Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 7255 Anno 2025
In nome del Popolo Italiano
Penale Sent. Sez. 1 Num. 7255 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 30/01/2025
PRIMA SEZIONE PENALE
– Presidente –
NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME
SENTENZA
Sul ricorso proposto da:
NOME nato a GRUMO NEVANO il 02/01/1980
avverso il decreto del 24/09/2024 della CORTE APPELLO di NAPOLI udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME lette le conclusioni del PG NOME COGNOME che ha chiesto dichiararsi il ricorso inammissibile.
RITENUTO IN FATTO
Con il decreto indicato nel preambolo, la Corte di appello di Napoli ha confermato il provvedimento, in data 11 giugno 2024, con cui il Tribunale, ritenendo NOME COGNOME attualmente persona pericolosa, aveva disposto darsi esecuzione alla misura della sorveglianza speciale di P.S. per la durata di anni tre con obbligo di soggiorno nel comune di residenza, misura disposta con decreto del 25 marzo 2015 – 15 aprile 2015, che, però, non aveva avuto esecuzione a causa della detenzione del prevenuto, protrattasi dal 21 marzo 2017 al 1 aprile 2024.
NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione avverso il predetto provvedimento per mezzo del difensore di fiducia, avv. NOME COGNOME deducendo, con un unico motivo di impugnazione, di seguito enunciato nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex art. 173 disp. att. cod. proc. pen., motivazione apparente in relazione al requisito della pericolosità sociale.
Lamenta il ricorrente che la Corte distrettuale non ha affrontato il tema principale posto dall’appello: l’individuazione di elementi di attualità sintomatici della persistenza della sua pericolosità attuale dopo la lunga detenzione protrattasi per nove anni. In contrasto con i principi enunciati dalla giurisprudenza di legittimità, cui, pure, ha formalmente dichiarato di aderire, ha fondato il giudizio prognostico, in via esclusiva, sulla presunzione assoluta di pericolosità sociale desunta dalla partecipazione all’associazione camorristica accertata con sentenza in epoca lontanissima nel tempo.
Il decreto – continua la difesa – non ha neanche spiegato perchØ tale presunzione continui ad operare nonostante sia stata documentata la partecipazione di COGNOME durante la lunga carcerazione, all’opera di rieducazione, e, dopo la scarcerazione, sia risultato lo svolgimento di attività lavorativa. Eppure, di recente, la Corte costituzionale – nella sentenza n. 162 del 2024, che
ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 14, comma 2-ter, d.lgs. n. 159 del 2011 – ha chiarito che il trattamento penitenziario, specie se di lunga durata e se contrassegnato dalla reale partecipazione del detenuto, non può, senza l’acquisizione di elementi di segno contrario, essere considerato inidoneo a modificare l’attitudine antisociale di chi vi Ł sottoposto.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Le censure dedotte sono, nel loro complesso, infondate sicchØ il ricorso deve essere rigettato.
Alla luce del consolidato indirizzo di questa Corte di legittimità secondo cui il giudice della prevenzione ha l’obbligo di accertare il presupposto della attualità della pericolosità sociale del soggetto proposto per l’applicazione della misura di prevenzione attraverso un apprezzamento concreto (nelle forme tipizzate dal legislatore) (ex plurimis Sez. 6, n. 10248 del 11/10/2017, dep. 2018, U., Rv. 272723), la censura dedotta può essere scrutinata perchØ non deduce un vizio argomentativo non consentito dall’art. 10, comma 3, d.lgs. 159 del 2011 (‘avverso il decreto della corte di appello, Ł ammesso ricorso per cassazione per violazione di legge, da parte del pubblico ministero e dell’interessato e del suo difensore’), ma una erronea considerazione del presupposto legale della misura.
Parimenti pacifico Ł che nell’ambito di tale obbligo motivazionale il giudice debba spiegare le ragioni per cui ritiene persistente la pericolosità del proposto nel caso in cui sia decorso un apprezzabile periodo di tempo tra l’epoca dell’accertamento penale e il momento della formulazione del giudizio sulla prevenzione e quando tra la pregressa violazione della legge penale e tale ultimo giudizio si collochi un periodo detentivo tendente alla risocializzazione o comunque esente da ulteriori condotte sintomatiche di pericolosità (v., ex multis, Sez. 6, n. 5267 del 14/01/2016, Grande Aracri, Rv. 266184).
Se Ł vero, da un lato, che non esiste incompatibilità tra il giudizio di attualità della pericolosità sociale ai fini dell’applicazione di una misura di prevenzione e lo stato di detenzione, Ł pur vero, dall’altro lato, che la detenzione non costituisce affatto un dato neutro al fine qui considerato.
La Corte costituzionale, inoltre, con la sentenza n. 291 del 2 dicembre 2013 ha dichiarato parzialmente illegittimi l’art. 12 della legge 27 dicembre 1956, n. 1423 e, in via consequenziale, l’art. 15 d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159, nella parte in cui non prevedono che, nel caso in cui l’esecuzione di una misura di prevenzione personale resti sospesa a causa dello stato di detenzione della persona ad essa sottoposta, l’organo che ha adottato il provvedimento di applicazione debba valutare, anche d’ufficio, la persistenza della pericolosità sociale dell’interessato nel momento dell’esecuzione della misura. Nella richiamata decisione, in particolare, si afferma che la rivalutazione va compiuta quando, “all’esito della detenzione, emergano profili o dati di fatto specifici potenzialmente idonei ad incidere sullo stato di pericolosità sociale precedentemente delibato in senso positivo”.
