LexCED: l'assistente legale basato sull'intelligenza artificiale AI. Chiedigli un parere, provalo adesso!

Pericolosità sociale: sorveglianza anche con redditi

La Corte di Cassazione ha confermato la misura di prevenzione della sorveglianza speciale nei confronti di un individuo, ritenendo provata la sua pericolosità sociale. La decisione si basa su una lunga e ininterrotta carriera criminale, dimostrando che il soggetto viveva abitualmente, anche se solo in parte, con i proventi di attività illecite. La Corte ha chiarito che la presenza di un reddito lecito parziale non esclude la valutazione di pericolosità sociale, se l’attività criminosa costituisce una componente significativa e abituale del sostentamento.

Prenota un appuntamento

Per una consulenza legale o per valutare una possibile strategia difensiva prenota un appuntamento.

La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)
Pubblicato il 18 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Pericolosità Sociale: la Sorveglianza Scatta Anche se il Reddito Illecito è Solo Parziale

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 9467/2025, ha offerto un importante chiarimento sui presupposti per l’applicazione della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza, una delle più incisive misure di prevenzione. Il caso in esame riguarda un soggetto la cui pericolosità sociale è stata confermata nonostante percepisse anche redditi da un’attività lecita. La pronuncia stabilisce un principio fondamentale: per essere considerati socialmente pericolosi non è necessario vivere esclusivamente di proventi illeciti, ma è sufficiente che l’attività criminale sia abituale e costituisca una fonte di sostentamento significativa.

I Fatti di Causa

Il Tribunale prima, e la Corte di Appello di Cagliari poi, avevano applicato la misura della sorveglianza speciale a un individuo sulla base di una conclamata pericolosità sociale. Tale valutazione derivava da una lunga serie di condotte illecite commesse sin dalla giovane età, che spaziavano da reati contro il patrimonio e la persona a violazioni in materia di armi e stupefacenti. Secondo i giudici di merito, il soggetto aveva dimostrato una persistente dedizione al crimine, senza mai dare segni di ravvedimento, nonostante le numerose denunce e gli arresti subiti in un arco temporale di oltre vent’anni (dal 2001 al 2023).

Contro la decisione della Corte d’Appello, la difesa ha proposto ricorso per Cassazione, articolando tre motivi principali volti a smontare l’impianto accusatorio.

I Motivi del Ricorso e l’Analisi della Pericolosità Sociale

Il ricorrente lamentava, in sintesi:
1. Erronea applicazione della legge: La difesa sosteneva che la Corte d’Appello avesse fondato la sua decisione su una categoria di pericolosità (art. 1, lett. a, D.Lgs. 159/2011) dichiarata illegittima dalla Corte Costituzionale.
2. Difetto di correlazione e motivazione: Si contestava una presunta discrepanza tra le motivazioni del decreto del Tribunale e quelle della Corte d’Appello, oltre a un’omessa motivazione su specifici presupposti di legge.
3. Violazione dei principi costituzionali: Infine, si criticava la motivazione per non essersi conformata ai principi dettati dalla Corte Costituzionale (sentenza n. 24/2019) riguardo alla necessità di dimostrare che i reati avessero generato profitti e che questi costituissero l’unica o prevalente fonte di reddito in un determinato arco temporale.

Le Motivazioni della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha rigettato integralmente il ricorso, ritenendolo infondato in ogni sua parte. Gli Ermellini hanno fornito una motivazione chiara e lineare, smontando le argomentazioni difensive e consolidando importanti principi di diritto.

In primo luogo, la Corte ha qualificato come un semplice ‘errore materiale’ l’erronea citazione della lettera a) dell’art. 1 nel provvedimento impugnato. Tutta la motivazione, infatti, era palesemente e correttamente fondata sui presupposti delle lettere b) e c) dello stesso articolo: essere dediti abitualmente a traffici delittuosi e vivere, anche in parte, con i proventi di tali attività. Un errore formale, dunque, non inficia la validità della decisione se la sostanza della motivazione è corretta e coerente.

Nel merito, la Cassazione ha confermato la solidità della valutazione sulla pericolosità sociale del soggetto. I giudici hanno sottolineato come l’ampio e costante coinvolgimento in attività criminali per oltre due decenni, con una progressione allarmante fino a reati di grave allarme sociale, dimostrasse in modo inequivocabile un’abituale dedizione al crimine. Questa continuità, unita all’inefficacia delle precedenti condanne e degli avvisi, costituiva un elemento sintomatico di una precisa scelta di vita improntata alla violazione sistematica della legge.

Il punto cruciale della sentenza riguarda però il requisito del sostentamento da proventi illeciti. La Corte ha ribadito che la legge non richiede che il soggetto viva esclusivamente di crimine. È sufficiente che i proventi delle attività delittuose costituiscano una fonte di reddito ‘rilevante’ per provvedere alle esigenze proprie e della famiglia. Nel caso specifico, la Corte territoriale aveva accertato che i redditi derivanti dalla partecipazione (pari al 25%) a un’azienda agricola non erano sufficienti a generare un reddito imponibile, confermando così la valutazione del Tribunale secondo cui il ricorrente viveva abitualmente, ‘anche solo in parte’, con i guadagni delle sue attività illegali.

Le Conclusioni

La sentenza in esame consolida un’interpretazione rigorosa ma equilibrata del concetto di pericolosità sociale. La Corte di Cassazione stabilisce che la valutazione deve basarsi su un quadro complessivo e attuale, fondato su elementi di fatto concreti che dimostrino una scelta di vita anti-sociale e una persistente inclinazione a delinquere. La pronuncia chiarisce in modo definitivo che la presenza di un’attività lecita e di un reddito legale non è, di per sé, sufficiente a escludere la pericolosità, qualora sia provato che il soggetto tragga abitualmente e in misura significativa sostentamento anche da attività criminali. Questa decisione rappresenta un monito importante: il sistema delle misure di prevenzione mira a contrastare stili di vita e comportamenti praeter delictum che minano la civile convivenza, indipendentemente da eventuali facciate di legalità.

È necessario che una persona viva esclusivamente dei proventi di reati per essere considerata socialmente pericolosa ai fini della sorveglianza speciale?
No. La Corte di Cassazione ha chiarito che è sufficiente che il soggetto viva ‘anche solo in parte’ con i proventi delle attività delittuose. L’importante è che tali proventi costituiscano una fonte di reddito abituale e significativa per il sostentamento.

Un errore materiale, come la citazione di una norma sbagliata, rende nulla una sentenza?
No, non necessariamente. Se dal complesso della motivazione emerge chiaramente che il giudice ha applicato i principi corretti e ha basato la sua decisione sui presupposti di legge pertinenti, un mero errore materiale nell’indicazione di un articolo non invalida il provvedimento.

Quali elementi considera un giudice per valutare la pericolosità sociale attuale di una persona?
Il giudice valuta un insieme di elementi, tra cui: i precedenti penali, i procedimenti pendenti, la tipologia e la gravità dei reati commessi, l’arco temporale in cui sono stati perpetrati, la continuità e la progressione dell’attività criminosa, e la dimostrazione che tale attività costituisce una fonte di reddito abituale e rilevante.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

Desideri approfondire l'argomento ed avere una consulenza legale?

Prenota un appuntamento. La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza / conference call e si svolge in tre fasi.

Prima dell'appuntamento: analisi del caso prospettato. Si tratta della fase più delicata, perché dalla esatta comprensione del caso sottoposto dipendono il corretto inquadramento giuridico dello stesso, la ricerca del materiale e la soluzione finale.

Durante l’appuntamento: disponibilità all’ascolto e capacità a tenere distinti i dati essenziali del caso dalle componenti psicologiche ed emozionali.

Al termine dell’appuntamento: ti verranno forniti gli elementi di valutazione necessari e i suggerimenti opportuni al fine di porre in essere azioni consapevoli a seguito di un apprezzamento riflessivo di rischi e vantaggi. Il contenuto della prestazione di consulenza stragiudiziale comprende, difatti, il preciso dovere di informare compiutamente il cliente di ogni rischio di causa. A detto obbligo di informazione, si accompagnano specifici doveri di dissuasione e di sollecitazione.

Il costo della consulenza legale è di € 150,00.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)

Articoli correlati