Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 2141 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 2141 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 08/11/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a NOME il 20/04/1990
awerso l’ordinanza del 27/05/2024 della CORTE APPELLO di BARI
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
letta la requisitoria del Pubblico ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo l’annullamento con rinvio dell’ordinanza impugnata, limitatamente alla mancanza di motivazione circa i presupposti di applicabilità della misura della sorveglianza speciale previsti dall’art. 1, lett. b), d.lgs. 159/11, con rinvio alla Corte di appello di Bari per nuovo giudizio.
RITENUTO IN FATTO
1. Con decreto depositato in data 9 dicembre 2022, la Corte di appello di Bari, in accoglimento dell’appello proposto dal Pubblico ministero avverso il decreto n. 273/21 emesso dal Tribunale di Bari in data 15 dicembre 2021, aveva applicato, nei confronti di NOME COGNOME, la misura di prevenzione della sorveglianza speciale con obbligo di soggiorno nel comune di residenza per la durata di 2 anni, fondando a carico del proposto un giudizio di pericolosità ai sensi dell’art. 1, lett. b) e c), d.lgs. n. 159 del 2011, avendo ritenuto che egli vivesse, almeno in parte, dei proventi di attività delittuose e che fosse attualmente dedito alla commissione di reati che offendono o mettono in pericolo la sicurezza o la tranquillità pubblica. A tal fine, erano state valorizzate: la condanna, irrevocabile, per un tentato furto, commesso 1’11 maggio 2010; la condanna, non definitiva, per il delitto previsto dall’art. 74, d.P.R. n. 309 del 1990, commesso con permanenza sino al 31 luglio 2013; le condanne, non definitive, per i reati di resistenza a pubblico ufficiale e di ricettazione, accertati il 25 ottobre 2016; la sottoposizione a indagini per i delitt di ricettazione e furto, commessi tra il 9 gennaio e il 1° settembre 2020.
1.1. Con sentenza n. 29996 in data 9 giugno 2023, la Prima Sezione della Corte di cassazione annullò con rinvio il predetto provvedimento, rilevando la mera apparenza di motivazione del giudizio sulla pericolosità del proposto, essendo stata la pericolosità di cui alla lett. b) fondata su condanne e indagini in corso per reati contro il patrimonio, ma senza che fosse indicato alcun elemento che consentisse di apprezzare il conseguimento di un profitto patrimoniale e la correlata idoneità a costituire fonte di sostentamento per il proposto, mentre, quanto alla lett. c), era stata valorizzata una condanna, non definitiva, per violazioni alla legge sugli stupefacenti, senza però allegare circostanze di fatto significative di una condotta assidua di spaccio di droga. Quanto, poi, al requisito dell’attualità, nulla potevano significare condotte risalenti a 5 anni prima, come il mero dato dell’apertura di una indagine, non ancora approdata nemmeno al giudizio di primo grado, senza alcuna indicazione di elementi che consentissero di apprezzarne il fumus e la rilevanza patrimoniale del fatto. E ciò tanto più considerando che la Difesa del proposto ne aveva allegato l’inserimento nel mondo del lavoro sin dal 2017 e l’assunzione di responsabilità familiari: dati che avrebbero dovuto essere valutati nel giudizio sul suo profilo soggettivo.
