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Pericolosità sociale: ricorso inammissibile

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un condannato contro il diniego di misure alternative. La decisione si fonda sulla corretta valutazione della sua pericolosità sociale da parte del Tribunale di Sorveglianza, basata su precedenti penali, mancate collaborazioni e dichiarazioni non veritiere, elementi che impediscono un giudizio favorevole sulla rieducazione.

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Pubblicato il 10 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Pericolosità Sociale: Quando Blocca le Misure Alternative

L’ordinanza in esame della Corte di Cassazione offre un’importante lezione sul concetto di pericolosità sociale e sul suo impatto nella concessione di misure alternative alla detenzione come l’affidamento in prova e la detenzione domiciliare. La Suprema Corte ha confermato la decisione del Tribunale di Sorveglianza, che aveva negato tali benefici a un condannato, ritenendo la sua richiesta infondata alla luce di una valutazione complessiva del suo profilo e comportamento.

I Fatti del Caso

Un uomo, condannato in via definitiva, presentava istanza al Tribunale di Sorveglianza per ottenere l’affidamento in prova al servizio sociale o, in subordine, la detenzione domiciliare. Il Tribunale rigettava entrambe le richieste, motivando la decisione sulla base di un giudizio di persistente pericolosità sociale del soggetto.

La Decisione del Tribunale di Sorveglianza

Il provvedimento del Tribunale di Sorveglianza si fondava su una serie di elementi negativi, attentamente ponderati:
1. Precedenti penali: Nonostante fossero risalenti nel tempo, le plurime condanne a carico del soggetto costituivano un primo campanello d’allarme.
2. Segnalazioni e Misure di Prevenzione: A carico dell’uomo risultavano diverse segnalazioni e l’emissione di un foglio di via obbligatorio con divieto di ritorno, indice di una personalità incline a infrangere le regole.
3. Mancata Collaborazione: Un recente periodo della vita del condannato, trascorso all’estero, non era stato possibile ricostruirlo. Questa lacuna informativa era stata aggravata dalla sua scarsa collaborazione, un atteggiamento che il Tribunale ha interpretato come un fattore di rischio anziché un elemento neutro.
4. Dichiarazioni non Veritiere: Durante il procedimento, il condannato aveva fornito dichiarazioni false riguardo al proprio domicilio, ostacolando di fatto l’attività istruttoria del servizio sociale, che è fondamentale per preparare un programma di reinserimento.

Sulla base di questo quadro complessivo, il Tribunale ha concluso che non vi fossero elementi rassicuranti tali da ritenere scemata la pericolosità sociale del soggetto e, di conseguenza, ha respinto le richieste.

L’analisi della Cassazione e la valutazione della pericolosità sociale

Il condannato ha proposto ricorso in Cassazione, lamentando una violazione di legge e una motivazione illogica da parte del Tribunale. Tuttavia, la Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, sposando in pieno la linea argomentativa del giudice di sorveglianza.

Le motivazioni

La Corte di Cassazione ha chiarito un principio fondamentale: il ricorso per cassazione non può trasformarsi in un terzo grado di giudizio sul merito. Il ricorrente, infatti, non aveva evidenziato reali vizi di legge o illogicità manifeste, ma si era limitato a contestare l’interpretazione degli elementi di fatto già compiutamente e logicamente valutati dal Tribunale.

La motivazione del Tribunale è stata giudicata ‘congrua e logicamente argomentata’. Il giudice di sorveglianza ha correttamente messo in relazione i precedenti penali, la mancanza di collaborazione e le dichiarazioni mendaci, costruendo un quadro coerente di pericolosità sociale attuale. La condotta processuale del condannato, in particolare, è stata vista come un sintomo della sua inaffidabilità e della sua scarsa adesione a un percorso di legalità, elementi che minano alla base la fiducia necessaria per la concessione di una misura alternativa.

Le conclusioni

Questa ordinanza ribadisce che la valutazione della pericolosità sociale è un giudizio complesso che non si limita a considerare la gravità del reato commesso, ma si estende all’intera personalità del condannato, al suo percorso di vita e al suo comportamento anche dopo la condanna. La mancanza di collaborazione e la non veridicità delle dichiarazioni rese durante il procedimento di sorveglianza sono elementi che possono legittimamente essere interpretati come indicatori di una persistente pericolosità, sufficienti a giustificare il diniego di misure alternative, il cui scopo primario è il reinserimento sociale di soggetti che dimostrino di voler intraprendere un percorso di cambiamento.

Perché il Tribunale di Sorveglianza ha negato le misure alternative al condannato?
Il Tribunale ha negato le misure perché ha ritenuto che il condannato presentasse ancora una significativa pericolosità sociale, basandosi sui suoi precedenti penali, su un foglio di via obbligatorio, sulla sua mancata collaborazione nel ricostruire il suo recente passato e sulle dichiarazioni non veritiere fornite riguardo al suo domicilio.

Quali elementi sono cruciali nella valutazione della pericolosità sociale?
La valutazione si basa su un’analisi complessiva della personalità del soggetto. Nel caso specifico, sono stati determinanti le plurime condanne, le segnalazioni a carico, l’atteggiamento non collaborativo e la condotta mendace tenuta durante il procedimento, che hanno impedito di formulare un giudizio positivo sulla sua affidabilità.

Per quale motivo la Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché non contestava una violazione di legge o un’illogicità manifesta della motivazione, ma si limitava a criticare la valutazione dei fatti già compiuta dal Tribunale. La Cassazione non può riesaminare il merito delle prove, ma solo verificare la correttezza giuridica e la logicità del ragionamento del giudice precedente, che in questo caso sono state ritenute impeccabili.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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