Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 9467 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 9467 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data Udienza: 29/10/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME COGNOME nato a SASSARI il 13/12/1984
avverso il decreto del 17/06/2024 della CORTE APPELLO di CAGLIARI
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME letta la memoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo l’annullamento con rinvio del provvedimento impugnato.
RITENUTO IN FATTO
Con il decreto indicato in epigrafe, la Corte di Appello di Cagliari ha confermato la misura di prevenzione della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza, applicata dal Tribunale di Cagliari 1’08.09.2023, nei confronti di NOME COGNOME in relazione alla pericolosità sociale derivante da reiterate condotte illecite poste in essere dal proposto fin dalla più giovane età e senza mai dare segni di ravvedimento, nonostante plurime denunce anche in stato di arresto,
la notifica dell’avviso orale del Questore con cui era stato invitato a mutare condotta e a tenere un comportamento conforme alla legge, le pronunce definitive dell’autorità giudiziaria.
Contro l’anzidetto decreto, NOME COGNOME propone ricorso a mezzo del difensore di fiducia, avv. NOME COGNOME affidato a tre motivi, di seguito sintetizzati ai sensi dell’art.173 disp. att. cod. proc. pen.
2.1 Il primo motivo di ricorso lamenta violazione dell’alt 606 lett. b) cod. proc. pen. per inosservanza ed erronea applicazione della legge penale in relazione all’art.1 lett. a) D. Lgs 159/2011, per avere ritenuto un presupposto di pericolosità sociale del Cugusi non contestato in sede di proposta e senza tenere conto della pronuncia della Corte Costituzionale che ha ritenuto illegittima la lett. a) della disposizione normativa citata.
2.2 Il secondo motivo di ricorso lamenta violazione dell’ad 606 lett. b), c) ed e) cod. proc. pen. per inosservanza ed erronea applicazione della legge penale deducendo difetto di correlazione tra il decreto impugnato ed il decreto del Tribunale che applicava la misura di prevenzione ritenendo il proposto persona pericolosa rientrante nelle categorie tipologiche di cui all’art. 1, lett. b) e c), D Lgs. 159/2011, nonché omessa motivazione in relazione alla lett. c) della disposizione richiamata.
2.3 Il terzo motivo di ricorso lamenta violazione dell’ad 606 lett. b), c) ed e) cod. proc. pen. per inosservanza ed erronea applicazione della legge penale, deducendo, con riferimento all’art. 1 lett. b) D. Lgs 159/2011, motivazione non conforme ai principi dettati dalla Corte Costituzionale nella sentenza 24/2019, nulla essendo stato precisato rispetto all’arco temporale di commissione dei delitti, all’effettiva generazione di profitti correlati ai reati accertati, al fatto che ques ultimi, in una determinata epoca, abbiano costituito l’unico reddito del soggetto o, comunque, una componente significativa di esso, ritenendo di carattere residuale l’accertamento della pericolosità basato su tale presupposto rispetto a quello compiuto sulla lett. a) ritenuto dirimente.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il primo motivo di ricorso è infondato.
1.1 Va premesso che l’esercizio dell’azione di prevenzione e l’accertamento della pericolosità sociale del soggetto sollecita risposte ordinamentali non già a fatti costituenti reato, ma a comportamenti praeter delictum, a stili di vita e metodiche comportamentali che si collocano al di fuori degli ordinari schemi della civile convivenza e dell’ordine democratico; tale sistema, come è noto, attua un contrasto a due forme di pericolosità: a) la pericolosità c.d. generica (o comune), propria dei soggetti dediti abitualmente a condotte delittuose e che vivano abitualmente, anche in parte, con i proventi di tali attività delittuose, ai sensi dell’art. 1 legge 27 dicembre 1956, n. 1423 (oggi, art. 1, comma 1, lett. b), d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159), e b) la pericolosità c.d. qualificata, propria dei soggetti ritenuti partecipi di associazioni per delinquere di stampo mafioso (art. 416-bis cod. pen., richiamato dall’art. 4, lett. a, d.lgs. n. 159 del 2011) o indiziati di alt reati di allarme sociale. Nella prima ipotesi siamo in presenza di un’abituale dedizione al crimine, eletto a fonte di sostentamento; nell’altra, di scelte esistenziali e di sistematici comportamenti, antitetici alle regole del vivere civile, ma pur essi orientati a logiche di profitto e di facile arricchimento.
1.2 Quanto alla c.d. pericolosità generica, le censure del ricorrente sono infondate perché la Corte territoriale, nel confermare il decreto del Tribunale, ha fatto corretta applicazione del principio elaborato dalla giurisprudenza di questa Corte del triplice requisito richiesto per l’applicazione della misura di prevenzione personale di cui alle lett. b) e c) del D. L.gs 159/2011. Ha riscontrato la sussistenza dei presupposti di legge, richiamando, quali indici della pericolosità sociale del proposto, proprio i presupposti indicati dalla lett. c) dell’art. 1 D. Lgs 159/2011, ovvero i numerosi precedenti penali per delitti contro il patrimonio e la persona (anche gravi, quali il delitto per tentato omicidio), nonché in materia di armi e stupefacenti, commessi in un ampio arco temporale, dal 2001 al 2023, che denotano la abitualità dell’attività criminosa, dalla quale ha tratto rilevante fonte di reddito per provvedere alle esigenze di vita proprie e dei familiari.
La Corte territoriale ha, inoltre, valutato i numerosi carichi pendenti per reati di lesioni personali, ingiuria, evasione, furto e ricettazione ed in materia di stupefacenti, nonché le segnalazioni di polizia relative a gravi reati anche contro il patrimonio cui in alcuni casi è conseguita l’applicazione della misura cautelare della custodia in carcere.