1.2. Con decreto in data 27 maggio 2024, la Corte di appello di Bari, in sede di rinvio, accolse nuovamente l’appello del Pubblico ministero, stavolta inquadrando NOME COGNOME nella sola categoria di pericolosità sociale di cui alla lett. b) dell’art. 1, d.lgs. n. 159 del 2011 e confermando la misura di prevenzione della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza con obbligo di soggiorno nel comune di residenza per la durata di 2 anni. Secondo il Collegio, dal casellario
giudiziario risultava che COGNOME era stato condannato con sentenza del 27 giugno 2023, irrevocabile il 10 novembre 2023, per i reati di ricettazione, installazione di apparecchiature atte a intercettare, intercettazione di comunicazioni, possesso ingiustificato di chiavi alterate, commessi in Corato il 15 novembre 2022, con la recidiva specifica infra-quinquennale. Con tale sentenza era stato accertato che egli, in concorso con altro soggetto rimasto ignoto, aveva tentato il furto di una vettura, dandosi alla fuga con un’auto rubata e venendo trovato, al momento dell’arresto, il possesso di 30 chiavi di autovetture di varie marche e modelli, 11 congegni elettronici per decodificare centraline di autovetture, 9 centraline di autovetture di varie marche e modelli, un kit completo di avviamento per Audi Q2, vari morsetti per prese USB di varie autovetture, 4 chiavi per apertura dei quadri elettrici, vari strumenti da scasso tra cui cacciavite, pinze, tenaglie, piede di porco, flex a batteria con relativi dischetti, trapano a batteria, crick idraulico, varie chiavi per bulloni, un rompi vetro, un taglierino, un’asta in ferro, un tubo innocenti, un’asta reggi-cofano, un estrattore artigianale, nonché un jammer. Tali elementi hanno indotto la Corte territoriale a ritenere la professionalità e abitualità nel furt di automobili. Inoltre, il fatto che l’imputato e il coniuge fossero proprietari, dal marzo 2020, di un appartamento con annesso box in Andria e che i redditi dichiarati risultassero insufficienti all’acquisto di un immobile il cui prezzo medio di vendita, secondo le rilevazioni dell’Agenzia delle entrate, ammontava a 1.254,00 euro al metro quadrato hanno indotto la Corte di appello a ritenere che COGNOME e il suo nucleo familiare vivessero, in parte, grazie ai proventi di attivit delittuose. Tanto più che, con nota del 17 maggio 2024 la Guardia di Finanzia ha posto in dubbio l’autenticità del rapporto di lavoro intercorso, dal 4 febbraio 2015 al 31 dicembre 2023, tra COGNOME e NOME Policastro, soggetto con moltissimi precedenti penali, posto che in occasione di nessuno dei tre appostamenti svolti egli era stato notato recarsi sul luogo di lavoro. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
COGNOME ha proposto ricorso per cassazione avverso il predetto provvedimento per mezzo del difensore di fiducia, avv. NOME COGNOME deducendo due distinti motivi di impugnazione, di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
2.1. Con il primo motivo, il ricorso lamenta, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen., la inosservanza o erronea applicazione degli artt. 4, comma 1, lett. c) e 1, comma 1, lett. b), d.lgs. n. 159 del 2011 per assenza di motivazione in ordine alla sussistenza dei requisiti di pericolosità sociale previsti dalla lett. b) dell’art. 1, d.lgs. n. 159 del 2011.
Secondo la difesa, la Corte di appello non avrebbe assolto l’onere probatorio in relazione alla predetta categoria di pericolosità sociale, posto che la posizione reddituale e patrimoniale di COGNOME sarebbe stata individuata sulla base di una
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lettura fuorviante delle visure effettuate presso l’Agenzia delle entrate. Infatti, l Corte ometterebbe di considerare che, come indicato nell’atto di vendita dell’immobile, si tratterebbe di un unico fabbricato con immobile a uso abitativo, lastrico solare e pertinenza a uso deposito di autoveicoli, di complessiva metratura effettiva di 119 mq. Del pari, con riferimento al prezzo di acquisto dell’immobile, la stima effettuata dall’Agenzia delle entrate non terrebbe conto né della specificità dell’immobile, né della zona in cui esso era stato acquistato, né della libera autonomia delle parti, le quali avrebbero convenuto un prezzo inferiore per l’immobile, stabilendo il pagamento di una somma a titolo di anticipo, pari a 15.000,00 euro, compatibile con investimenti e movimentazioni rilevabili dall’estratto del conto corrente bancario di Leonetti, con il successivo versamento della restante parte avvenuto grazie alla stipula di un contratto di mutuo trentennale con Intesa Sanpaolo S.p.A. Pertanto, totalmente infondate sarebbero le valutazioni compiute circa la sproporzione del patrimonio di COGNOME, tale da ritenere che egli viva, almeno in parte, dei proventi di attività delittuose.
