Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 17314 Anno 2025
REPUBBLICA ITALIANA Presidente: NOME COGNOME
In nome del Popolo Italiano Relatore: COGNOME
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Penale Sent. Sez. 1 Num. 17314 Anno 2025
Data Udienza: 31/01/2025
PRIMA SEZIONE PENALE
Composta da
NOME COGNOME
Presidente –
Sent. n. sez. 393/2025
NOME COGNOME
Relatore –
CC – 31/01/2025
GIORGIO POSCIA
R.G.N. 41029/2024
NOME COGNOME
NOME COGNOME
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso proposto da: NOME COGNOME nato in Nigeria il 14/02/1985
avverso l’ordinanza del 18/01/2024 del Tribunale di sorveglianza di Catanzaro lette le richieste del Sostituto Procuratore generale, NOME COGNOME che ha concluso chiedendo l ‘annullamento con ri nvio.
RITENUTO IN FATTO
Con l’ordinanza impugnata, il Tribunale di sorveglianza di Catanzaro ha rigettato l’appello proposto avverso l’ordinanza con la quale il magistrato di sorveglianza di Catanzaro ha disposto applicarsi nei confronti di NOMECOGNOME la misura di sicurezza della libertà vigilata per la durata di un anno.
Detta misura si riferisce alla condanna, irrogata con la sentenza della Corte di assise di appello di Palermo, del 14 maggio 2020, alla pena di anni sette, mesi undici e giorni dieci di reclusione nei confronti dell’odierno ricorrente per associazione di tipo mafioso, violazione delle norme in materia di riciclaggio dei capitali di provenienza illecita, nonché subornazione.
Il Magistrato di sorveglianza ha reputato sussistente all’attualità , divenuta definitiva la detta sentenza, la pericolosità sociale del condannato.
Con il gravame proposto avverso tale decisione, il condannato ha addotto l’intervenuta revisione della condanna con riferimento al reato associativo, segnalando anche che il Magistrato non aveva attribuito il dovuto rilievo alla
regolarità della condotta intramuraria e all’adesione del condannato al trattamento di recupero cui era stato sottoposto.
Inoltre, veniva sollecitata la rivisitazione del profilo della pericolosità sociale all’attualità, in considerazione dei riscontrati sereni rapporti del condannato con la propria famiglia.
Il Tribunale ha considerato non provata l’intervenuta revisione della condanna per reato associativo, l’esistenza di esiti non positivi acquisiti tramite informazioni di pubblica sicurezza, nonché l’inesistenza di precedenti esperienze all’esterno del l’I stituto penitenziario, non avendo il condannato mai fruito di trattamenti esterni, oltre ad aver considerato la caratura criminale de ll’odierno ricorrente e la capacità dei sodalizi di stampo mafioso di sopravvivere, per un congruo tempo, anche a periodi di carcerazione.
Avverso l’ ordinanza indicata, il condannato ha proposto tempestivo ricorso per cassazione, per il tramite del difensore, avv. C. COGNOME denunciando, con due motivi, plurimi vizi.
2.1. Con il primo motivo si denuncia inosservanza ed erronea applicazione dell’art . 4 lett. b) d. lgs. n. 159 del 2011 e art. 24 Cost.
2.2. Con il secondo motivo si denuncia vizio di motivazione con conseguente nullità del provvedimento ex art. 178 lett. c) cod. proc. pen.
Sotto il primo profilo, si osserva che il procedimento scaturisce dall’applicazione della misura di sicurezza della libertà vigilata, disposta con sentenza del 12 maggio 2020, emessa dalla Corte di assise di appello di Palermo, nei confronti dell’odierno ricorrente.
Il Magistrato di sorveglianza ha ritenuto il condannato socialmente pericoloso disponendo attuarsi la misura di sicurezza disposta in sede di cognizione, per un anno.
Secondo il ricorrente, il Tribunale di sorveglianza non ha valutato in alcuna parte del provvedimento l’attualità della pericolosità sociale.
Per il ricorrente manca tale tipo di accertamento trattandosi di applicazione della misura della libertà vigilata a distanza di diversi anni, a fronte di pronuncia emessa all’esito di rito abbreviato, ma contraddetta da una pronuncia della Corte di assise di Palermo, confermata dalla Corte di assise di appello e dalla Corte di cassazione, con la quale sono stati assolti tutti i vertici dell’associazione, accertato che alcuna cellula mafiosa denominata cult black axe fosse presente in Italia e a Palermo. Infatti, la Corte di appello di Palermo sezione Misure di prevenzione, ha revocato il provvedimento emesso dal Tribunale di Palermo con il quale era stata applicata la misura di prevenzione della sorveglianza speciale per anni quattro, nei confronti del ricorrente odierno, sul presupposto che non vi fosse pericolosità sociale e che questa non fosse attuale.
La difesa fa specifico riferimento alla sentenza di assoluzione, emessa dalla Corte di assise di Palermo, in data 8 novembre 2019, confermata dalla Corte di assise di Palermo in data 15 Marzo 2022 e dalla Corte di cassazione con pronuncia del 21 Febbraio 2023.
Si tratta di pronunce che hanno, a parere del ricorrente, sicura influenza anche sulla sentenza di condanna emessa a carico dell’odierno ricorrente, per la quale è stata chiesta la revisione alla Corte di appello di Caltanissetta con udienza fissata al 27 aprile 2023, rinviata al 4 luglio 2023.
In ogni caso, si denuncia che manca ogni motivazione da parte del Tribunale rispetto al giudizio prognostico relativo alla probabilità che la persona possa commettere, in futuro, fatti previsti dalla legge come reato, da espletarsi sulla base dell’esame dei motivi a delinquere, del carattere del condannato, dei precedenti penali giudiziari e della vita antecedente e susseguente al reato, nonché delle sue condizioni di vita individuali familiari e sociali, ai sensi dell’art. 133 cod. pen.
Il giudice, invero, a mente dell’art. 202 cod. pen., può applicare quindi le misure di sicurezza sulla base di un elemento oggettivo, che consiste nella commissione di un fatto previsto dalla legge come reato, nonché di uno soggettivo, cioè la pericolosità sociale che deve essere non solo effettiva, ma anche attuale. Il ricorrente richiama sul punto la sentenza n. 291 del 2013 della Corte costituzionale, riportandone stralci (cfr. p. 4 del ricorso).
Né il provvedimento del Magistrato né quello del Tribunale svolgerebbero il chiesto giudizio nel senso indicato. Entrambi i provvedimenti si fondano, invero, su una sentenza che è stata sconfessata dalla Corte di legittimità e che è in corso di revisione.
Si rimarca che la pericolosità sociale è stata codificata dal legislatore che ha previsto che, agli effetti della legge penale, la persona socialmente pericolosa è quella che, anche se non imputabile o non punibile, ha commesso taluno dei fatti indicati nell’art. 202 cod. pen., quando è probabile che commetta nuovi fatti previsti dalla legge come reato.
Si tratta, quindi, di un giudizio prognostico operato dal giudice in ordine alla probabilità di ricaduta nell’illecito, rispetto al quale, dunque, non è sufficiente la mera possibilità di ricaduta ma è necessario un giudizio prognostico che non può essere presunto ma che deve essere svolto secondo le circostanze stabilite dall’art. 133 cod. pen. operando una vera e propria prognosi ossia un giudizio diretto a predire il futuro comportamento del condannato sotto il profilo della ricaduta nell’illecito . Il ricorso a p. 7 e ss., si diffonde circa la differenza tra le misure di sicurezza e le misure di prevenzione, segnalando che le prime svolgono una funzione special preventiva diretta alla neutralizzazione alla cura e
alla rieducazione della persona socialmente pericolosa e sono sottoposte al principio di legalità ex art. 199 cod. pen.
