinanza del 11/01/2023.
Si sottolinea in particolare come la Corte d’appello torinese abbia fatto malgoverno dell’articolo 649 cod. proc. pen., avendo ritenuto che gli elementi posti dal Tribunale di prime cure a fondamento dell’intervenuta confisca, fossero nuovi, ed omettendo sul punto di affrontare le doglianze difensive contenute in atto di appello.
Osserva infatti la Difesa ricorrente come gli elementi di novità citati dalla Corte d’appello torinese fossero perfettamente presenti e conosciuti al Pubblico Ministero
che aveva partecipato all’udienza di discussione dell’incidente di esecuzione promosso dalla COGNOME avverso il sequestro dei medesimi immobili, pur non essendo stati ivi dedotti. La Corte ha inoltre valorizzato elementi estranei al thema decidendum, che era quello della sproporzione patrimoniale della famiglia COGNOME. Erano in particolare certamente note tutte le vicende inerenti al deposito in contanti dei 24.000 C (di proprietà della COGNOME, che non doveva dimostrarne la lecita provenienza, trattandosi di terzo interessato), nonché dei 15.000 C versati con assegno tratto dal conto di NOME COGNOME essendo noto da tempo che COGNOME fosse socio dell’RAGIONE_SOCIALE.
Quanto ai proventi della RAGIONE_SOCIALE, gli stessi erano stati ritenuti leciti in sede di cognizione dalla Corte d’appello di Torino nella sentenza del 20 aprile 2018; dalla liceità di tali proventi deriva una valutazione di proporzione patrimoniale dei coniugi COGNOME COGNOME rispetto all’acquisto dell’immobile in oggetto.
La condanna di COGNOME per il reato di cui all’art. 416 bis cod. pen. non rappresenta un elemento di novità dal momento che nell’ambito del processo COGNOME la COGNOME è rimasta del tutto estranea e COGNOME è stato assolto dall’accusa di autoriciclaggio.
Lamenta poi la contraddittorietà del provvedimento impugnato laddove, da un lato, ha ritenuto illeciti i proventi derivanti alla coppia COGNOME –COGNOME dalla Bat Noleggio, e, dall’altro, ha restituito la società, pur definita “mafiosa”, ai legittimi proprietari.
Quanto, infine, al tenore di vita della famiglia COGNOME COGNOME, essa è stata analizzata sin dal 2007 e tutti gli elementi inerenti detto tenore di vita erano conosciuti sia dal giudice del processo COGNOME che dal giudice dell’esecuzione che ha deciso il dissequestro dell’immobile, non rappresentando quindi alcun elemento di novità.
Il sostituto Procuratore generale, NOME COGNOME ha concluso chiedendo l’annullamento con rinvio dell’impugnato decreto in accoglimento del ricorso proposto dal Procuratore Generale presso la Corte di appello di Torino.
Con memoria telematicamente depositata la difesa di NOME COGNOME ha ulteriormente argomenta . to in ordine alla fondatezza del ricorso presentato concludendo chiedendone l’accoglimento.
Il difensore di NOME COGNOME in qualità di socia, nonché di legale rappresentante pro tempore della RAGIONE_SOCIALE di COGNOME NOME RAGIONE_SOCIALE ha depositato a sua volta una memoria con la quale chiede la declaratoria di inammissibilità del ricorso del P.G.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso del Procuratore Generale presso la Corte di appello di Torino è fondato, mentre deve essere respinto il ricorso avanzato dalla terza interessata NOME COGNOME no.