Analogamente, con riferimento all’attività lavorativa, essa sarebbe stata ritenuta non veritiera sulla base dei precedenti del datore di lavoro, laddove già nel procedimento di prevenzione dinanzi al Tribunale di Bari era stata allegata documentazione comprovante il fatto che costui prestava attività lavorativa come agricoltore, percependo, nei periodi in cui non era assunto, un sussidio di disoccupazione agricola (v. cassetto previdenziale INPS del proposto).
2.2. Con il secondo motivo, il ricorso censura, ex art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen., la inosservanza o erronea applicazione degli artt. 6, comma 3, 8, commi 4 e 5, d.lgs. n. 159 del 2011 in relazione alla mancanza di motivazione circa l’applicazione dell’obbligo di soggiorno nel comune di residenza, disposto nonostante lo specifico motivo di ricorso formulato nel giudizio precedente alla sentenza rescindente, rimasto assorbito per l’accoglimento del primo motivo. Dopo avere premesso che COGNOME espleta, ormai da anni, l’attività di operaio agricolo qualificato, necessitando di raggiungere le campagne andriesi e l’intero territorio della BAT, il ricorso lamenta che, con motivazione del tutto apparente, il decreto vieti di usare telefoni cellulari e strumenti idonei alla conversazione. La giurisprudenza di legittimità, muovendo da una lettura costituzionalmente e convenzionalmente orientata dell’art. 8, d.lgs. n. 159 del 2011, riterrebbe però che non possa presumersi che il possesso e l’uso di tali apparecchi pregiudichi necessariamente le esigenze di difesa sociale, rendendosi necessario una verifica, caso per caso e in funzione delle obbiettive esigenze di controllo del proposto. Ciò che dal decreto non sarebbe dato evincere, mancando graficamente la giustificazione della relativa prescrizione.
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In data 23 ottobre 2024 è pervenuta in Cancelleria la requisitoria scritta del Procuratore generale presso questa Corte, con la quale è stato chiesto l’annullamento del provvedimento impugnato limitatamente alla mancanza di motivazione circa i presupposti di applicabilità della misura previsti dall’art. 1, let b), d.lgs. n. 159 del 2011, con rinvio alla Corte di appello di Bari per nuovo giudizio.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è fondato nei termini di seguito indicati.
Va premesso che, nel procedimento di prevenzione, il ricorso per cassazione è ammesso soltanto per violazione di legge, come stabilito dall’art. 10, comma 3, d.lgs. n. 159 del 2011.
Tale disposizione recepisce quanto già previsto dall’art. 4, legge 27 dicembre 1956, n. 1423, richiamato dall’art. 3-ter, secondo comma, legge 31 maggio 1965, n. 575. Ne consegue che il sindacato sulla motivazione è deducibile in sede di legittimità esclusivamente quando sia fatta valere la motivazione inesistente o meramente apparente (Sez. U., n. 33451 del 29/05/2014, Repaci, Rv. 260246 01). Come chiarito dalla giurisprudenza successiva, in tale nozione va riconnpreso il caso in cui il decreto ometta del tutto di confrontarsi con un elemento potenzialmente decisivo, nel senso che, singolarmente considerato, esso potrebbe determinare un esito opposto del giudizio (Sez. 6, n. 21525 del 18/06/2020, COGNOME, Rv. 279284 – 01).
Tanto premesso e muovendo, secondo l’ordine logico, dal primo motivo di ricorso, va ricordato che la lett. b) dell’art. 1, d.lgs. n. 159 del 2011 concerne «coloro che per la condotta ed il tenore di vita debba ritenersi, sulla base di elementi di fatto, che vivono abitualmente, anche in parte, con i proventi di attività delittuose».