Si richiamano precedenti di legittimità secondo i quali la pericolosità sociale deve essere accertata, in concreto, in termini di attualità, risultando irrilevanti le pregresse manifestazioni di pericolosità del proposto, ove non si riscontri, al momento dell’applicazione della misura, la persistenza di comportamenti antisociali che impone una particolare vigilanza. L’accertamento della sussistenza della pericolosità sociale presuppone, per il ricorrente, che la stessa si manifesti condotte concrete e specifiche a cui deve aggiungersi anche l’ ulteriore requisito dell’attualità, elemento indispensabile per giustificare l’adozione di strumenti capaci di incidere sulla libertà personale. Tale accertamento va ancorato ad elementi fattuali precisi.
Il Sostituto Procuratore generale, NOME COGNOME ha concluso chiedendo l’annullamento con rinvio dell’ordinanza impugnata.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.Il ricorso è fondato.
1.1. Il Collegio osserva, in via generale, che a seguito delle modifiche introdotte della legge 10 ottobre 1986, n. 633 (cd. legge Gozzini), non solo non è più vigente una norma che prevede l’istituto della pericolosità sociale presunta, in passato disciplinato dall’art. 204 cod. pen. (abrogato dall’art. 31, comma 1, legge cit.), ma è stata inserita una previsione, di portata generale, che impone il preventivo accertamento della pericolosità ai fini dell’applicazione di tutte le misure di sicurezza personali (l’art. 31, comma 2, della legge a mente del quale “tutte le misure di sicurezza personali sono ordinate previo accertamento che colui il quale ha commesso il fatto è persona socialmente pericolosa”).
L’applicazione automatica delle misure di sicurezza in presenza di fattispecie presuntive di pericolosità predeterminate dal legislatore, specie se fondate su categorie generali e non accompagnate da un contestuale giudizio di attualizzazione fondato su elementi fattuali concreti, è stata più volte censurata dalla Corte costituzionale che ha dichiarato l’illegittimità delle disposizioni concernenti l’applicazione obbligatoria delle misure di sicurezza previste nei confronti dell’infermo (sentenze n. 139 del 1982 e n. 249 del 1983) e del minore di età (sentenza n. 1 del 1971).
Siffatte presunzioni, inoltre, si presentano difficilmente compatibili con l’esigenza, sottolineata di recente dal Giudice delle leggi, che la pericolosità sociale sia accertata “di regola dal giudice sulla base di tutti quegli elementi che ex art. 133 cod. pen. rilevino come indice di gravità del fatto commesso e della
capacità a delinquere del soggetto che ne è autore” e che “la irrogazione delle misure di sicurezza sia “essenzialmente “individualizzata” – quanto al tipo di misura da applicare, alla durata da computare e alle prescrizioni da osservare in funzione della specificità delle situazioni soggettive che sono sottoposte all’autorità giudiziaria. La quale, a tal fine, esercita un potere connotato da elementi di discrezionalità” (Corte Cost., sent. n. 24 del 2020).
Quanto al profilo dell’attualità dell’accertamento, si osserva che, secondo l’indirizzo assunto da questa Corte (Sez. 1, n. 33951 del 19/05/2021, COGNOME, Rv. 281999) cui il Collegio aderisce, in tema di associazione di tipo mafioso, l’applicazione della misura di sicurezza prevista, in caso di condanna, dall’art. 417 cod. pen., non richiede l’accertamento in concreto della pericolosità del soggetto, dovendosi ritenere operante una presunzione semplice, desunta dalle caratteristiche del sodalizio criminoso e dalla persistenza nel tempo del vincolo criminale di mutua solidarietà, che, però, può essere superata quando siano acquisiti elementi dai quali si evinca l’assenza di pericolosità in concreto.
Sotto tale profilo, questa Corte di legittimità ha aggiunto che tale accertamento dovrà, comunque, essere svolto dal magistrato di sorveglianza, alla luce degli elementi di cui all’art. 133 cod. pen. e del comportamento del condannato, durante e dopo l’espiazione della pena, al momento dell’esecuzione della misura.
