Pericolosità Sociale: Quando il Ricorso per le Misure Alternative è Inammissibile
L’accesso alle misure alternative alla detenzione, come la detenzione domiciliare, rappresenta un punto cruciale nel percorso di esecuzione della pena. Tuttavia, la legge prevede dei paletti precisi, tra cui la valutazione della pericolosità sociale del condannato. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha ribadito l’importanza di motivazioni specifiche e concrete per negare tali benefici, dichiarando inammissibile un ricorso che non affrontava adeguatamente le ragioni del diniego.
I Fatti del Caso
Il caso trae origine dal ricorso di un detenuto avverso l’ordinanza del Tribunale di Sorveglianza, che aveva confermato il provvedimento di un magistrato di sorveglianza di diniego della detenzione domiciliare. La decisione del Tribunale si basava su una valutazione negativa della personalità del richiedente, ritenuto ancora socialmente pericoloso.
Gli elementi a sostegno di tale valutazione erano molteplici:
1. Precedenti penali: Il soggetto aveva commesso nuovi e gravi reati anche dopo aver già beneficiato in passato di misure alternative.
2. Condotta recente: Erano stati commessi reati gravi in epoca molto recente.
3. Parere dell’équipe trattamentale: Il gruppo di esperti del carcere, dopo un’osservazione scientifica della sua personalità, aveva espresso parere negativo, ritenendo necessaria la prosecuzione della detenzione in istituto.
Il ricorrente, tramite il suo difensore, ha impugnato l’ordinanza sostenendo una violazione di legge. A suo dire, il Tribunale aveva basato il diniego su un generico pericolo di recidiva e su una valutazione di “meritevolezza” non prevista dalla normativa, la quale richiederebbe invece la prova di una concreta possibilità di fuga o di commissione di nuovi delitti.
La Decisione della Corte di Cassazione
La Settima Sezione Penale della Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile. Secondo i giudici supremi, l’appello presentato era aspecifico, poiché non si confrontava in modo critico e puntuale con la motivazione, approfondita e specifica, dell’ordinanza impugnata.
La Corte ha stabilito che il Tribunale di Sorveglianza non si era limitato a evocare un rischio astratto, ma aveva correttamente applicato la legge, fondando il proprio diniego su elementi concreti che dimostravano una persistente e elevata pericolosità sociale.
Le Motivazioni: Analisi della Pericolosità Sociale
Il cuore della motivazione della Cassazione risiede nella corretta interpretazione dei requisiti ostativi alla concessione delle misure alternative. La legge (in particolare la L. 199/2010) richiede la presenza di «specifiche e motivate ragioni per ritenere che il condannato possa commettere altri delitti».
La Corte ha chiarito che il Tribunale di Sorveglianza ha adempiuto pienamente a questo onere motivazionale, deducendo tali ragioni da un quadro complessivo e concreto:
* La condotta passata del ricorrente, caratterizzata dalla commissione di nuovi reati nonostante precedenti opportunità, è stata considerata un indicatore fattuale e non una valutazione astratta.
* Il parere negativo dell’équipe trattamentale non è stato un elemento accessorio, ma il risultato di un’osservazione scientifica che ha concluso per la necessità di proseguire il trattamento intramurario.
Il ricorso, al contrario, si è limitato a una critica generica, senza smontare punto per punto gli elementi fattuali che il Tribunale aveva posto a fondamento della sua valutazione di pericolosità sociale. Per questo motivo, è stato giudicato inammissibile per la sua aspecificità e per non aver evidenziato alcun reale vizio motivazionale nel provvedimento impugnato.
Conclusioni: Le Implicazioni Pratiche della Pronuncia
Questa ordinanza offre un’importante lezione pratica: per contestare efficacemente un provvedimento che nega una misura alternativa basandosi sulla pericolosità sociale, non è sufficiente appellarsi a principi generali o denunciare una generica violazione di legge. È indispensabile che il ricorso affronti nel dettaglio gli elementi concreti indicati dal giudice (precedenti specifici, valutazioni comportamentali, pareri tecnici) e ne dimostri l’erronea interpretazione o l’insufficienza a sostenere la prognosi negativa.
La decisione riafferma che la valutazione sulla concessione di un beneficio penitenziario non può prescindere da un’analisi rigorosa e individualizzata del percorso del condannato, dove la prova di una persistente inclinazione a delinquere, basata su fatti concreti, costituisce un legittimo ostacolo alla sua concessione.
Perché la Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso?
La Corte ha ritenuto il ricorso inammissibile perché era generico e non contestava in modo specifico le motivazioni dettagliate e approfondite del Tribunale di Sorveglianza, il quale aveva giustificato il diniego della misura alternativa sulla base di elementi concreti.
Quali elementi giustificano il diniego di una misura alternativa per pericolosità sociale?
Secondo la pronuncia, il diniego è giustificato dalla presenza di “specifiche e motivate ragioni” per ritenere che il condannato possa commettere altri reati. Nel caso specifico, tali ragioni erano la commissione di nuovi e gravi delitti in passato (anche dopo aver usufruito di altre misure) e il parere negativo dell’équipe trattamentale del carcere.
Un parere negativo dell’équipe trattamentale è sufficiente a negare la detenzione domiciliare?
Da solo potrebbe non esserlo, ma nel contesto di una valutazione complessiva assume un peso rilevante. La Corte ha confermato che il parere dell’équipe, basato sull’osservazione scientifica della personalità, è un elemento concreto e significativo che, insieme ad altri fattori come la condotta pregressa, può legittimamente fondare un giudizio di persistente pericolosità sociale.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 9072 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 9072 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 20/02/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a REGGIO CALABRIA il 07/07/1982
avverso l’ordinanza del 05/11/2024 del TRIB. SORVEGLIANZA di Reggio Calabria
RITENUTO IN FATTO e CONSIDERATO IN DIRITTO
Rilevato che NOME COGNOME per mezzo del suo difensore avv. NOME COGNOME ha proposto ricorso contro l’ordinanza emessa in data 05 novembre 2024 con cui il Tribunale di sorveglianza di Reggio Calabria ha respinto il reclamo da lui proposto avverso il proVvedimento con cui il magistrato di sorveglianza aveva negato la concessione della detenzione domiciliare, ritenendo correttamente motivato tale diniego, stante la persistente pericolosità sociale dell’istante, alla luce dei delitti commessi anche dopo precedenti concessioni di misure alternative e delle conclusioni negative della équipe trattamentale del carcere;
rilevato che il ricorrente deduce la violazione di legge dell’ordinanza impugnata, avendo il Tribunale di sorveglianza ritenuto sussistente una sua elevata pericolosità sociale solo alla luce delle precedenti condanne riportate e del parere contrario della équipe trattamentale, indicando quindi un generico pericolo di recidivanza, mentre la legge ritiene ostativa alla concessione del beneficio solo la sussistenza di una concreta possibilità di fuga o di commissione di altri delitti, e per avere quindi, di fatto, espresso una valutazione di meritevolezza della misura alternativa, che invece non è prevista dalla legge e non può, quindi, incidere sulla decisione;
ritenuto che il ricorso sia inammissibile perché non si confronta con l’ordinanza, che ha negato la misura alternativa, con motivazione approfondita e specifica, per la sussistenza del requisito ostativo previsto dall’art. 1, comma 2, lett. d), legge n. 199/2010, cioè la presenza di «specifiche e motivate ragioni per ritenere che il condannato possa commettere altri delitti», dedotte dalla condotta da lui tenuta in passato, commettendo nuovi reati anche dopo la concessione di misure alternative, dalla commissione di nuovi e gravi reati in epoca molto recente, e dal parere espresso dalla équipe trattamentale del carcere che, a seguito dell’osservazione scientifica della sua personalità, ha ritenuto necessaria la prosecuzione della detenzione intramuraria;
ritenuto, pertanto, che il ricorso debba essere dichiarato inammissibile, per la sua aspecificità e per non avere evidenziato alcun vizio motivazionale dell’ordinanza impugnata, con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, alla luce della sentenza 13 giugno 2000, n. 186 della Corte costituzionale e in mancanza di elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della
causa di inammissibilità», al versamento di una somma in favore della Cassa delle ammende nella misura che si stima equo determinare in euro 3.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 20 febbraio 2025
Il Consigliere estensore
Il Presidente