Nello stesso solco si pongono i principi enunciati da questa Corte di cassazione nella sentenza a Sezioni unite n. 111 del 30/11/2017 – dep. 2018, ric. Gattuso, che recependo il monito della Corte costituzionale sull’importanza della valutazione del «singolo caso» ai fini dell’accertamento della pericolosità sociale, ha affermato che anche «ai fini dell’applicazione di misure di prevenzione nei confronti di indiziati di appartenere ad associazioni di tipo mafioso Ł necessario accertare il requisito della “attualità” della pericolosità del proposto». Tale accertamento, dunque, costituisce un presupposto legittimante l’applicazione delle misure di prevenzione personale per tutte le categorie previste dall’art. 4 d.lgs. n. 159 del 2011, ivi compresi gli indiziati di appartenenza ad associazioni mafiose.
Piø di recente la Consulta con la sentenza n. 162 del 2024 ha dichiarato costituzionalmente illegittimo l’art. 14, comma 2- ter, del decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159 (Codice delle leggi
antimafia e delle misure di prevenzione, nonchØ nuove disposizioni in materia di documentazione antimafia, a norma degli articoli 1 e 2 della legge 13 agosto 2010, n. 136), limitatamente alle parole «se esso si Ł protratto per almeno due anni».
Nel nuovo sistema, pertanto, il tribunale, dopo la cessazione dello stato di detenzione, sarà tenuto a verificare, anche d’ufficio, la persistenza della pericolosità sociale dell’interessato. Sino a tale rivalutazione, la misura di prevenzione in precedenza disposta dovrà considerarsi ancora sospesa, e le prescrizioni con essa imposte non potranno avere effetto nei confronti dell’interessato.
Si legge nella motivazione tra l’altro che «la disciplina impugnata contrasta anche con il principio della necessaria finalità rieducativa della pena di cui all’art. 27, terzo comma, Cost. Se Ł vero, infatti, che il successo di un trattamento rieducativo non Ł mai scontato, la presunzione legislativa in esame muove – come correttamente rileva il rimettente – dal non condivisibile presupposto che un trattamento penitenziario in ipotesi protrattosi fino a due anni sia radicalmente inidoneo a modificare l’attitudine antisociale di chi vi Ł sottoposto. Se ritenuto corretto, un simile presupposto varrebbe a determinare di per sØ l’incompatibilità con l’art. 27, terzo comma, Cost. di tutte le pene detentive di breve durata … l’ordinamento non può invece che muovere dalla premessa della idoneità anche delle pene detentive di durata non superiore ai due anni a svolgere una funzione rieducativa nei confronti del condannato. Il che impone, per ovvie ragioni di coerenza rispetto a quella premessa, di lasciare aperta la porta a una verifica caso per caso se questo risultato sia stato raggiunto, o se invece persista, nonostante l’avvenuta espiazione della pena, una situazione di pericolosità sociale dell’interessato, che deve ancora essere contrastata mediante l’effettiva esecuzione della misura precedentemente disposta».
Il provvedimento impugnato non si Ł discostato dai rammentati principi.
La Corte partenopea, in sintonia con le osservazioni del Tribunale, nel formulare il giudizio sulla pericolosità di COGNOME ha preso le mosse dai dati – tratti dalla condanna per associazione mafiosa dell’accertato inserimento di COGNOME nel contesto criminale organizzato per un lungo periodo e con un ruolo divenuto sempre piø rilevante fino all’acquisizione della qualifica di referente sul territorio di Grumo Nevano per il clan COGNOME, periodo nel corso del quale, dimostrando particolare disinvoltura ed abilità, si era associato a piø compagini criminali, assumendo sempre un ruolo di primo piano. Non si Ł però fermata qui, ma, nel ritenere ancora valida la presunzione semplice di pericolosità qualificata posta a fondamento del provvedimento che aveva originariamente applicato la misura di prevenzione personale, ha attualizzato il giudizio prognostico, rimarcando, in primo luogo, la mancata acquisizione, nonostante lo sforzo profuso dalla difesa, di elementi in qualche modo dimostrativi della recisione dei legami con l’ambiente camorristico per la sopravvenienza di eventi quale il recesso o l’estromissione dal gruppo.
La Corte di appello al riguardo osservato che non depongono per la cessazione della pericolosità sociale nØ l’adesione al trattamento penitenziario nØ la condotta tenuta in epoca piø recente.
Le relazioni comportamentali redate dalle Øquipe durante la carcerazione, pur dando atto di progressi in tema di reinserimento sociale, non hanno escluso la pericolosità sociale. Non a caso, nel consigliare per la prima volta l’apertura del detenuto all’esterno con i permessi premio fino a quel momento non concessi, gli operatori avevano segnalato lo stato inziale ed embrionale del percorso di rivisitazione critica dal passato deviante e l’avvenuta diminuzione e non cessazione ella pericolosità sociale .
L’offerta di risarcimento in favore di una delle vittime. per l’epoca e le modalità in cui era stata proposta, appare piø funzionale alla concessione di permessi premiali che ad una diminuzione del grado di pericolosità.
La documentazione relativa all’attività lavorativa svolta dopo la scarcerazione Ł tutt’altro che
rassicurante; anzi fa insorgere perplessità sulla volontà di COGNOME di reinserirsi nella società lavorando lecitamente. COGNOME, infatti, e nel breve periodo della prestazione lavorativa, aveva chiesto e ottenuto il godimento di ferie non maturate nonchØ ripetuti permessi, finendo per lavorare per un periodo assai limitato.
Per le considerazioni sin qui espresse il ricorso deve essere rigettato e il ricorrente condannato al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così Ł deciso, 30/01/2025
Il Consigliere estensore
Il Presidente NOME COGNOME
NOME COGNOME