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Pericolosità sociale: sì alla sorveglianza speciale

Un soggetto, ritenuto socialmente pericoloso per una serie di reati contro il patrimonio, ha impugnato la misura di prevenzione della sorveglianza speciale, sostenendo la sua inapplicabilità in quanto già detenuto. La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, ribadendo che la pericolosità sociale attuale può essere valutata anche considerando la condotta in carcere. La Corte ha inoltre confermato che la misura può essere deliberata durante la detenzione, con l’esecuzione che inizierà solo dopo la scarcerazione.

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Pubblicato il 4 dicembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Pericolosità Sociale: la Sorveglianza Speciale si Applica anche ai Detenuti

Una recente sentenza della Corte di Cassazione affronta un tema cruciale nell’ambito delle misure di prevenzione: la valutazione della pericolosità sociale di un individuo e la possibilità di applicare la sorveglianza speciale a chi si trova già in stato di detenzione. La decisione chiarisce che lo stato detentivo non impedisce l’adozione della misura, la cui esecuzione è semplicemente posticipata al momento della scarcerazione.

I fatti del caso

Il Tribunale di Reggio Calabria aveva applicato a un individuo una misura di prevenzione personale, la sorveglianza speciale con obbligo di soggiorno nel comune di residenza per due anni. La decisione si basava sulla comprovata pericolosità sociale del soggetto, inserito nella categoria di coloro che vivono abitualmente con i proventi di attività delittuose e sono pericolosi per la sicurezza pubblica.

Contro tale decreto, l’interessato aveva proposto appello, contestando sia il giudizio sulla sua pericolosità sia la sussistenza dei requisiti per l’applicazione della misura. La Corte di Appello, tuttavia, aveva rigettato l’impugnazione. Di conseguenza, il soggetto ha presentato ricorso per cassazione, sollevando due questioni principali: la mancata valutazione dell’attualità della sua pericolosità e l’inammissibilità della misura in quanto egli si trovava in stato di detenzione.

La valutazione della pericolosità sociale del soggetto

La Corte di Cassazione ha respinto le argomentazioni del ricorrente, confermando la correttezza della valutazione operata dai giudici di merito. La Corte ha sottolineato come il giudizio sulla pericolosità sociale non si sia basato unicamente sui precedenti penali, ma su un’analisi complessiva e approfondita.

I giudici hanno valorizzato una serie quasi ininterrotta di reati contro il patrimonio (furto aggravato, ricettazione, rapina ed estorsione) commessi in un arco temporale di sei anni. Tali delitti, in assenza di altre fonti di reddito, costituivano l’unica fonte di sostentamento del soggetto. A corroborare questo quadro, sono state considerate anche le risultanze di intercettazioni e specifici episodi criminali, come il furto di cavi di una nota compagnia telefonica e rapine ai danni di cacciatori.

Questo approccio dimostra l’autonomia del giudizio di prevenzione rispetto a quello penale: il giudice della prevenzione è tenuto a utilizzare tutti gli elementi disponibili, anche fatti per i quali vi sia stata un’assoluzione in sede penale, per formulare una valutazione autonoma sulla propensione a delinquere del soggetto.

Pericolosità sociale attuale e stato di detenzione

Uno dei punti più rilevanti della sentenza riguarda il requisito dell’attualità della pericolosità. Il ricorrente sosteneva che il tempo trascorso dall’ultimo reato e il suo stato di detenzione avessero fatto venir meno la sua pericolosità. La Corte ha rigettato questa tesi.

Si è ritenuto che un lasso di tempo di quattro anni non fosse sufficiente a “sedare” la pericolosità, soprattutto alla luce di un episodio di rissa avvenuto in carcere. Questo comportamento, secondo i giudici, dimostrava la persistenza di una propensione all’illegalità. Inoltre, la Corte ha ribadito un principio consolidato: lo stato di detenzione non rende inammissibile l’applicazione della misura di prevenzione.

Le motivazioni della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha chiarito che nel procedimento di prevenzione occorre distinguere due momenti: quello deliberativo e quello esecutivo. La decisione di applicare la sorveglianza speciale (momento deliberativo) è perfettamente compatibile con lo stato di detenzione. L’incompatibilità riguarda unicamente l’esecuzione della misura, che potrà avere inizio solo quando la detenzione cesserà.

Il ricorso per cassazione in materia di prevenzione è ammesso solo per violazione di legge, non per vizi di motivazione come l’illogicità, a meno che la motivazione sia totalmente assente o meramente apparente. In questo caso, la Corte di Appello aveva adeguatamente motivato la sua decisione, basandola su dati processuali concreti e aderendo ai principi giurisprudenziali.

Le conclusioni

In conclusione, la Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile. La sentenza rafforza il principio secondo cui la sorveglianza speciale può essere legittimamente disposta nei confronti di un soggetto detenuto se la sua pericolosità sociale è ritenuta ancora attuale. L’esecuzione della misura è semplicemente differita alla fine della pena detentiva. Rimane comunque salva la possibilità per il soggetto di chiedere in futuro la revoca della misura, qualora il percorso rieducativo in carcere abbia avuto un’incidenza positiva sulla sua personalità, facendo venir meno la sua pericolosità.

Una misura di prevenzione come la sorveglianza speciale può essere applicata a una persona che si trova già in carcere?
Sì. La Corte di Cassazione ha chiarito che la fase in cui si decide di applicare la misura è distinta da quella della sua esecuzione. Pertanto, la misura può essere validamente disposta durante la detenzione, ma la sua applicazione pratica inizierà solo dopo la scarcerazione del soggetto.

Come si valuta l’attualità della pericolosità sociale se è passato del tempo dall’ultimo reato?
Il giudice deve effettuare una valutazione concreta caso per caso. Il solo decorso del tempo, specialmente se trascorso in stato di detenzione, non è sufficiente a escludere la persistenza della pericolosità. Vengono considerati anche altri elementi, come la condotta tenuta in carcere, per stabilire se l’inclinazione a delinquere del soggetto sia ancora presente.

Il giudizio di prevenzione è autonomo rispetto al processo penale?
Sì. Il giudice della prevenzione ha il potere di valutare in modo autonomo gli elementi a disposizione, inclusi i fatti che sono stati oggetto di un procedimento penale. Può quindi giungere a un giudizio di pericolosità sociale anche basandosi su elementi che in sede penale non hanno portato a una condanna, formulando una valutazione finalizzata a prevenire futuri reati.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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