Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 30279 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 30279 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 03/05/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME COGNOME nato il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 19/12/2023 del TRIB. SORVEGLIANZA di BOLOGNA udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
lette le conclusioni del Pubblico Ministero, nella persona del Sostituto procuratore generale NOME COGNOME, che ha concluso chiedendo dichiararsi l’inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza emessa in data 19 dicembre 2023 il Tribunale di sorveglianza di Bologna ha respinto l’appello proposto da NOME COGNOME contro il provvedimento con cui il magistrato di sorveglianza di Bologna ha dichiarato eseguibile la misura di sicurezza della espulsione dallo Stato a lui applicata dal Tribunale di Macerata con la sentenza emessa in data 06 febbraio 2015, per la mancanza di un concreto progetto di reinserimento sociale esterno.
Il Tribunale ha ritenuto corretto il provvedimento, perché il COGNOME non ha un lavoro o altre fonti lecite di mantenimento, circostanza che legittima una valutazione predittiva negativa, non ha legami parentali, ha un passato caratterizzato da logiche devianti e utilizzo di numerosi alias, e pur avendo usufruito di permessi-premio non ha reperito un’occupazione lavorativa. Non è stato perciò avviato un percorso di reinserimento, che consenta di formulare una prognosi positiva circa il pericolo di recidivanza. Non è fondato, poi, il riliev dell’istante circa l’omessa sostituzione della misura con altra, non essendo previsto dal legislatore e dalla giurisprudenza la possibilità di una sua trasformazione, diversamente da quanto previsto per altre misure.
Avverso l’ordinanza ha proposto ricorso NOME COGNOME, per mezzo del suo difensore AVV_NOTAIO, articolando un unico motivo, con il quale denuncia la violazione di legge, l’assenza di motivazione e la mancanza di corrispondenza tra il devoluto e la decisione.
L’ordinanza omette la valutazione della pericolosità ‘richiesta dall’art. 203 cod.pen., perché non contiene alcuna indicazione circa la concreta probabilità, e non una mera possibilità, che il ricorrente commetta altri reati. Non ha poi compiuto una valutazione ai sensi dell’art. 133, comma 2, cod.pen., in quanto non ha tenuto conto della condotta successiva al reato: il ricorrente ha tenuto una condotta carceraria corretta, ha lavorato come addetto alla spesa e alla distribuzione dei pasti e, dal 2022, come lavorante esterno intracinta, quale addetto alla pulizia nella caserma degli agenti, e non ha mai negato le proprie responsabilità, ammettendo di avere commesso reati per la necessità di mantenersi. Non può quindi motivarsi un giudizio negativo circa la sua attuale pericolosità, avendo la detenzione svolto la sua funzione rieducativa.
La misura di sicurezza è stata applicata in relazione a reati accertati nel 2011 ma commessi tra il 2005 e il 2008, e l’ordinanza impugnata viola anche il principio di corrispondenza tra il devoluto e la decisione, perché non tiene conto di tali elementi.
Il Procuratore generale ha chiesto, con requisitoria scritta, dichiararsi l’inammissibilità del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è infondato, e deve essere rigettato.
La valutazione della eseguibilità della misura di sicurezza, applicata al ricorrente in epoca risalente, richiede l’accertamento della attualità della pericolosità di questi, che deve essere effettuato dal magistrato di sorveglianza alla luce degli elementi di cui all’art. 133 cod.pen., ed in particolare de comportamento tenuto dal condannato durante e dopo l’espiazione della pena.
Il Tribunale ha valutato il provvedimento del magistrato di sorveglianza rilevando, con motivazione congrua, che egli ha effettuato tale accertamento, in quanto ha esaminato la condotta deviante tenuta prima della detenzione, la condotta corretta tenuta durante l’espiazione della pena, e le prospettive risocializzanti idonee per formulare un giudizio prognostico positivo circa il pericolo di recidivanza. La condotta antecedente alla detenzione è stata ritenuta grave e dimostrativa di una non modesta inclinazione a delinquere, stante la commissione di vari reati e l’utilizzo di numerosi alias. La condotta tenuta durante l’espiazione della pena, invece, è stata valutata positivamente, evidenziando però che essa non ha portato allo sviluppo di un progetto di reinserimento sociale, essenzialmente per la mancata attivazione del ricorrente al fine di procurarsi ‘opportunità lavorative che assicurassero una lecita forma di mantenimento in stato di libertà.
Questo elemento è stato ritenuto essenziale per l’esito negativo dell’accertamento, in quanto la mancanza di un’opportunità lavorativa, che consenta al ricorrente di mantenersi mediante un’attività lecita, ha indotto i giudici della sorveglianza a ritenere impossibile l’esclusione del pericolo di commissione di nuovi reati, evidenziando la probabilità che il ricorrente sia indotto a delinquere nuovamente trovandosi, in libertà, in condizioni di indigenza, condizioni alle quali non possono sopperire soggetti terzi, non risultando egli avere, nel territorio dello Stato, una rete familiare o amicale in grado di sostenerlo.
Altrettanto significativo è stato ritenuto il fatto che il mancato reperimento di un’occupazione lecita non risulta dovuto a cause non addebitabili al ricorrente, bensì ad un suo disinteresse, non risultando che i periodi di libertà da lui goduti a seguito di permessi-premio abbiano permesso di attuare un concreto progetto di
reinserimento sociale, in particolare attraverso il reperimento di un’occupazione anche solo temporanea.
Questa motivazione, che ritiene ancora attuale la pericolosità sociale del ricorrente per la presenza del pericolo di recidivanza, è fondata, quindi, su un elemento valutativo oggettivo, previsto dall’art. 133 cod.pen., ai numeri 3) e 4), ed è logica e non contraddittoria. La giurisprudenza di legittimità, in situazioni analoghe, ha infatti ritenuto che «In tema di esecuzione della misura di sicurezza personale dell’espulsione dello straniero dal territorio dello Stato, ai fini del valutazione del requisito di attualità della pericolosità sociale, la condizione d irregolare presenza in Italia, dovuta alla mancanza di un valido titolo di soggiorno, non costituisce, di per sé, elemento idoneo a .fondare un giudizio sfavorevole di prognosi criminale, potendo assumere una tale valenza solo qualora lo straniero, per effetto dello stato di irregolarità, versi nell’impossibil di procurarsi lecitamente i mezzi di sussistenza, con conseguente rischio di determinarsi alla commissione di nuovi reati» (Sez. 1, n. 23826 del 26/06/2020, Rv. 279987)
Il ricorrente lamenta che il giudizio prognostico di recidivanza sia stato fondato sulla mera possibilità di commissione di nuovi reati, e non sulla probabilità di tale evenienza, ma la censura è infondata, avendo il Tribunale ritenuto che la mancanza di leciti mezzi di sostentamento costituisca un «rilevante indice predittivo» negativo, che nel caso di specie è reso ancora più concreto dall’assenza di riferimenti parentali. Tale valutazione è logica e legata ad elementi concreti, notoriamente idonei a indurre un soggetto alla commissione di reati anche al solo scopo di procurarsi il necessario per il proprio mantenimento, e pertanto l’affermazione dell’ancora attuale pericolosità sociale del ricorrente è adeguatamente motivata.
Sulla base delle considerazioni che precedono il ricorso deve pertanto essere respinto, e il ricorrente deve essere condannato al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 03 maggio 2024
CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE