Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 23950 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 23950 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 10/01/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME NOME a SAN CIPRIANO D’AVERSA il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 01/03/2023 del TRIB. SORVEGLIANZA di NAPOLI
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; lette le conclusioni del PG NOME COGNOME, che ha chiesto dichiararsi
inammissibile il ricorso;
RITENUTO IN FATTO
Con l’ordinanza in epigrafe, il Tribunale di sorveglianza di Napoli rigettava l’appello proposto nell’interesse di NOME COGNOME avverso il provvedimento del 5 ottobre 2022, con il quale il Magistrato di sorveglianza di Napoli aveva prorogato di un anno la misura di sicurezza della libertà vigilata, già applicata all’imputato, con ordinanza del Magistrato di sorveglianza di L’Aquila in data 17 marzo 2021, in relazione alla sentenza di condanna alla pena di otto anni di reclusione emessa dalla Corte di assise di appello di Napoli per il reato di cui all’art. 416-bis cod. pen.
Osservava il Tribunale che l’imputato, pur avendo conseguito un formale titolo di studio e svolto attività lavorativa, non aveva mai reciso i rapporti con i gruppo criminale di appartenenza (RAGIONE_SOCIALE), recisione che avrebbe potuto essere dimostrata solo attraverso una condotta di collaborazione con la giustizia.
Ha proposto ricorso l’interessato, per il tramite del difensore AVV_NOTAIO, deducendo violazione di legge e difetto di motivazione in riferimento all’omessa valutazione dell’attualità della pericolosità sociale (artt. 203, 208 e 417 cod. pen.).
Nella sostanza, e in estrema sintesi, si rimprovera al giudice di merito di aver ratificato la proroga della libertà vigilata argomentando solo in via presuntiva, non consentita a seguito di Sez. U, Gattuso, circa l’attualità della pericolosità sociale del condanNOME, fondandola, di fatto, oltre che sulla condanna in espiazione – che, però, riguardava una partecipazione associativa mafiosa risalente al 2006 – sulla mancata collaborazione con l’Autorità giudiziaria: il Tribunale, in definitiva, non avrebbe addotto specifici elementi comprovanti l’attuale pericolosità del ricorrente a distanza di 17 anni dal fatto oggetto di condanna.
La difesa, inoltre, censura come incomprensibile sul piano della logica il passaggio motivazionale in cui si afferma che l’acquisizione di un titolo di studio e l’inserimento nel mondo del lavoro sarebbero solo “formalmente” indicativi di una svolta verso modelli di vita socialmente accettati, atteso che, in realtà, detti elementi avrebbero dovuto radicare il convincimento di segno opposto circa la permanenza di legami associativi.
Si critica, ancora, in quanto disancorata da evidenze probatorie, la proposizione del Tribunale di sorveglianza secondo la quale “non può affatto dirsi che successivamente alla condanna per cui è procedimento il condanNOME non abbia più manifestato pericolosità sociale”.
Obietta il difensore, al riguardo, che, se il giudice di merito avesse inteso riferirsi – ma non vi era alcuna allusione esplicita – al controllo operato dai Carabinieri, che registrarono, alle ore 21.40 del 21 agosto 2021, la presenza
presso l’abitazione del COGNOME dei pregiudicati NOME COGNOME (cugino di NOME COGNOME alias “NOME ninno”) e NOME COGNOME, unitamente ad altre persone (la circostanza era valorizzata dal Magistrato di sorveglianza), l’interessato non avrebbe potuto che ribadire le proprie giustificazioni già rese all’epoca adducendo con i predetti pregiudicati rapporti di parentela.
Il Procuratore generale di questa Corte, nella sua requisitoria scritta, ha concluso per la dichiarazione di inammissibilità del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso va accolto per le ragioni che seguono.
Occorre, brevemente, premettere che il giudizio sulla pericolosità sociale rilevante ai fini dell’applicazione di una misura di sicurezza postula la valutazione congiunta di tutte le circostanze indicate dall’art. 133 cod. pen., come prescritto dall’art. 203, comma secondo, cod. pen. (Sez. 3, n. 6596 del 23/01/2023, M., Rv. 284142).
