Pericolosità Sociale: la Cassazione Conferma il ‘No’ alle Misure Alternative
La valutazione della pericolosità sociale di un condannato è un elemento cruciale nel decidere sulla concessione di misure alternative alla detenzione. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione chiarisce i limiti del sindacato di legittimità su tale valutazione, dichiarando inammissibile un ricorso che tentava di rimettere in discussione il merito delle prove. Analizziamo insieme questa importante decisione.
I Fatti del Caso
Un uomo, condannato a una pena residua di otto mesi di reclusione per un reato previsto dal codice antimafia, presentava istanza al Tribunale di Sorveglianza per ottenere una misura alternativa alla detenzione, come l’affidamento in prova al servizio sociale, la detenzione domiciliare o la semilibertà.
Il Tribunale di Sorveglianza rigettava la richiesta. La decisione si basava su un quadro indiziario che delineava una spiccata pericolosità sociale del soggetto. Nello specifico, i giudici avevano considerato non solo i numerosi pregiudizi penali, ma anche recenti condanne, una nuova ordinanza di custodia cautelare e le informative di polizia che lo segnalavano come persona socialmente pericolosa. Secondo il Tribunale, questi elementi impedivano di formulare un giudizio prognostico favorevole circa il suo reinserimento sociale attraverso una misura alternativa.
Il Ricorso in Cassazione e la Valutazione della Pericolosità Sociale
Contro la decisione del Tribunale di Sorveglianza, il condannato proponeva ricorso per cassazione tramite il suo difensore. La tesi difensiva sosteneva che il provvedimento impugnato non fosse fondato su “fatti e prove certe, sufficienti per poter ritenere il soggetto portatore di pericolosità sociale“. In sostanza, si contestava la valutazione di merito compiuta dal giudice di sorveglianza.
La Corte di Cassazione, tuttavia, ha dichiarato il ricorso inammissibile. Gli Ermellini hanno ribadito un principio fondamentale del nostro ordinamento: il giudizio di legittimità non è una terza istanza di merito. La Corte non può riesaminare le prove e sostituire la propria valutazione a quella del giudice precedente, ma deve limitarsi a verificare la corretta applicazione della legge e la logicità della motivazione.
Le Motivazioni della Decisione
La motivazione dell’inammissibilità si articola su due punti principali.
In primo luogo, la censura mossa dal ricorrente era una mera “doglianza in fatto”. Criticare la sufficienza delle prove per affermare la pericolosità sociale significa chiedere alla Cassazione un nuovo giudizio sul materiale probatorio, un compito che esula dalle sue funzioni.
In secondo luogo, la Corte ha osservato che il ricorso si limitava a riproporre, in modo pedissequo, argomenti già esaminati e motivatamente respinti dal Tribunale di Sorveglianza. Quest’ultimo, con un percorso logico-giuridico corretto e privo di contraddizioni, aveva ampiamente giustificato il proprio convincimento, sottolineando i numerosi precedenti penali e le recenti denunce a carico del condannato. A fronte di questo solido apparato motivazionale, le argomentazioni del ricorrente sono state giudicate assertive e apodittiche, incapaci di scalfire la coerenza logica della decisione impugnata.
Conclusioni
La decisione ribadisce che la valutazione della pericolosità sociale è un giudizio di merito, demandato al Tribunale di Sorveglianza, che deve essere supportato da una motivazione congrua e logica basata su elementi concreti. Un ricorso in Cassazione che non denunci vizi di legittimità (come violazioni di legge o manifesta illogicità della motivazione), ma che si limiti a contestare l’apprezzamento delle prove, è destinato all’inammissibilità. La conseguenza, come in questo caso, è la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria, confermando la definitività del provvedimento che nega l’accesso alle misure alternative.
Per quale motivo è stata negata la misura alternativa in primo grado?
La richiesta è stata respinta dal Tribunale di Sorveglianza perché il soggetto è stato ritenuto socialmente pericoloso, sulla base di numerosi pregiudizi penali, recenti condanne, un’ordinanza di custodia cautelare e informative di polizia.
Perché la Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile?
La Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile perché la contestazione del ricorrente riguardava il merito della valutazione delle prove sulla sua pericolosità sociale, una questione di fatto non riesaminabile in sede di legittimità, dove si giudicano solo le violazioni di legge.
Quali sono state le conseguenze per il ricorrente dopo la decisione della Cassazione?
A seguito della dichiarazione di inammissibilità del ricorso, il ricorrente è stato condannato al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di tremila euro in favore della Cassa delle ammende.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 31718 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 31718 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 20/06/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME NOME a AFRICO il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 27/02/2024 del TRIB. SORVEGLIANZA di REGGIO CALABRIA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Con l’ordinanza indicata in epigrafe, il Tribunale di sorveglianza di Reggio Calabria ha rigettato le richieste di affidamento in prova al servizio sociale, d detenzione domiciliare ex art. 47-ter legge 26 luglio 1975, n. 354 o di semilibertà, presentate da NOME COGNOME, in relazione alla pena residua di mesi otto di reclusione, di cui alla sentenza del 12/08/2020 del Tribunale di Locri, relativa al reato di cui all’art. 75, comma 2 d.lgs. 06 settembre 2011, n. 159, sottolineando trattarsi di soggetto attinto anche da recenti condanne, oltre che colpito da recente ordinanza di custodia cautelare e che le informative di polizia acquisite segnalano come persona socialmente pericolosa.
Ricorre per cassazione NOME COGNOME, a mezzo del difensore AVV_NOTAIO, deducendo come l’avversato provvedimento non sia sostenuto da “fatti e prove certe, sufficienti per poter ritenere il soggetto portatore pericolosità sociale”.
Trattasi di censura non consentita in sede di legittimità, in quanto costituita da mera doglianza versata in fatto.
La critica difensiva, altresì, è pedissequamente riproduttiva di profili di censura già adeguatamente vagliati e disattesi – secondo un corretto argomentare giuridico, del tutto privo di spunti di illogicità e contraddittorietà – dal Tribuna sorveglianza di Reggio Calabria. Invero, nell’impugNOME provvedimento si sottolinea come il condanNOME non sia meritevole di alcuna delle misure invocate, in considerazione anzitutto dei numerosi pregiudizi annoverati; viene anche evidenziato come COGNOME sia stato raggiunto da ulteriori denunce, anche in tempi recenti.
L’impugnazione – a fronte di tale apparato motivazionale – spende unicamente argomenti assertivi e apodittici, non atti a scalfire la tenuta logica dell’impugnata ordinanza.
Alla luce delle considerazioni che precedono, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e – non ricorrendo ipotesi di esonero – al versamento di una somma alla Cassa delle ammende, determinabile in tremila euro, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 20 giugno 2024.