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Pericolosità sociale: valutazione anche in carcere

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso di un soggetto detenuto, confermando la legittimità dell’applicazione della misura di prevenzione della sorveglianza speciale. La sentenza stabilisce che la valutazione della pericolosità sociale deve essere attuale e concreta anche per chi si trova in stato di detenzione, considerando il ruolo ricoperto nell’organizzazione criminale e l’assenza di segnali di cambiamento.

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Pubblicato il 5 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Pericolosità Sociale: la Valutazione è Necessaria Anche per chi è in Carcere

Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha affrontato un tema cruciale nell’ambito delle misure di prevenzione: la valutazione della pericolosità sociale di un soggetto che si trova già in stato di detenzione. La Corte ha stabilito che la carcerazione non esclude, di per sé, la necessità di un giudizio sull’attualità del pericolo, rigettando il ricorso di un individuo ritenuto affiliato a una potente cosca di ‘ndrangheta.

I Fatti del Caso

Al ricorrente era stata applicata la misura di prevenzione della sorveglianza speciale con obbligo di soggiorno per la durata di cinque anni, in seguito a una valutazione che lo indicava come soggetto socialmente pericoloso per la sua organica partecipazione a un’associazione mafiosa. La difesa aveva impugnato tale decisione, sostenendo che, essendo il soggetto già detenuto, mancasse il presupposto dell’attualità della pericolosità. Secondo la tesi difensiva, ogni valutazione in tal senso sarebbe stata prematura e da rinviare al momento della scarcerazione, come previsto da specifiche norme che regolano la sospensione dell’esecuzione della misura durante la detenzione.

## La pericolosità sociale non è sospesa dalla detenzione

La Corte di Cassazione ha respinto integralmente le argomentazioni della difesa, fornendo chiarimenti fondamentali. Il supremo collegio ha ribadito che il giudizio sulla pericolosità sociale deve essere sempre ancorato a un’analisi concreta e attuale, anche quando riguarda un individuo detenuto. La detenzione è certamente un fattore da considerare, ma non determina un’automatica interruzione del legame con l’associazione criminale né una sicura attenuazione della pericolosità.

I giudici hanno sottolineato che, specialmente nel caso di appartenenza a organizzazioni mafiose storiche e operanti come la ‘ndrangheta, il vincolo associativo può persistere e persino rafforzarsi durante la detenzione. Pertanto, il giudice ha il dovere di valutare se lo stato di carcerazione abbia inciso sulla personalità del soggetto e sui suoi legami con l’ambiente criminale.

## L’importanza degli elementi concreti

Nel caso specifico, la Corte ha ritenuto che la motivazione dei giudici di merito fosse solida e ben argomentata. La valutazione della pericolosità sociale si basava su elementi concreti e non su mere congetture. Tra questi, spiccavano:

* Il ruolo strategico ricoperto dal soggetto all’interno della cosca.
* Il suo coinvolgimento in gravi reati, inclusi procedimenti per omicidio aggravato dal metodo mafioso.
* La capacità operativa del clan di appartenenza, che rimaneva intatta.
* L’assenza di qualsiasi elemento concreto, successivo all’inizio della detenzione, che potesse indicare un’evoluzione positiva della sua personalità o una presa di distanza dal contesto criminale.

La Corte ha inoltre precisato che, ai fini dell’applicazione delle misure di prevenzione, è legittimo utilizzare elementi indiziari provenienti da procedimenti penali ancora in corso, inclusi quelli basati su sentenze di condanna non ancora definitive. Questo principio di autonoma valutazione consente al giudice della prevenzione di formare il proprio convincimento sulla base di un quadro indiziario complessivo.

le motivazioni

La decisione della Corte di Cassazione di rigettare il ricorso si fonda sull’infondatezza delle censure mosse dalla difesa. La motivazione della Corte di Appello è stata giudicata congrua e logica, non meramente apparente. I giudici di merito avevano correttamente evidenziato la persistenza di una pericolosità qualificata, basata su indizi solidi di partecipazione a una cosca mafiosa, un ruolo operativo di rilievo e il coinvolgimento in fatti di estrema gravità. La Corte ha chiarito che il richiamo alle norme sulla sospensione dell’esecuzione della misura durante la detenzione era improprio, poiché tali disposizioni riguardano la fase esecutiva e non quella applicativa. L’onere del giudice di accertare l’attualità della pericolosità è stato pienamente adempiuto, tenuto conto che non erano emersi elementi favorevoli al ricorrente durante il periodo di detenzione. Anche la durata della misura (cinque anni) è stata ritenuta giustificata dall’elevatissimo grado di pericolosità del soggetto.

le conclusioni

In conclusione, la sentenza riafferma un principio cardine: lo stato di detenzione non congela il giudizio sulla pericolosità sociale. Il giudice deve compiere una valutazione approfondita e attuale, che tenga conto del livello di coinvolgimento del soggetto nel gruppo criminale, della persistente operatività di quest’ultimo e dell’eventuale emersione di elementi che depongano a favore di un percorso di cambiamento. In assenza di tali elementi, e di fronte a un profilo criminale di elevato spessore, l’applicazione di una misura di prevenzione come la sorveglianza speciale risulta pienamente legittima, poiché mira a contenere un pericolo che, sebbene limitato dalla detenzione, non è affatto venuto meno.

È possibile applicare una misura di prevenzione come la sorveglianza speciale a una persona che si trova già in carcere?
Sì. La Corte di Cassazione ha confermato che l’applicazione di una misura di prevenzione è legittima anche nei confronti di un soggetto detenuto, poiché la valutazione riguarda l’attualità della pericolosità sociale, che non viene automaticamente meno con la carcerazione.

La detenzione di un individuo annulla automaticamente la sua pericolosità sociale attuale?
No. La detenzione è un elemento che il giudice deve considerare, ma non elimina di per sé la pericolosità. È necessaria una valutazione concreta per verificare se il periodo di detenzione abbia inciso sulla personalità del soggetto e sui suoi legami con l’ambiente criminale, specialmente in contesti di criminalità organizzata.

Per valutare la pericolosità sociale, il giudice può basarsi su condanne non ancora definitive?
Sì. In materia di prevenzione vige il principio dell’autonoma valutazione delle circostanze di fatto. Ciò significa che il giudice può utilizzare qualsiasi elemento indiziario, anche desumibile da procedimenti penali in corso o da sentenze non ancora passate in giudicato, per fondare il proprio giudizio sulla pericolosità di un individuo.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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