Va, inoltre, ricordato che, secondo l’orientamento ermeneutico costituzionalmente orientato che il Collegio condivide, l’applicazione di misure di sicurezza, ivi compresa quella prevista dall’art. 417 cod. pen., a seguito della modifica introdotta dall’art. 31, comma 2, legge 10 ottobre 1986, n. 633, può essere disposta, anche da parte del giudice della cognizione, soltanto dopo l’espresso positivo scrutinio dell’effettiva pericolosità sociale del condanNOME, da accertarsi in concreto sulla base degli elementi di cui all’art. 133 cod. pen., globalmente valutati, senza possibilità di far ricorso ad alcuna forma di presunzione giuridica, ancorché qualificata come semplice (Sez. 1, n. 2875 del 12/12/2023 dep. 2024, Chianese, Rv. 285810).
Nel giudizio di riesame, previsto dall’art. 208 cod. pen., il giudice dovrà quindi, valutare, sempre alla luce dei parametri fissati dall’art. 133 cod. pen., la persistenza della pericolosità sociale del condanNOME.
Tanto premesso, ritiene questa Corte che, nel caso in esame, il Tribunale di sorveglianza sia pervenuto a una decisione non rispettosa dei criteri normativi richiamati, soprattutto perché la sua valutazione appare inficiata da passaggi argomentativi manifestamente illogici.
Nel primo di essi, collocato tra la fine della prima pagina e l’inizio della seconda dell’ordinanza censurata, si legge: «Non può affatto dirsi che successivamente alla condanna per cui è procedimento il condanNOME non abbia più manifestato pericolosità sociale».
Tale periodo, per il suo inequivoco tenore letterale, avrebbe dovuto logicamente preludere alla illustrazione dei comportamenti successivi posti in
essere dal condanNOME denotanti la persistenza, nell’attualità, della sua pericolosità sociale.
Si legge, invece, nel periodo successivo: «se è vero che la condanna per il reato di concorso in associazione di stampo mafioso ex art. 416-bis c.p. attiene a fatti del 2006, è altrettanto vero che il COGNOME è stato in precedenza condanNOME per analogo reato […1».
Le proposizioni ora trascritte tradiscono, all’evidenza, un assurdo logico, in quanto, con esse, si intende dimostrare la persistente pericolosità del condanNOME nel periodo successivo al 2006 (anno, peraltro, già assai lontano nel tempo rispetto all’odierna valutazione) con una condanna per fatti ad esso addirittura antecedenti.
La manifesta illogicità di tale passaggio appare inconfutabile.
Ad analoghe conclusioni deve pervenirsi in relazione a un’ulteriore affermazione, giustamente stigmatizzata in ricorso, secondo la quale lo svolgimento di attività lavorativa e il conseguimento di un formale titolo di studio da parte del COGNOME avrebbero integrato un « atteggiamento solo formalmente indicativo di una svolta verso modelli di vita socialmente accettati », mentre, in realtà, avrebbero, piuttosto, radicato «il convincimento di segno opposto circa la permanenza di legami associativi».
Anche tale proposizione presta in fianco a critiche sia sotto il profilo della contraddittorietà che sotto quello della assertività.
La contraddizione si rinviene nell’avere il Tribunale, da un lato, menzioNOME indicatori (il lavoro lecito, il conseguimento di un titolo di studio) suscettibili essere positivamente apprezzati alla stregua dei parametri di cui all’art. 133 cod. pen., e, dall’altro, nell’averli, paradossalmente, considerati a sostegno della ritenuta permanenza di legami associativi.
L’assertività va colta nell’assenza di un passaggio logico che consenta di collegare in modo congruo la presa d’atto di elementi positivi alla conclusione circa la valenza degli stessi come sintomatici di un ancora attuale rapporto del condanNOME con il sodalizio di appartenenza e, quindi, di un’ancora persistente sua pericolosità sociale.
Le incongruenze appena evidenziate impongono l’annullamento dell’ordinanza impugnata, con rinvio per nuovo giudizio al Tribunale di sorveglianza di Napoli, che procederà a nuova valutazione del caso, emendando la motivazione dai vizi rilevati e attenendosi ai criteri normativi ed ermeneutici ricordati.
sorveglianza di Napoli.
Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo giudizio al Tribunale di Così deciso in Roma, il 10 gennaio 2024
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Il Consigliere estensore
Il Presidente