Prima di procedere all’analisi delle impugnazioni, giova ricordare quale sia il perimetro del giudizio di questa Corte di legittimità nel vagliare le decisioni in tema di misure di prevenzione reali. Si è, infatti, chiarito (ex plurimis con la sentenza delle Sezioni unite n. 33451 del 29/05/2014, Repaci) come, nel procedimento di prevenzione, il ricorso per cassazione sia ammesso soltanto per violazione di legge, secondo il disposto dell’art. 4 legge 27 dicembre 1956, n. 1423, richiamato dall’art. 3 ter, secondo comma, legge 31 maggio 1965, n. 575 (ed ora dall’art. 10, terzo comma, per le misure personali, e 27, secondo comma, per le misure reali, d. Igs. 6 settembre 2011 n. 159). Ne consegue che, in tema di sindacato sulla motivazione, è esclusa dal novero dei vizi deducibili in sede di legittimità l’ipotesi dell’illogicità manifesta di cui all’art. 606, lett. e), cod. proc. pen., potendosi esclusivamente denunciare con il ricorso la motivazione omessa o del tutto apparente. Con pronunce successive al dettato della sentenza COGNOME si è precisato che il vizio di omessa o apparente motivazione ricorre: – quando il decreto omette del tutto di confrontarsi con un elemento potenzialmente decisivo prospettato da una parte che, singolarmente considerato, sarebbe tale da poter determinare un esito opposto del giudizio (Sez. 1, n. 6636 del 07/01/2016, COGNOME, Rv. 266365; Sez. 6, n. 33705 del 15/06/2016, COGNOME, Rv. 270080); – quando il travisamento della prova per omissione, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., altrimenti estraneo al procedimento di legittimità in tema di misure di prevenzione reali, abbia investito plurime circostanze decisive totalmente ignorate ovvero ricostruite dai giudici di merito in modo talmente erroneo così da trasfondersi in una motivazione apparente o inesistente, riconducibile alla violazione di legge (Sez. 2, n. 20968 del 06/07/2020, PG c. COGNOME, Rv. 279435). Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Muovendo da tale cornice ermeneutica, risulta fondato il ricorso mosso dal pubblico ministero.
3.1. Nel primo motivo, il pubblico ministero torinese censura l’impugnato decreto sotto il profilo della ritenuta insussistenza dell’attualità con riferimento alla pericolosità sociale qualificata.
Sullo specifico tema, occorre tener conto del perimetro valutativo del giudice in questo ambito, come disegnato da Sez. U., n. 111 del 30/11/2017, dep. 2018, Gattuso, Rv. 271511, secondo cui, ai fini dell’applicazione di misure di prevenzione
nei confronti di indiziati di appartenere ad associazioni di tipo mafioso è necessario accertare il requisito della “attualità” della pericolosità e, laddove sussistano elementi sintomatici di una “partecipazione” del proposto al sodalizio mafioso, è possibile applicare la presunzione semplice relativa alla stabilità del vincolo associativo purché la sua validità sia verificata alla luce degli specifici elementi di fatto desumibili dal caso concreto e la stessa non sia posta quale unico fondamento dell’accertamento di attualità della pericolosità.
In conformità a detto orientamento, questa Corte di legittimità ha specificato che, sebbene non possa attribuirsi unico o decisivo rilievo al buon comportamento carcerario, peraltro doveroso dy l parte del proposto in espiazione pena, non può ignorarsi lo sforzo profuso dal condannato per precostituirsi le condizioni del reinserimento nella società legale, palesato, ad esempio, dalla dedizione allo studio, dalla coltivazione dei rapporti parentali e dall’assunzione di uno stile di vita improntato al rispetto delle persone e delle istituzioni (Sez. 5, n. 30130 del 15/03/2018, COGNOME, Rv. 273500).
Secondo Sez. 2, n. 24585 de/ 09/02/2018, PG c COGNOME, Rv. 272937 – 01, ai fini dell’applicazione di misure di prevenzione nei confronti di un condannato per il reato di associazione di tipo mafioso, qualora sia intercorso un apprezzabile lasso di tempo’ tra l’accertamento in sede penale e la formulazione del giudizio di prevenzione, è onere del giudice compiere l’accertamento dell’attualità della pericolosità sociale in rapporto ai tre indicatori fondamentali, costituiti dal livello del coinvolgimento del proposto nella pregressa attività del gruppo criminoso, dalla tendenza del gruppo di riferimento a mantenere intatta la sua capacità operativa nonché dalla manifestazione, in tale intervallo temporale, da parte del proposto di comportamenti denotanti l’abbandono delle logiche criminali in precedenza condivise.
La Corte d’appello torinese non ha fatto buon governo dei suindicati principi, essendo mancata una specifica motivazione in ordine ai tre indicatori suindicati.
Quanto ai primi due (il livello del coinvolgimento del proposto nella pregressa attività del gruppo criminoso, e la tendenza del gruppo di riferimento a mantenere intatta la sua capacità operativa), la motivazione, come giustamente censurato dal PG ricorrente, è del tutto omessa.
