Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 34753 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 34753 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 26/06/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOME nato a NAPOLI il DATA_NASCITA avverso l’ordinanza del 27/02/2024 del TRIB. SORVEGLIANZA di ROMA udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; lette le conclusioni del PG, NOME COGNOME, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso;
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza in data 27 febbraio 2024, il Tribunale di sorveglianza di Roma ha confermato l’ordinanza del Magistrato di sorveglianza di Viterbo in data 12/10/2023 che aveva dichiarato eseguibile a NOME COGNOME la misura di sicurezza non detentiva della libertà vigilata per il periodo di un anno, disposta con sentenza della Corte di appello di Napoli che lo aveva condannato per il reato di partecipazione ad associazione mafiosa di tipo camorristico ed associazione finalizzata al traffico di stupefacenti.
Il Tribunale di sorveglianza ha ritenuto corrette le valutazioni del Magistrato di sorveglianza, poiché non risultava che COGNOME si fosse mai dissociato dal sodalizio criminale nel quale aveva militato, l’ancora attivo clan COGNOME, come dimostrato dai pregiudizi penali e come ancora confermato dalla sopravvenienza di un titolo cautelare a suo carico per altro fatto antecedente ma di particolare
gravità (ordinanza di custodia in carcere del GIP di Napoli in data 28/07/2023 per
omicidio in concorso aggravato dalla finalità e dal metodo mafiosi).
In ragione di tale ulteriore provvedimento il Magistrato di sorveglianza aveva peraltro rivalutato la pericolosità sociale di COGNOME, che era stato invece ammesso dal Tribunale di sorveglianza di Palermo alla detenzione domiciliare in data 15/06/2023.
COGNOME ha proposto ricorso per cassazione a mezzo del suo difensore, articolando un unico motivo per mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione ex art. 606, comma 1 lett. e), cod. proc. pen.
La difesa censura la decisione impugnata perché avrebbe omesso di agganciare il giudizio di pericolosità ad elementi che dessero conto della sua attualità e lo avrebbe ancora ad un fatto pregresso seppur oggetto di recente misura cautelare.
Il Procuratore Generale ha chiesto il rigetto del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.
E’ noto che, a seguito di condanna per il reato di cui di cui agli artt. 416 o 416-bis cod.pen., secondo la lettera dell’art. 417 cod.pen. una misura di sicurezza deve intervenire «sempre». Tuttavia a fronte della perentoria formulazione della disposizione, alcune sentenze di questa Corte ritengono tale applicazione una conseguenza automatica della condanna per il reato di cui agli artt. 416 o 416-bis cod.pen., essendo presunta dalla legge la pericolosità richiesta per tale applicazione (di recente Sez. 1, n. 33951 del 19/05/2021, Rv. 281999; o anche Sez. 2, n. 32569 del 16/06/2023, Rv. 284980, secondo cui «in tema di libertà vigilata, il combinato disposto di cui agli artt. 230, comma primo, e 417 cod. pen. impone, in caso di condanna per il delitto di cui all’art. 416-bis cod. pen. a pena non inferiore a dieci anni di reclusione, l’applicazione di tale misura per la durata di tre anni, sicché il giudice non è onerato di uno specifico obbligo di motivazione in relazione alla pericolosità sociale del condannato»); altre decisioni ritengono necessaria, invece, una verifica in concreto della pericolosità del condannato (Sez. 5, n. 24873 del 21/04/2023, Rv. 284817, secondo cui «in tema di misure di sicurezza, dopo la modifica introdotta dall’art. 31, comma 2, legge 10 ottobre 1986, n. 663, secondo un’interpretazione costituzionalmente orientata, la loro applicazione, ivi compresa quella prevista dall’art. 417 cod. pen., GLYPH sere
disposta, anche da parte del giudice della cognizione, soltanto dopo l’espresso positivo scrutinio dell’effettiva pericolosità sociale del condannato, da accertarsi in concreto sulla base degli elementi di cui all’art. 133 cod. pen., globalmente valutati, senza possibilità di far ricorso ad alcuna forma di presunzione giuridica, ancorché qualificata come semplice» similmente Sez. 1, n 35996 del 08/05/2019, Rv. 276813; Sez. 1, n. 7188 del 10/12/2020, dep. 2021, Rv. 280804).
