Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 11747 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 11747 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 21/11/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a CATANIA il 20/04/1981
avverso il decreto del 17/06/2024 della CORTE APPELLO di CATANIA
udita la relazione svolta dal Consigliere COGNOME lette/sentite le conclusioni del PG
udito il difensore
IN FATTO E IN DIRITTO
Con il decreto di cui in epigrafe la corte di appello di Catania confermava il decreto con cui il tribunale di Catania, sezione misure di prevenzione, in data 22.11.2023, aveva applicato a Papa Giovanni la misura di prevenzione personale della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza, con obbligo di soggiorno nel comune di Misterbianco per la durata di anni tre.
Avverso il decreto della corte territoriale, di cui chiede l’annullamento, ha proposto tempestivo ricorso per cassazione il Papa, lamentando, con un unico motivo di ricorso, violazione di legge e vizio di motivazione, in relazione al presupposto della attualità della pericolosità sociale, la cui sussistenza è stata ritenuta dai giudici di merito sulla base di reati lontani nel tempo, enfatizzando, in particolare, un reato avvenuto all’interno del carcere ove il ricorrente, detenuto da otto anni, ha avuto delle liti, dalle quali sono poi scaturiti un procedimento disciplinare e un procedimento penale in corso, senza tacere la contraddizione in cui è incorsa la corte territoriale nel ribadire che nel periodo trascorso in libertà, vale a dire dal momento della scarcerazione avvenuta nel luglio 2021, il ricorrente abbia GLYPH “apparentemente osservato la misura di prevenzione”, non fornendo nessun elemento contrario se non mere illazioni.
Inoltre, rileva il ricorrente, l’intero quadro probatorio si fonda su mere congetture, inaccettabili, sia sul piano logico, che fattuale, in quanto non riferite a specifici e ben individuati fatti, mentre la mancanza attuale di un’attività lavorativa, peraltro derivante proprio dalla difficoltà di trovare lavoro per un soggetto sottoposto a misura di prevenzione, come indice di pericolosità sociale, nonché indicatore unico per escludere un mutamento in melius nello stile di vita, appare un argomento non convincente e ultroneo, abitando il Papa con la madre titolare di ben due affitti, derivanti da botteghe di sua proprietà.
Con requisitoria scritta del 21.10.2024 il sostituto procuratore generale della Repubblica presso la Corte di Cassazione, dott. NOME COGNOME chiede che il ricorso venga dichiarato inammissibile.
4. Il ricorso va dichiarato inammissibile.
Al riguardo vanno ribaditi i principi affermati dal consolidato orientamento della giurisprudenza del Supremo Collegio, secondo cui in materia di misure di prevenzione il ricorso per cassazione può essere proposto soltanto per violazione di legge, in cui sono compresi i vizi di mancanza della motivazione e di motivazione apparente, sicché è inammissibile il ricorso con cui vengano denunciati i vizi di contraddittorietà o di illogicità manifesta della motivazione ovvero diretto a far valere vizi che non rendano la motivazione del tutto carente e priva dei requisiti minimi di coerenza e di logicità tale da risultare meramente apparente (cfr., ex plurimis, Cass., sez. I, 17.1/2011, n. 5838; Cass., sez. I, 12.1.2011, n. 5117; Cass., sez. I, 10.12.2010, n. 580).
Tale orientamento ha ricevuto l’avallo delle Sezioni Unite di questa Corte, che, in un importante arresto, hanno affermato il principio secondo cui nel procedimento di prevenzione il ricorso per cassazione è ammesso soltanto per violazione di legge, secondo il disposto dell’art. 4 legge 27 dicembre 1956, n. 1423, richiamato dall’art. 3 ter, secondo comma, legge 31 maggio 1965, n. 575; ne consegue che, in tema di sindacato sulla motivazione, è esclusa dal novero dei vizi deducibili in sede di legittimità l’ipotesi dell’illogicità manifesta di cui all’art. 606, lett. e), c.p.p., potendosi esclusivamente denunciare con il ricorso, poiché qualificabile come violazione dell’obbligo di provvedere con decreto motivato imposto al giudice d’appello dal nono comma del predetto art. 4 legge n.1423 del 56, il caso di motivazione inesistente o meramente apparente. In motivazione, peraltro, il Supremo Collegio ha ribadito che non può essere proposta come vizio di motivazione mancante o apparente la deduzione di sottovalutazione di argomenti difensivi che, in realtà, siano stati presi in considerazione dal giudice o comunque risultino assorbiti dalle argomentazioni poste a fondamento del provvedimento impugnato (cfr. Cass, sez. U., 29.5.2014, n. 33451, rv. 260246, nonché, in senso conforme, Cass., Sez. 1, n. 6636 del 07/01/2016, Rv. 266365).