Innanzitutto, quanto alla condanna per il reato di cui all’art. 416 bis cod. pen., nell’ambito del proc. cd Minotauro, coglie nel segno la censura mossa dal PG ricorrente con riguardo all’erronea valutazione circa la data in cui sarebbe cessata la permanenza, indicata dalla Corte torinese al 08/06/2011, data dell’esecuzione della misura cautelare, dovendosi invero ancorare la cessazione della permanenza alla data di pronuncia della sentenza di primo grado.
Ed ancora, come censurato dal PG ricorrente, il giudice d’appello ha omesso di considerare la peculiare matrice familistica dell’appartenenza degli COGNOME alla
‘ndrangheta, in particolare alla locale di Volpiano, al cui vertice, come irrevocabilmente accertato, si poneva il padre dell’odierno ricorrente.
Si è poi omesso di considerare le dichiarazioni rese da collaboratore di giustizia NOME COGNOME cl. 88, dalle quali emerge la caratteristica della impermeabilità del vincolo di ‘ndrangheta rispetto alle carcerazioni anche di lunga durata.
Su detti punti la Corte ha omesso di motivare, incorrendo nel denunciato vizio di mancanza di motivazione, rilevante quale violazione di legge.
Quanto al terzo indicatore, costituito dalla manifestazione da parte del proposto di comportamenti denotanti l’abbandono delle logiche criminali in precedenza condivise, il decreto impugnato da un lato omette di considerare circostanze decisive, dall’altro si arresta ad una valutazione del percorso di buona condotta del detenuto, mancando di valutare l’effettivo percorso carcerario, con ciò fornendo una motivazione apparente.
Richiamati infatti i principi ermeneutici sopra citati, come esplicitati da Sez. 5, n. 30130 del 15/03/2018, COGNOME, Rv. 273500, può affermarsi che il venir meno dell’attualità della pericolosità consegue non tanto al semplice decorso del tempo o allo stato di detenzione, quand’anche caratterizzato da regolare condotta intramuraria, quanto al compimento di atti volontari positivi, indicativi in modo inequivoco ed incontrovertibile che il soggetto abbia mutato condotta di vita.
Ebbene, durante il periodo di detenzione, il prevenuto non ha mostrato segni evidenti di una seria e reale rivisitazione del proprio vissuto criminale e di un effettivo ripudio del modello comportamentale adottato, quale vera e propria scelta di vita mai seriamente ed espressamente rinnegata; né può essere attribuita alla buona condotta carceraria, consistente nella mera dovuta osservanza delle regole penitenziarie, alcuna valenza sintomatica di un intervenuto mutamento della condotta di vita, ponendosi la stessa come circostanza del tutto neutra rispetto alla pretesa risocializzazione: la regolare condotta intramuraria non può infatti essere ritenuta di per sé significativa di una avvenuta risocializzazione, in assenza di comportamenti espressivi di una evidente rivisitazione del percorso criminale intrapreso e di ripudio netto del modello comportamentale passato, attraverso la dissociazione.
Infine, dopo la scarcerazione avvenuta il 05/03/2022, COGNOME, dopo una breve permanenza in Svizzera, è tornato a vivere a Volpiano, ove mantiene i legami con la famiglia.
Come denunciato dal Procuratore ricorrente, la Corte territoriale, valorizzando la buona condotta carceraria del proposto, ha totalmente trascurato il fatto che COGNOME non abbia mai preso le distanze dalle condotte partecipative per cui è stato condannato, avendo addirittura affermato nel processo penale di non avere sentito mai parlare di ‘ndrangheta prima della lettura degli atti di indagine: proprio tale atteggiamento aveva indotto il Tribunale di prime cure (pag. 17) ad individuare in
capo ad COGNOME un atteggiamento omertoso ed una preservata affectio societatis, inconciliabile con la sopravvenuta evaporazione della pericolosità sociale.
Peraltro, la stessa sentenza richiamata dalla Corte torinese in seno all’impugnato provvedimento (pag.11) Sez. 6, n. 20577 del 07/07/2020, COGNOME, Rv. 279306 01, dopo avere riaffermato il consolidato principio per cui «Ai fini dell’applicazione di misure di prevenzione nei confronti di indiziati di appartenere ad associazioni di tipo mafioso è necessario accertare il requisito della “attualità” della pericolosità e, laddove sussistano elementi sintomatici di una “partecipazione” del proposto al sodalizio mafioso, è possibile applicare la presunzione semplice relativa alla stabilità del vincolo associativo purché la sua validità sia verificata alla luce degli specifici elementi di fatto desumibili dal caso concreto e la stessa non sia posta quale unico fondamento dell’accertamento di attualità della pericolosità», ha annullato con rinvio il provvedimento impugnato, «sul rilievo della omessa valutazione, da parte della corte di appello, del lungo periodo di permanenza del ricorrente in stato detentivo, della confessione resa e della formulazione da parte sua di un’offerta reale alle persone offese dei reati, a fini risarcitori, elementi di cui era necessario accertare se denotassero l’abbandono delle logiche criminali in precedenza condivise all’interno del sodalizio camorristico».
E proprio tale analisi, in ordine alla disamina di elementi sintomatici dell’abbandono dalle logiche criminali, è mancata nel caso di specie, come correttamente evidenziato dal pubblico ministero ricorrente.
Alla luce delle evidenziate considerazioni, si impone l’annullamento del provvedimento impugnato nella parte in cui è stata revocata la misura di prevenzione personale nei confronti del proposto, ai fini di una rivalutazione complessiva che dovrà tenere conto dei rilievi esposti.
3.2. Del pari fondato è il secondo motivo di ricorso della parte pubblica con la quale viene denunciata la mancanza di motivazione in ordine alla revoca della confisca della soc. RAGIONE_SOCIALE e dei beni alla stessa riconducibili.
La Corte torinese è giunta alla revoca della misura ablatoria attraverso un percorso argomentativo non del tutto lineare, avendo dapprima evidenziato come la COGNOME fosse in effetti un’impresa mafiosa (tanto che tutti i flussi di denaro che dalla società erano confluiti alla famiglia COGNOME sono stati ritenuti inquinati e di origine illecita) e sottolineato che COGNOME si era ingerito nella società, prestando la sua opera (dal momento che si occupava di «piazzare le macchinette presso i vari esercenti e. dirimere le controversie tra i vari gestori»), per poi concludere non esservi prova di «vera e propria gestione», anche in considerazione della mancanza di prova di diretti investimenti di capitali personali nella società.
Trattasi di una motivazione sostanzialmente assertiva entro la quale non è dato comprendere l’esatto iter logico e argomentativo che ha portato la Corte all’esito decisorio.
Coglie allora nel segno la censura mossa dalla parte pubblica ricorrente laddove evidenzia l’assenza di motivazione in ordine ad elemento decisivo prospettato da una parte che, singolarmente considerato, sarebbe tale da poter determinare un esito opposto del giudizio: l’elemento del tutto pretermesso dai giudicanti di secondo grado attiene all’eventuale ruolo di socio d’opera rivestito nell’ambito della RAGIONE_SOCIALE (società gestita da prestanomi) dall’RAGIONE_SOCIALE, del tlto coeret v gin off!–RAGIONE_SOCIALE l’imponente flusso di denaro uscito dalle casse della società, e Redericto nell disponibilità del proposto con modalità fraudolente (emissione di false fatture).
È appena il caso di osservare come non colgano/nel segno le argomentazioni spese nella memoria difensiva presentata nell’interesse della società RAGIONE_SOCIALE, dal momento che con esse si contesta un’eventuale ricostruzione dei fatti che non trova origine nel-l’impugnato decreto, affetto / come sopra argomentato / proprio da una mancanza di motivazione sul punto; affrontando il tema sollevato dalla parte pubblica ricorrente (la qualifica di COGNOME quale socio d’opera) e contrastandola nel merito, la Difesa della società invita sostanzialmente questa Corte a sovrapporre – a fronte della carenza motivazionale del decreto di secondo grado – una valutazione, appunto di merito, che all’evidenza non le spetta.
In conclusione, sulla revoca della confisca della RAGIONE_SOCIALE e dei beni alla stessa riconducibili, censurata dal pubblico ministero con il secondo motivo di ricorso, la motivazione della Corte risulta omessa in riferimento a punti decisivi che non sono stati affatto affrontati.
GLYPH Venendo ora al ricorso proposto nell’interesse di NOME COGNOME lo stesso è infondato e deve essere respinto.
Va innanzitutto chiarito che la confisca di prevenzione e la confisca cosiddetta “allargata”, di cui all’art. 12 sexies d.I., 8 giugno 1992, n. 306 – oggi trasfuso nell’art. 640 bis cod. pen. – presentano presupposti applicativi solo in parte coincidenti sicché deve escludersi l’esistenza di una loro piena sovrapponibilità. La confisca ex art. 12sexies, misura di sicurezza atipica correlata alla condanna penale, richiede la commissione di un reato tipico, per giunta accertato da una sentenza di condanna, ordinariamente generatore – per la sua tipologia – di disponibilità illecite di natu delittuosa, ancorché l’adozione del provvedimento ablativo prescinda da un nesso di pertinenzialità del bene con il reato per il quale è intervenuta la condanna purché sia comunque rispettato il criterio di “ragionevolezza temporale” che impone di escludere dalla sua applicazione i beni che siano “íctu ocu/i” estranei al reato perché «acquistati in un periodo di tempo eccessivamente antecedente alla sua commissione» (così le
sentenze delle Sezioni Unite del 30/05/2001, Derouach, Rv. 219221; 17/12/2003, Montella, Rv. 226490; Sez. U, 27421 del 25/02/2021, Crostella Rv. 281561 – 01).
La confisca di prevenzione persegue un più ampio fine di interesse pubblico volto all’eliminazione dal circuito economico di beni di sospetta provenienza illegittima che sussiste per il solo fatto che quei beni siano andati ad incrementare il patrimonio del soggetto, a prescindere non solo dal perdurare a suo carico di una condizione di pericolosità sociale attuale, ma anche dall’eventuale provenienza dei cespiti da attività sommerse fonte di evasione fiscale (Sez. U, n. 33451 del 29/05/2014, Repaci, Rv. 260247 – 01). Sul piano della struttura normativa le differenze delle due confische sono evidenti: quella ex art. 12 – sexies è legata alla commissione di alcuni reati, mentre l’accertata commissione di reati non è presupposto necessario per il giudizio di pericolosità; la confisca c.d. allargata è legata alla non giustificabilità della provenienza delle utilità ed alla sproporzione rispetto ai rediti dichiarati o alla propria attività economica, quella di prevenzione aggiunge (profilo estraneo alla confisca ex art. 12 -sexies) in alternativa («ovvero quando») la riconducibilità dei beni, sulla base di sufficienti indizi, al frutto di attività illecite ed al reimpiego delle stesse («beni [ che siano il frutto di attività illecite e ne costituiscano il reimpiego»).
Tali particolari rapporti tra i due istituti determinano conseguenze laddove il medesimo bene sia stato attinto dalle due forme confische una delle quali, nella specie quella ex art. 12 sexies, sia stata revocata come avvenuto nel caso di specie ad opera del provvedimento assunto dal G.E. con ordinanza del 11/01/2023.
La giurisprudenza di legittimità ha chiarito che la definitività del provvedimento di revoca in sede penale di una misura patrimoniale ex art. 12 sexies dl. n. 306 del 1992, conv. in I. n. 356 del 1992, costituisce ostacolo, in mancanza di fatti nuovi dedotti, ad un intervento ablativo di segno positivo nel procedimento di prevenzione avente ad oggetto i medesimi beni, se la decisione afferisca agli accertamenti in fatto relativi ai presupposti costitutivi comuni dei due istituti. (Sez. 1, n. 48173 del 23/10/2013, COGNOME, Rv. 257669; nello stesso senso, Sez. 6, n. 18267 del 06/02/2014, COGNOME, Rv. 259453; Sez. 1 n. 13242 del 10/11/2020, dep. 2021, COGNOME, Rv. 280986).
Sez. 6 n. 51366 del 17/05/2018, Trovato, Rv. 275879 – 01, ha in particolare chiarito che la definitività del provvedimento di revoca in sede penale di una misura patrimoniale ex art. 12-sexies d.l. n. 306 del 1992, impedisce, in mancanza di fatti nuovi dedotti, l’adozione di un decreto di confisca nel procedimento di prevenzione avente ad oggetto i medesimi beni, a condizione che la decisione afferisca agli accertamenti in fatto relativi ai presupposti costitutivi comuni. (In motivazione, la Corte ha precisato che nel rapporto fra le due misure ablatorie, pur non essendo applicabile la preclusione derivante dal giudicato, perché i due provvedimenti vengono adottati in ambiti procedurali diversi e sulla base di presupposti non
coincidenti, è tuttavia configurabile una forma di preclusione processuale che attiene solo al dedotto e non anche al deducibile e che, quindi, viene meno a fronte della sopravvenienza di fatti nuovi. In motivazione, la Corte ha precisato che nel rapporto fra le due misure ablatorie, pur non essendo applicabile la preclusione derivante dal giudicato, perché i due provvedimenti vengono adottati in ambiti procedurali diversi e sulla base di presupposti non coincidenti, è tuttavia configurabile una forma di preclusione processuale che attiene solo al dedotto e non anche al deducibile e che, quindi, viene meno a fronte della sopravvenienza di fatti nuovi).