La Corte di merito ha, pertanto, correttamente indicato un insieme di elementi quali indici di pericolosità sociale riconducibili alla lett. c) D.L.v 159/2011, valorizzando il costante coinvolgimento del COGNOME in vicende indicative di pericolosità sociale, parte delle quali definite con l’accertamento della colpevolezza dello stesso e in parte oggetto di giudizi, tuttora pendenti, per gravi delitti in tema di coltivazione e detenzione di rilevanti quantitativi di sostanze
stupefacenti, di detenzione di armi, lesioni personali, violenza e minaccia a pubblico ufficiale.
Parimenti immune da vizi e censure è la valutazione di attualità della pericolosità sociale, che ha tenuto conto della allarmante ed attuale dedizione al crimine (l’ultimo dei fatti risale al 2023) da parte del proposto che, lungi dal cambiare stile di vita nonostante gli avvisi orali e le precedenti condanne, ha dato manifestazione di un incremento della pericolosità sociale, confermata dal suo pieno inserimento ai vertici degli ambienti criminali dediti alle rapine descritte nel decreto, contesto in cui lo stesso è apparso essersi specializzato nella coltivazione di sostanze stupefacenti, fonte di ingenti proventi illeciti da reinvestire in circuit economici leciti ed illeciti, ritenendo che la pervicacia nella reiterazione delle condotte illecite, conseguenza della inefficacia deterrente dei precedenti provvedimenti adottati a suo carico, rappresenta elemento sintomatico di una precisa scelta di vita improntata alla violazione sistematica della legge penale.
È, dunque, evidente che la Corte territoriale ha erroneamente indicato la lett. a) dell’art. 1 D. Lgs 159/2011, mentre tutta la motivazione è correttamene impostata sui presupposti contemplati dall’arti, lett. b) e c), e dall’art. 4 D. Lgs 159/2011.
2. Il secondo motivo di ricorso va disatteso.
2.1. Deve, in primo luogo, essere precisato, a confutazione da quanto adombrato dal ricorrente, che la proposta di applicazione di misure di prevenzione personale avanzata dal Pubblico Ministero è stata accolta dal Tribunale sul presupposto della qualificazione del proposto anche quale soggetto che vive abitualmente con i proventi di attività delittuose.
2.2. Tanto premesso, il motivo è infondato in quanto, sotto il primo profilo, non sussiste il dedotto difetto di correlazione tra il decreto impugnato e quello del Tribunale che applica la misura della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza sulla base dei presupposti di cui alle lett. b) e c) del D. Lgs 159/2011, in quanto nella motivazione del provvedimento della Corte territoriale, al di là del mero errore materiale nella indicazione della lettera a) dell’art. 1, richiamando il decreto del Tribunale, sono stati ritenuti integrati i medesimi presupposti della normativa in parola di cui alle lett. b) e c). Sul punto si rinvia interamente a quanto diffusamente esposto al punto che precede.
2.3. Infondato è il motivo anche in punto di omesso riferimento rispetto al requisito di pericolosità di cui all’articolo 1 lett. c) D. Lgs 159/11: come si è detto, la Corte d’appello ha richiamato i numerosi precedenti penali, anche particolarmente gravi, nonché i procedimenti pendenti, anch’essi relativi a gravi reati.
Il terzo motivo di ricorso è generico.
3.1. Il motivo è pedissequamente reiterativo di quello proposto in appello e non si confronta con la motivazione del decreto impugnato, che richiama puntualmente il triplice requisito della pericolosità sociale generica, richiesto dall’art. 1, comma 1 lett. b) del D.Igs. n. 159 del 2011, alla luce della sentenza della Corte costituzionale n. 24 del 2019, da ancorare a precisi elementi di fatto, richiedendo trattarsi di delitti commessi abitualmente, ossia in un significativo arco temporale, che abbiano effettivamente generato profitti in capo al proposto e che costituiscano, o abbiano costituito in una determinata epoca, l’unica, o quantomeno una rilevante, fonte di reddito per il medesimo (si veda Sez. 5, Sentenza n. 182 del 30/11/2020, dep.2021, COGNOME, Rv. 280145 – 03).
Come si è detto, nella specie, la Corte di merito, con motivazione immune da vizi, richiama le gravi condotte attuate dal COGNOME con continuità nell’amplissimo arco temporale dal 2001 al 2023 e caratterizzate per la loro omogeneità da evidente continuità rispetto ai profili sintomatici di una significativa pericolosità storica e da un’allarmante progressione criminosa, fino al coinvolgimento in gravissimi delitti, tali da suscitare un rilevante allarme sociale.
Quanto all’effettiva generazione di profitti correlati ai reati accertati, che, in una determinata epoca, abbiano costituito l’unico reddito del soggetto o, comunque, una componente significativa di esso, la Corte territoriale, confrontandosi con l’appello, richiama la persistente attuazione, desumibile dagli elementi di fatto (numerose precedenti condanne per gravi reati), di gravissimi reati, non aventi carattere episodico ma commessi con continuità, sottolineando che, sulla base di tali elementi, i reati siano destinati, in parte, alla fruizione da parte del soggetto per le sue esigenze.
3.2. Parimenti, con riferimento ai redditi derivanti dalla azienda agricola del proposto, la Corte territoriale, confrontandosi con il motivo di appello, ha ritenuto, con motivazione immune da vizi, che alla luce degli accertamenti eseguiti i redditi derivanti dalla azienda agricola sono pari solo alla misura corrispondente la quota di partecipazione alla stessa (pari al 25%) e non hanno generato reddito imponibile, confermando le valutazioni del Tribunale che ha ritenuto che Cugusi viva abitualmente, anche solo in parte con i proventi delle attività delittuose.
Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma il 29/10/2024.