In questa prospettiva, si è, inoltre, opportunamente chiarito che, essendo ammesso nel procedimento di prevenzione il ricorso per cassazione solo per violazione di legge, il vizio di travisamento della prova per omissione ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen. è estraneo al procedimento di legittimità, a meno che il travisamento non abbia investito plurime circostanze decisive totalmente ignorate ovvero ricostruite dai giudici di merito in modo talmente erroneo da trasfondersi in una motivazione apparente o inesistente, riconducibile alla violazione di legge (cfr. Cass., Sez. 2, n. 20968 del 06/07/2020, Rv. 279435). Orbene, la corte di appello di Catania, lungi dall’adottare una motivazione inesistente o apparente, ha puntualmente disatteso le singole doglianze difensive, sottolineando, con approfondita ed articolata motivazione, che: 1) la pericolosità sociale del prevenuto, che affonda le sue radici nel suo organico inserimento in un’articolazione territoriale dell’organizzazione a delinquere di stampo mafioso, nota come “Cosa Nostra”, nonostante il periodo di detenzione subìto, nel corso del quale, peraltro, egli si è reso responsabile di comportamenti oltraggiosi e intemperanti, non può ritenersi venuta meno, per il solo decorso del tempo, in mancanza di concreti elementi dai quali potere fondatamente desumere l’allontanamento del ricorrente dal contesto criminale in cui, per oltre un decennio, i suoi comportamenti delittuosi si sono progressivamente consolidati, affiliandosi al gruppo mafioso operante nel territorio di sua residenza; 2) nel periodo trascorso in libertà a partire dal momento della sua scarcerazione, intervenuta nel luglio del 2021, pur osservando il ricorrente le prescrizioni della sorveglianza speciale (circostanza che, come rileva correttamente il pubblico ministero nella richiamata requisitoria scritta, rappresenta un comportamento obbligatorio per il proposto, costituendo, pertanto, un dato neutro ai fini della preteso affievolimento della pericolosità sociale del Papa, come del resto ritenuto alche dal giudice di appello), non si colgono segni indicativi di una concreta interruzione dei vincoli solidali con il sodalizio mafioso di appartenenza, anche solo avviando o tentando di avviare un diverso e serio percorso di vita, per esempio iscrivendosi a
un Centro per l’impiego o prestando attività di volontariato o lavori socialmente utili ovvero mettendosi alla ricerca di occasioni lavorative, che, osserva la corte territoriale con logico argomentare, di certo non potevano mancare nel comune di Misterbianco, centro di plurime attività commerciali e imprenditoriali; 3) le manifestazioni antisociali e la specifica riluttanza del proposto al rispetto delle regole del quieto vivere sociale in costanza di detenzione e finanche nel 2020, vale a dire in prossimità della sua scarcerazione per fine pena, sono indice della incapacità del Papa di contenere le sue spinte a delinquere e della scarsa incidenza del periodo detentivo come momento di rivisitazione critica del proprio agire, giudizio che trova conferma anche nella nota con cui la Questura di Catania, in data 15.11.2023, non segnalava il venir meno della pericolosità sociale del proposto. Una volta chiarito che non risulta configurabile il vizio di omessa o apparente motivazione, le censure difensive rivelano, in definitiva, la loro vera natura di rilievi sulla motivazione, peraltro generici (non confrontandosi realmente il Papa con le motivazioni del provvedimento impugnato), con cui si propone una lettura degli elementi di fatto, alternativa rispetto a quella dei giudici di merito, in quanto tale non consentita in sede di legittimità.
6. Alla dichiarazione di inammissibilità segue la condanna del ricorrente, ai sensi dell’art. 616 A c.p.p., al pagamento delle spese del procedimento, nonché in favore della cassa delle ammende di una somma a titolo di sanzione pecuniaria, che appare equo fissare in euro 3000,00, tenuto conto della circostanza che l’evidente inammissibilità dei motivi di impugnazione, non consente di ritenere quest’ultimo immune da colpa nella determinazione delle evidenziate ragioni di inammissibilità (cfr. Corte Costituzionale, n. 186 del 13.6.2000).
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di tremila euro in favore della cassa delle ammende.
Così deciso in Roma il 21.11.2024.