È noto, dunque, che l’applicazione, a pena espiata, della libertà vigilata, così come di ogni altra misura di sicurezza personale, postula, ai sensi dell’art. 203 cod. pen., l’accertamento, della pericolosità sociale del condannato, ovvero la formulazione di un giudizio prognostico in ordine al futuro contegno del soggetto, con specifico riferimento alla commissione di reati. Detta verifica deve essere effettuata, secondo la previsione degli artt. 207 e 208 cod. pen. -nonché dell’art. 679 cod. proc. Pen., che attribuisce la competenza al Magistrato di sorveglianza -anche nelle ipotesi in cui, disposta, con la sentenza di condanna, l’applicazione della misura di sicurezza, il decorso di un determinato di tempo tra la pronunzia e l’esecuzione della misura impone di attualizzare il giudizio di pericolosità sociale.
La discrezionalità spettante, in proposito, al Magistrato di sorveglianza -e al Tribunale di sorveglianza investito dell’appello previsto dall’art. 680 cod. proc. pen. -trova il consueto limite nella coerenza con i dati istruttori e nell’assenza di sintomi di grave deficit razionale e deve essere esercitata, secondo quanto chiarito dalla giurisprudenza di legittimità, in considerazione non solo della gravità del fatto-reato ma anche di fatti successivi, come il comportamento tenuto durante l’espiazione della pena (quale risultante dalle relazioni comportamentali e dall’eventuale concessione di benefici penitenziari o processuali), ovvero successivamente alla riacquistata libertà (Sez. 1, n. 8242
del 27/11/2018, dep. 2019, COGNOME, Rv. 274918; Sez. 1, n. 24179 del 19/05/2010, COGNOME, Rv. 247986).
Il positivo accertamento della persistenza, all’esito dell’espiazione della pena, della pericolosità sociale non esclude, nondimeno, la possibilità di interventi successivi volti ad adeguare la risposta giurisdizionale all’evoluzione della personalità del soggetto e, più generale, a sopravvenienze ed elementi in precedenza trascurati.
La giurisprudenza di legittimità è da tempo orientata nel senso che «Il magistrato di sorveglianza, nel disporre la libertà vigilata nei confronti di persona condannata alla quale sia stata comminata tale misura di sicurezza, è tenuto ad accertare la persistenza della pericolosità sociale riferita al momento dell’applicazione della misura. In tale, situazione, la revoca anticipata di detta misura rimane esclusa, a norma dell’art. 207 cod. pen., “se la persona ad essa sottoposta non ha cessato di essere socialmente pericolosa”: la puntuale osservanza di tale regola postula una sicura e positiva valutazione della cessazione della pericolosità per fatti sopravvenuti e concludenti, non consentendo il mero dubbio al riguardo il superamento – anche dopo l’intervento della Corte costituzionale – della prognosi già effettuata e l’anticipazione del riesame della pericolosità da effettuarsi a norma del successivo art. 208» (Sez. 1, n. 2095 del 07/05/1993, Padovano, Rv. 195415; negli stessi termini, Sez. 1, n. 4021 del 13/07/2020, dep. 2021, Renna, non massimata).
1.2. Ciò premesso, si osserva che il ricorrente, da un lato, deduce che è in corso la revisione della condanna irrevocabile per reato associativo che ha determinato l’applicazione della misura di sicurezza, senza tuttavia documentarne l’ esito, a fronte, anzi di un procedimento indicato come avviato nel 2023.
Dall’altro, proprio perché si tratta di condanna irrevocabile per reato associativo, si segnala come elemento di novità, rispetto alla pericolosità al momento dell’applicazione della misura, c he vi è stata assoluzione definitiva dei vertici del sodalizio per l’appartenenza al quale il ricorrente ha riportato condanna, che sono stati assolti definitivamente, con giudizio che inciderebbe sulla condanna a carico del ricorrente, perché attesterebbe, comunque, l’inesistenza del gruppo di appartenenza del condannato in Palermo.
Si tratta di argomento sviluppato anche nei motivi di appello che sono riportati nell’ordinanza impugnata.
A questa deduzione il Tribunale ha risposto limitandosi a segnalare che la revisione non è provata, evidenziando che le informazioni di Polizia sono negative ma senza rendere conto di tali esiti in modo esauriente. Né sembra considerare il Tribunale gli esiti, pur riassunti nel corpo della motivazione, della relazione di sintesi acquisita, che evidenziano che il periodo di detenzione, al di
là dell ‘assenza di revisione critica , è stato caratterizzato dal rispetto delle regole e dall’adesione alle offerte trattamentali.
Si segnala che il condannato si è dichiarato innocente, di qui il richiamo all’assenza di revisione critica, pur considerando la relazione citata nella quale viene esposto, invece, che il giovane «nella progettualità futura intende prendere le distanze da possibili situazioni che potrebbero nuovamente mettere a rischio la sua libertà».
In definitiva, il provvedimento impugnato sembra aderire a un inquadramento dell’art. 417 cod. pen., teso a un’applicazione quasi automatica della misura di sicurezza.
Pur non mancando arresti recenti in senso favorevole a tale tesi, più rigorosa, va, comunque, rilevato che altra tesi si aggancia a un’interpretazione costituzionalmente orientata de ll’art. 417 cod. pen. presentandosi dotata di argomenti non poco persuasivi.
In ogni caso, il richiamo al primo e più rigoroso orientamento non è sufficiente, in sede di concreta applicazione della misura di sicurezza da parte del Magistrato di sorveglianza, all’esito dell’esecuzione della pena detentiva, essendo necessario l’ac certamento, in concreto, di una pericolosità sociale persistente.
Infine, va rimarcato che il Tribunale non affronta in modo specifico il tema della questione della compatibilità -sempre con riferimento al caso concreto -della revoca della misura di prevenzione per cessazione della pericolosità sociale e della ritenuta persistenza dei presupposti per l’applicazione della misura di sicurezza della libertà vigilata.
Trattasi, invero, di valutazioni, in astratto, autonome, ma ciascuna valutazione non può ignorare gli elementi e, se del caso, le argomentazioni emergenti dai provvedimenti emessi nell’altra sede.
Questa Corte, in più occasioni, ha avuto modo invero di affermare (Sez. 1, n. 10034 del 05/02/2019, COGNOME, Rv. 275054 -01) che, in tema di misure di prevenzione, il giudizio sull’attualità della pericolosità sociale dell’indiziato di appartenenza ad associazioni di tipo mafioso può essere fondato su elementi di fatto valorizzati in altri provvedimenti giudiziari, a condizione che ne sia effettuata un’autonoma valutazione, senza possibilità di recepire acriticamente il giudizio prognostico sulla pericolosità sociale contenuto in detti provvedimenti, anche se relativi a misure di sicurezza o a misure cautelari (fattispecie in cui la Corte ha annullato con rinvio la decisione che aveva fondato il giudizio di attuale pericolosità del proposto su provvedimenti successivi all’accertamento penale della sua partecipazione al sodalizio, con i quali gli erano state applicate la libertà vigilata e una misura cautelare, senza tener conto del percorso lavorativo intrapreso dal predetto in seguito alla scarcerazione e della grave infermità che
l’aveva colpito in epoca recente; conf. n. 23641 del 2014, Rv. 260104 -01; n. 1831 del 2016, Rv. 265862 -01; Sez. U, n. 111 del 2018 Rv. 271511 -01).
Deriva da quanto sin qui esposto, l’annullamento con rinvio dell’ordinanza perché, in ossequio ai principi di diritto di cui alla parte motiva, si proceda a nuovo esame in punto attualità e persistenza della pericolosità sociale, per una più specifica verifica della sussistenza di tale requisito, nella piena autonomia quanto all’esito .
P.Q.M.
Annulla l’ ordinanza impugnata con rinvio per nuovo giudizio al Tribunale di sorveglianza di Catanzaro.
Così deciso il 31 gennaio 2025
Il Consigliere estensore Il Presidente NOME COGNOME NOME COGNOME