2.1 Questo secondo orientamento è preferito da chi lo ritiene più compatibile con gli indirizzi espressi dalla Corte Costituzionale che ha dichiarato illegittime le norme, sottoposte al suo esame perché sospettate di illegittimità costituzionale, che prevedevano un’applicazione automatica delle misure di sicurezza, basata su fattispecie presuntive di pericolosità predeterminate dal legislatore, specie se individuate attraverso categorie generali e non accompagnate da un giudizio di attualizzazione mediante la verifica di elementi fattuali concreti (così le sentenze nn. 139/1982, 249/1983 e 1/1971, relative all’infermo e al minore). Per questo l’art. 417 cod. pen. dovrebbe essere inteso come obbligo per il giudice di applicare la misura di sicurezza a seguito della condanna per reati associativi, ma sempre «previo accertamento che colui il quale ha commesso il fatto è persona socialmente pericolosa» (Sez. 1, n. 2875 del 12/12/2023, dep. 2024, Rv. 28581001)
2.2. Tale interpretazione consente, inoltre, di rispettare il principio generale stabilito dall’art. 203 cod.pen., secondo cui la pericolosità sociale deve essere ritenuta quando appare probabile che il condannato per specifici delitti commetta nuovi reati. Anche nel caso di soggetti condannati per i gravi reati associativi indicati dall’art. 417 cod.pen., infatti, sono ipotizzabili situazioni che impongano al giudice di escludere la permanenza ovvero l’attualità della pericolosità sociale, come nel caso del soggetto divenuto collaboratore di giustizia, o del condannato per il quale sia stata accertata una minima gravità del reato associativo, ad esempio per il modesto ruolo ricoperto, la breve durata dell’affiliazione, la scarsa intensità dei legami intercorsi con gli altri associati (per un’ipotesi applicativa tal senso cfr. Sez.5 n. 24873 del 21/04/2023, Rv. 284817-01).
Il provvedimento impugnato non si limita a prendere atto dei pregiudizi penali per delitti che evidenziano la prolungata affiliazione del COGNOME ad organizzazioni criminali e in particolare ad un’organizzazione camorristica (clan COGNOME), ma ha preso in considerazione un elemento nuovo, che pur riguardando epoca precedente a quella in cui doveva darsi applicazione alla misura di sicurezza e anche a quella in cui altro Tribunale di sorveglianza lo aveva considerato meritevole della detenzione domiciliare, vale a descrivere in maniera diversa, più grave e più allarmante la sua inclinazione a delinquere.
A suo carico, infatti, è stata emessa ordinanza di custodia cautelare in carcere per il reato di omicidio aggravato dalla finalità e dal metodo mafiosi.
Gli elementi a suo carico per tale gravissimo reato evidenziano che il suo ruolo nell’organizzazione non poteva considerarsi marginale o di secondo piano. Sicchè su altro piano e con maggiore rigore doveva essere riformulato il giudizio sulla sua pericolosità sociale anche alla luce del fatto che il clan COGNOME risultava ancora attivo.
Le doglianze contenute nel ricorso avverso il provvedimento impugnato si risolvono in generiche censure, che evocano principi e criteri valutativi generali ma che tuttavia propongono un’alternativa lettura degli elementi già compiutamente valutati dal Tribunale di sorveglianza con adeguata motivazione, immune da fratture logiche e rispettosa delle risultanze.
Si lamenta in sostanza che quegli stessi dati esaminati dal Tribunale di sorveglianza (e tra questi l’epoca risalente del fatto contestato nella nuova ordinanza e la condotta encomiabile durante la detenzione) non siano stati ritenuti dimostrativi del venir meno della pericolosità del condannato.
Ma con motivazione coerente e immuni da vizi censurabili in sede di legittimità il provvedimento impugnato ha dato conto delle ragioni per le quali nessuno di questi elementi può considerarsi decisivo nell’escludere la sussistenza della condizione di pericolosità.
D’altronde, quanto al perdurare della permanenza del legame associativo, la giurisprudenza di legittimità ha affermato che «accertata l’esistenza dell'”offerta di contribuzione permanente” dell’affiliato dell’associazione, questa deve ritenersi valida e produttiva di effetti fino alla dimostrazione del recesso (spontaneo o provocato “ah externo”)» (Sez. 2, n. 34615 del 10/06/2021, Rv. 281961-01; Sez. 2, n. 1688 del 26/10/2021, Rv. 282516-01).
Per queste ragioni, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
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Così deciso, il 26 giugno 2024