Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 27520 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 1 Num. 27520 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 14/05/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME COGNOME nato a BARCELLONA POZZO DI GOTTO il 06/01/1952
avverso l’ordinanza del 06/02/2025 del TRIB. SORVEGLIANZA di MILANO
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
lette le conclusioni del PG, NOME COGNOME che ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza del 6 febbraio 2025 il Tribunale di sorveglianza di Milano ha rigettato l’appello proposto da NOME COGNOME avverso il provvedimento del Magistrato di sorveglianza della stessa città del 2 dicembre 2024, con il quale è stata dichiarata eseguibile la misura di sicurezza della libertà vigilata per il perio di due anni, applicata (per un più ampio lasso temporale) con sentenza della Corte di appello di Reggio Calabria del 6 ottobre 2021, divenuta irrevocabile il 16 maggio 2023.
Il Tribunale di sorveglianza ha, in specie, desunto la pericolosità sociale di COGNOME (il quale, il 25 novembre 2024, ha terminato di espiare la pena di sei anni di reclusione, inflittagli per avere commesso, sino al 2000, il delitto di associazione mafiosa, nonché, tra il 2011 ed il 2017, quello di calunnia): dalla negativa biografia giudiziaria; dalla rilevanza della posizione assunta in seno alla compagine criminale di appartenenza; dall’assenza di segnali di ravvedimento o allontanamento dagli ambienti delinquenziali che hanno fatto da sfondo alla consumazione dei delitti accertati.
Ha, quindi, condiviso il giudizio espresso dal Magistrato di sorveglianza in ordine alla necessità di monitorare, per un congruo lasso temporale, la condotta tenuta da COGNOME in libertà.
NOME COGNOME propone, con l’assistenza dell’avv. NOME COGNOME ricorso per cassazione affidato ad un unico, articolato motivo, con il quale deduce, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., violazione di legge e vizio di motivazione.
Lamenta, al riguardo, che il Tribunale di sorveglianza ha indebitamente sopravvalutato, nella formulazione del giudizio prognostico in ordine al suo futuro comportamento, circostanze elencate ma non adeguatamente valutate, specie con riferimento alla loro capacità di dimostrare la sua attuale pericolosità sociale.
Aggiunge che, per contro, non sono stati considerati ulteriori indici, di segno opposto, quali quelli connessi, rispettivamente: all’epoca, remota, di commissione degli illeciti; all’insussistenza di pendenze per fatti recenti; alla rilevanza comportamento tenuto in carcere, alieno da rimarchi di sorta e, anzi, espressivo di riacquisizione dei valori che ispirano la civile convivenza; alla tangibi apoditticità delle informazioni trasmesse dalle forze dell’ordine e relative a suoi pretesi collegamenti con il crimine organizzato.
Il Procuratore generale ha chiesto, con requisitoria scritta, dichiararsi l’inammissibilità del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile perché vertente su censure manifestamente infondate.
L’applicazione, a pena espiata, della libertà vigilata, così come di ogni altra misura di sicurezza personale, postula, ai sensi dell’art. 203 cod. pen., l’accertamento della pericolosità sociale del condannato, ovvero la formulazione di un giudizio prognostico in ordine al futuro contegno del soggetto, con specifico riferimento alla commissione di reati.
Detta verifica deve essere effettuata, secondo la previsione degli artt. 207 e 208 cod. pen. – nonché dell’art. 679 cod. proc. pen., che attribuisce la competenza al Magistrato di sorveglianza – anche nelle ipotesi in cui, disposta, con la sentenza di condanna, l’applicazione della misura di sicurezza, il decorso di un determinato di tempo tra la pronunzia e l’esecuzione della misura impone di attualizzare il giudizio di pericolosità sociale.
La discrezionalità spettante, in proposito, al Magistrato di sorveglianza – ed al Tribunale di sorveglianza investito dell’appello previsto dall’art. 680 cod. proc pen. – trova il consueto limite nella coerenza con i dati istruttori e nell’assenza di sintomi di grave deficit razionale e deve essere esercitata, secondo quanto chiarito dalla giurisprudenza di legittimità, in considerazione non solo della gravità del fatto-reato ma anche di fatti successivi, come il comportamento tenuto durante l’espiazione della pena (quale risultante ad esempio dalle relazioni comportamentali e dall’eventuale concessione di benefici penitenziari o processuali), o come il comportamento tenuto successivamente alla riacquistata libertà (Sez. 3, n. 6596 del 23/01/2023, M., Rv. 284242; Sez. 1, n. 8242 del 27/11/2018, dep. 2019, COGNOME, Rv. 274918; Sez. 1, n. 24179 del 19/05/2010, COGNOME, Rv. 247986).
Nel caso in esame, il Tribunale di sorveglianza ha fondato il rigetto dell’impugnazione proposta da COGNOME sull’apprezzamento, in primo luogo, del suo corposo curriculum criminale, espressivo di una notevole proclività al crimine che gli è valsa, da ultimo, la detenzione conseguente alla condanna per i reati di associazione mafiosa e calunnia, terminata subito prima dell’esecuzione della misura di sicurezza.
Ha, ulteriormente, rilevato che la carica di pericolosità sociale di COGNOME è stat tanto elevata da imporre, nel 2000, l’applicazione della misura di prevenzione della sorveglianza speciale per cinque anni, ciò che concorre a comprovare la
persistente propensione criminale dell’odierno ricorrente, il quale, già condannato, negli anni ’70 del secolo scorso, per reati in materia di armi e lesioni personali, stato, per il successivo trentennio, esponente della famiglia mafiosa stanziata in Barcellona P.G., per conto della quale ha curato, mantenendo un contegno defilato e riservato, i contatti con altre organizzazioni gravitanti nella galassia di «Cosa Nostra» siciliana e, in particolare, con il gruppo catanese capeggiato dal noto NOME COGNOME cui è stato a lungo legato da diretta ed intensa relazione.
4. In questo, invero nitido, contesto, nel quale si iscrive, ad colorandum, anche la scelta del ricorrente di mantenere il centro dei propri interessi nell’area di origine, COGNOME si pone in una prospettiva di mera, sterile confutazione che, nel valorizzare elementi asseritamente espressivi di mancanza di pericolosità sociale – quali l’assenza di contestazioni relative a fatti recenti ed il buon comportamento carcerario – non intacca la tenuta logica del provvedimento impugnato, che poggia, altresì, sulla considerazione della scarsa coscienza, in capo al condannato, del disvalore delle condotte da lui poste in essere e della portata dell’accertamento giurisdizionale che egli, a dispetto dal formale ripudio delle logiche mafiose e delinquenziali e dall’apparente adesione a valori di legalità, non ha mai accettato e rispetto al quale ha assunto un atteggiamento improntato alla minimizzazione.
L’ordinanza censurata appare, dunque, fisiologica espressione della discrezionalità rimessa dal legislatore alla magistratura di sorveglianza che, nel caso in esame, ha fondato la decisione su un apparato argomentativo scevro da fratture razionali o profili di contraddizione, così correttamente interpretando i dettato normativo e qualificando COGNOME alla stregua di soggetto che, per il vissuto remoto e prossimo, appare, ad oggi, refrattario alle regole del vivere civile e propenso, piuttosto, alla commissione di reati, ciò che consiglia di sottoporlo, al riacquisto della libertà, ad una idonea misura di sicurezza con funzione preventiva e contenitiva.
5. Sulla base delle considerazioni che precedono il ricorso deve essere, pertanto, dichiarato inammissibile. Alla luce della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale, rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della cassa delle ammende, equitativamente fissata in 3.000,00 euro.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così deciso il 14/05/2025.