Non si può quindi parlare, nel rapporto fra le due misure ablatorie di preclusione da giudicato, perché i due provvedimenti vengono adottati in ambiti procedurali diversi, che non consentono di ipotizzare un ne bis in idem; è tuttavia configurabile una forma di preclusione processuale in qualche modo assimilabile a quella che la giurisprudenza ha da tempo individuato, ad esempio, nella materia cautelare; una preclusione rebus sic sta ntibus, caratterizzata da una stabilità minore della decisione rispetto a quella sulla quale si forma il giudicato penale; una preclusione che attiene solo al “dedotto” e non anche al deducibile ed è, quindi, suscettibile di essere messa sì in discussione ma solo a seguito della sopravvenienza di fatti nuovi.
Al riguardo, Sez. 1, n. 27712 del 01/07/2020, PMT C/ COGNOME, Rv. 279786 01 evidenzia come: – il principio generale esplicitato dall’art. 649 cod. proc. pen. per il giudizio di cognizione sia riferibile anche all’esecuzione penale, settore in cui detta limitazione trova ulteriore esplicito riscontro normativo nella disposizione di cui all’art. 666, comma 2, cod. proc. pen., a tenore della quale è preclusa, e sanzionata con l’inammissibilità, la riproposizione delle medesime questioni esaminate e decise con provvedimento suscettibile di impugnazione, quando questa non sia esperita ovvero sia attivata con esito infruttuoso; – l’effetto preclusivo del giudicato, nel settore della giurisdizione esecutiva, non giunga però ad impedire la valida riproposizione della richiesta quando siano allegati a suo corredo fatti nuovi; – la novità delle circostanze di fatto o delle ragioni di diritto sia ravvisabile quando le deduzioni riguardino fatti cronologicamente sopravvenuti alla decisione ovvero pregressi o coevi che, tuttavia, non abbiano formato oggetto di considerazione da parte del giudice nell’ambito della precedente decisione; – in altri termini, estendendosi la preclusione del giudicato esecutivo alle sole questioni dedotte ed effettivamente decise (Sez. 1, n. 30496 del 03/06/2010, COGNOME, Rv. 248319), a fronte di una determinazione già assunta e non impugnata ovvero inutilmente impugnata, ciò che rileva sia che quanto dedotto a sostegno della nuova istanza non sia stato apprezzato in precedenza, a prescindere dalla circostanza che gli elementi di fatto o diritto fossero o meno oggettivamente preesistenti o successivi alla decisione, poiché la preclusione debole correlata al divieto di ne bis in idem copre
esclusivamente “il dedotto” e non anche “il deducibile”, ossia le questioni proponibili, ma non dedotte o non valutate nemmeno implicitamente nella decisione.
Analogamente Sez. 1, n. 27712 del 01/07/2020, PMT C/ COGNOME, Rv. 279786 – 01 ha affermato che la preclusione del cd. giudicato esecutivo opera per le sole questioni dedotte ed effettivamente decise e non anche per le questioni meramente deducibili, ovvero per le questioni proponibili ma non dedotte o non valutate nemmeno implicitamente nella precedente decisione definitiva.
Nello stesso senso, più recentemente, Sez. 1, n. 42172 del 23/06/2023, PG C/ La Valle, Rv. 285374 – 02 ha affermato che la definitività del provvedimento di revoca, in sede penale, di una misura patrimoniale già disposta, ai sensi dell’art. 240bis cod. pen., impedisce, in mancanza di fatti nuovi, l’adozione di un decreto di confisca nel procedimento di prevenzione avente a oggetto i medesimi beni, a condizione che la decisione si riferisca agli accertamenti in fatto relativi ai presupposti · applicativi comuni.
Così inquadrata, sul piano dei principi generali applicabili, la questione sottoposta dalla ricorrente COGNOME in seno al suo ricorso, va osservato come nel caso in esame del tutto correttamente i Giudici della prevenzione non abbiano ritenuto operante una preclusione derivante dal precedente provvedimento emesso dal G.E. che aveva revocato il sequestro degli appartamenti formalmente intestati alla COGNOME, siti in Volpiano INDIRIZZO attesa la prospettazione, da parte del Pubblico Ministero, di elementi nuovi di valutazione, in parte sopravvenuti al provvedimento del G.E. o comunque non in precedenza da questi valutati.
In particolare il passaggio in giudicato della sentenza che ha condannato COGNOME per il reato di associazione mafiosa, e il deposito della sentenza, non irr., che ha condannato NOME COGNOME per il reato di cui all’art. 416 bis cod. pen. e per vari delitti di cui all’art. 512 bis cod. pen. commessi nello svolgimento dei compiti a lui affidato dalla consorteria e dalla stessa famiglia COGNOME, sono successivi alla decisione assunta in incidente di esecuzione dalla Corte d’appello di Torino; contrariamente a quanto rilevato in ricorso dalla COGNOME, trattasi di elementi che hanno piena attinenza con il thema decidendum, dal momento che riguardavano proprio l’origine della provvista impiegata per l’acquisto degli immobili oggetto di confisca di prevenzione. In particolare, come specificato in seno al decreto di primo grado (pagg. 27, 28),Vacclarata mafiosità di COGNOME corroborava l’origine perversa degli introiti erogati all’COGNOME ed alla COGNOME dalla Bat Noleggio snc (con refluenza anche sul giudizio di sproporzione), e l’intervenuta condanna del COGNOME è particolarmente rilevante dal momento che una parte dell’acconto per l’acquisto degli immobili confiscati alla COGNOME fu versato con assegno bancario tratto su conto corrente intestato proprio al COGNOME ed alla moglie.
Con riferimento poi ai proventi della Bat Noleggi (pari ad C 341.838,75 tra il 2011 ed il 2016) utilizzati dalla coppia per il pagamento delle 29 rate di mutuo da C 1.000 ciascuna, essi, con concorde valutazione di giudici di merito della prevenzione, sono stati ritenuti di natura “perversa”, essendosi altresì evidenziato nel provvedimento impugnato come il pagamento in favore del proposto e della moglie per tali ingenti importi riguardava prestazioni in realtà espletate da dipendenti della società e fatte figurare come eseguite da ditte individuali riferibili al proposto e/o alla moglie, che rilasciavano fatture false; inammissibili appaiono le deduzioni mosse in ricorso in relazione alla diversa valutazione che sarebbe stata operata dai Giudici della cognizione nel proc. COGNOME incorrendo la COGNOME nel vizio di non autosufficienza del ricorso, non essendo stata allegata la sentenza integrale della Corte di appello di Torino del 20/04/208, ma essendone stato riportato semplicemente un brevissimo stralcio (a pag. 7 del ricorso), dalla lettura del quale, peraltro, neppure è dato desumere che i Giudici di cognizione avessero ritenuto i redditi provenienti dalla Bat Noleggio come leciti.
In definitiva, la circostanza di cui la ricorrente si duole, ovvero che gli elementi di novità valorizzati dai Giudici della prevenzione, fossero preesistenti o comunque conosciuti dal PM e conoscibili dai Giudice dell’esecuzione si appalesa errata in fatto (con riferimento agli elementi sopravvenuti al provvedimento del G.E., di cui si è detto) ed in diritto, attesa la sopra richiamata consolidata giurisprudenza di questa Corte, da cui è dato desumere che gli elementi di novità tali da poter superare ed infrangere il giudicato esecutivo, sussistono anche allorquando vengano dedotte questioni preesistenti e deducibili ma non in effetti dedotte nel primo giudizio.
GLYPH Al rigetto del ricorso avanzato dalla terza interessata NOME COGNOME segue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
In accoglimento del ricorso del Procuratore Generale presso la Corte di appello di Torino, annulla il decreto impugnato relativamente alla revoca della misura personale nei confronti di COGNOME NOME e alla revoca della confisca della RAGIONE_SOCIALE di COGNOME NOME RAGIONE_SOCIALE e dei beni mobili ed immobili alla stessa riconducibili, con rinvio per nuovo giudizio su tali punti alla Corte di appello di Torino. Rigetta il ricorso di ?arnbino NOME che condanna al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 27/11/2024