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Pericolosità sociale: requisiti per la sorveglianza

La Corte di Cassazione annulla una misura di sorveglianza speciale, chiarendo i requisiti per la valutazione della pericolosità sociale. La sentenza sottolinea che la motivazione del giudice deve essere concreta e non apparente, basandosi su prove fattuali che dimostrino l’abitualità dei reati e come questi costituiscano una fonte di reddito significativa per il soggetto. Un’analisi superficiale del patrimonio, che ignora elementi come un mutuo bancario per l’acquisto di un immobile, rende il provvedimento illegittimo.

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Pubblicato il 10 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Pericolosità Sociale: la Cassazione esige prove concrete, non sospetti

L’applicazione di una misura di prevenzione come la sorveglianza speciale rappresenta una significativa limitazione della libertà personale. Per questo, la legge richiede che la valutazione sulla pericolosità sociale di un individuo sia ancorata a elementi di fatto solidi e a una motivazione rigorosa. Una recente sentenza della Corte di Cassazione ribadisce questo principio fondamentale, annullando un provvedimento basato su una motivazione definita ‘apparente’, perché incapace di dimostrare concretamente che il soggetto vivesse, anche solo in parte, con i proventi di attività illecite.

I Fatti del Caso

La vicenda processuale riguarda un uomo a cui la Corte d’Appello aveva applicato la misura della sorveglianza speciale con obbligo di soggiorno nel comune di residenza per due anni. La decisione si fondava sulla presunta pericolosità sociale del soggetto, ritenuto dedito abitualmente a commettere reati dai quali traeva sostentamento.

Tuttavia, questo non era il primo passaggio del caso davanti ai giudici. Già in una precedente occasione, la Corte di Cassazione aveva annullato un’analoga decisione, rilevando una ‘mera apparenza di motivazione’. La Corte d’Appello, chiamata a riesaminare il caso, aveva nuovamente applicato la misura, basando la propria valutazione su una condanna definitiva per reati commessi nel 2022 e sulla presunta sproporzione tra il patrimonio dell’uomo (in particolare un appartamento) e i suoi redditi dichiarati.

Contro questa nuova decisione, la difesa ha proposto ricorso in Cassazione, lamentando ancora una volta l’assenza di una motivazione adeguata a sostenere un giudizio di pericolosità sociale così grave.

La Pericolosità Sociale e i requisiti probatori

Il cuore della questione giuridica risiede nell’interpretazione dell’art. 1, lettera b), del D.Lgs. 159/2011 (il Codice Antimafia). Questa norma definisce socialmente pericolosi ‘coloro che per la condotta ed il tenore di vita debba ritenersi, sulla base di elementi di fatto, che vivono abitualmente, anche in parte, con i proventi di attività delittuose’.

La Corte di Cassazione, richiamando anche una precedente sentenza della Corte Costituzionale (n. 24/2019), ha chiarito che per applicare una misura di prevenzione su questa base occorre un triplice requisito, ancorato a precisi ‘elementi di fatto’:

1. Abitualità: Deve trattarsi di delitti commessi abitualmente dal soggetto in un arco temporale significativo.
2. Profitto: Tali delitti devono aver effettivamente generato profitti per il soggetto.
3. Sostentamento: I profitti illeciti devono costituire, almeno in parte, una componente significativa del suo reddito.

Il giudice non può basarsi su semplici sospetti o congetture, ma deve esporre in modo chiaro e logico gli elementi fattuali che provano la sussistenza di queste tre condizioni.

Le Motivazioni della Cassazione

Nel caso in esame, la Suprema Corte ha ritenuto che la Corte d’Appello non abbia fatto buon governo di questi principi, redigendo una motivazione meramente ‘apparente’. In primo luogo, il giudizio di abitualità era stato fondato su una sola condanna definitiva, senza menzionare i precedenti penali che avrebbero permesso di valutare la reale costanza nel commettere reati. La semplice menzione della ‘recidiva’ non è sufficiente se non viene contestualizzata.

In secondo luogo, e in modo ancora più decisivo, l’analisi patrimoniale è risultata superficiale e illogica. La Corte d’Appello aveva dedotto la provenienza illecita delle risorse per l’acquisto di un appartamento senza nemmeno indicare l’ammontare dei redditi dichiarati dal soggetto, rendendo impossibile qualsiasi confronto. Ancora più grave, il provvedimento non si era confrontato adeguatamente con un fatto decisivo allegato dalla difesa: l’80% del prezzo dell’immobile era stato pagato attraverso un mutuo bancario. I giudici si erano limitati a riportare questo dato senza analizzarlo, ad esempio verificando le garanzie prestate per ottenere il finanziamento, che avrebbero potuto spiegare la legittimità dell’operazione.

Di conseguenza, la motivazione è stata giudicata apparente perché non ha ancorato il giudizio di pericolosità sociale a specifici elementi di fatto, né ha dimostrato che i reati commessi avessero generato profitti tali da costituire una fonte di reddito rilevante per l’imputato.

Conclusioni

La sentenza riafferma un principio di garanzia fondamentale: le misure di prevenzione, incidendo profondamente sui diritti fondamentali della persona, richiedono un onere probatorio rigoroso a carico dell’accusa e una valutazione giudiziaria completa e logica. Una motivazione è ‘apparente’ non solo quando manca, ma anche quando elude l’analisi di elementi fattuali decisivi o si basa su affermazioni generiche e non verificate. Il giudice deve confrontarsi con tutte le prove, incluse quelle fornite dalla difesa, e non può desumere la pericolosità sociale da indizi vaghi o da una valutazione parziale della situazione economica e patrimoniale del proposto. La Corte ha quindi annullato la decisione e rinviato il caso alla Corte d’Appello per un nuovo giudizio, che dovrà essere condotto da un diverso collegio e nel rispetto dei principi enunciati.

Quando una motivazione è considerata ‘apparente’ in un provvedimento di prevenzione?
Una motivazione è ‘apparente’ quando, pur essendo formalmente presente, è talmente generica, contraddittoria, illogica o omette di confrontarsi con elementi decisivi da risultare inesistente nei fatti. In pratica, non consente di comprendere il percorso logico-giuridico seguito dal giudice per arrivare alla sua decisione.

Quali elementi concreti deve provare un giudice per applicare la sorveglianza speciale per pericolosità sociale basata sul vivere di proventi illeciti?
Il giudice deve provare, sulla base di elementi di fatto, tre requisiti: 1) che il soggetto commetta abitualmente delitti in un arco temporale significativo; 2) che tali delitti abbiano generato profitti effettivi; 3) che questi profitti costituiscano una fonte di reddito unica o comunque significativa per il sostentamento del soggetto.

È sufficiente una sola condanna recente per dimostrare l’abitualità a commettere reati ai fini della pericolosità sociale?
No. Secondo la sentenza, basare il giudizio di abitualità su una sola condanna, senza menzionare e analizzare i precedenti penali nel loro complesso, non consente di apprezzare l’effettiva abitualità dei reati e rende la motivazione carente e apparente.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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