Secondo quanto affermato dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 24 del 2019, tale disposizione, a differenza di quella contenuta nella lett. a) del medesimo articolo, deve ritenersi costituzionalmente legittima in quanto idonea a soddisfare l’esigenza di individuare i «tipi di comportamento» (types of behaviour) assunti a presupposto della misura di prevenzione, potendo le «categorie di delitto» individuate a presupposto di essa trovare concretizzazione in virtù di un triplice requisito, che deve essere ancorato a precisi «elementi di fatto», di cui si deve dare conto in motivazione. In particolare: a) deve trattarsi di delitti commessi abitualmente (e, dunque, in un significativo arco temporale) dal soggetto, b) che abbiano effettivamente generato profitti in capo a costui, c) i quali, a loro volta, costituiscano – o abbiano costituito in una determinata epoca – l’unico reddito del
soggetto, o quanto meno una componente significativa di tale reddito. E su tali coordinate ermeneutiche si è assestata la successiva giurisprudenza di legittimità (Sez. 5, n. 182 del 30/11/2020, dep. 2021, COGNOME, Rv. 280145 – 03; Sez. 2, n. 27263 del 16/04/2019, COGNOME, Rv. 275827 – 01; Sez. 6, n. 21513 del 9/04/2019, COGNOME, Rv. 275737 – 01; Sez. 1, n. 27696 del 1/04/2019, RAGIONE_SOCIALE, Rv. 275888 – 01).
3. La Corte territoriale non ha fatto buon governo di tali principi.
Invero, nella motivazione dell’impugnato decreto si fa riferimento a una sola condanna, passata in giudicato, per i reati di ricettazione, installazione di apparecchiature atte a intercettare e possesso di chiavi alterate commessi nel 2022; e pur soggiungendosi che, con la relativa sentenza, era stata riconosciuta la recidiva specifica e infraquinquennale, il decreto non contiene alcuna menzione dei precedenti in questione, non consentendo la motivazione, dunque, di apprezzare la effettiva abitualità dei reati da cui il proposto avrebbe tratto illeci proventi.
Inoltre, si assume che l’acquisto dell’appartamento destinato ad abitazione, con annesso garage, in comproprietà con la moglie, non possa giustificarsi alla luce dei redditi dichiarati dal proposto, senza che però la Corte territoriale ne abbia richiamato il relativo importo. Né il provvedimento si confronta con la circostanza che l’80% del prezzo dell’immobile sarebbe stato saldato grazie a un mutuo bancario, limitandosi a riportare il relativo dato, ma senza ulteriormente argomentare, anche in relazione alle eventuali garanzie prestate al fine di ottenere il prestito.
Ne consegue che la motivazione adottata dalla Corte territoriale presenta, a parere di questo Collegio, il carattere dell’apparenza, non avendo essa ancorato il giudizio di abitualità nella commissione dei reati a specifici elementi di fatto, né emergendo specifiche circostanze in ordine al fatto che i reati commessi dal proposto abbiano generato profitti in capo al medesimo, i quali, a loro volta, abbiano costituito una rilevante fonte di reddito per Leonetti.
Dall’accoglimento del primo motivo deriva che il secondo motivo deve ritenersi assorbito ma non precluso, restando, dunque, salva la possibilità di riproporre la relativa questione in sede di merito.
Alla luce delle considerazioni che precedono, il ricorso deve essere accolto limitatamente alla mancanza di motivazione circa i presupposti di applicabilità della misura previsti dall’art. 1, lett. b) , d.lgs. n. 159 del 2011, sicché il provvedimento impugnato deve essere annullato, con rinvio, per nuovo giudizio, alla stessa Sezione della Corte di appello di Bari ai sensi dell’art. 623, comma 1,
lett. a), cod. proc. pen., la quale giudicherà in diversa composizione collegiale, per l’incompatibilità, ex art. 34 cod. proc. pen., dei giudici che si sono già pronunciati sulla questione (Sez. 5, n. 19426 del 20/04/2021, COGNOME, Rv. 281253 – 01).
PER QUESTI MOTIVI
Annulla il provvedimento impugnato con rinvio per nuovo giudizio alla Corte di appello di Bari.
Così deciso in data 8 novembre 2024
Il Consigliere estensore