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Pericolosità sociale: quando studio e lavoro non bastano

Un soggetto sottoposto a sorveglianza speciale per presunti legami mafiosi ha contestato la sua attuale pericolosità sociale, evidenziando il suo percorso di studi e reinserimento. La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, stabilendo che tali elementi positivi non bastano a superare solidi indizi di un ruolo centrale ancora attivo in un’organizzazione criminale. La valutazione della pericolosità sociale deve essere complessiva e l’attualità del pericolo è stata ritenuta correttamente motivata dai giudici di merito.

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Pubblicato il 21 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Pericolosità Sociale: Percorso di Studi e Lavoro Non Bastano a Escluderla

La recente sentenza della Corte di Cassazione, n. 21653 del 2024, affronta un tema cruciale nel diritto penale preventivo: la valutazione della pericolosità sociale di un individuo. Il caso in esame solleva una domanda fondamentale: un percorso di reinserimento sociale, culminato nel conseguimento di una laurea e un master, è sufficiente a dimostrare l’abbandono di logiche criminali legate alla mafia? La risposta della Suprema Corte offre importanti chiarimenti sui criteri di valutazione e sui limiti del sindacato di legittimità.

I Fatti del Caso: Dalle Accuse di Mafia al Ricorso in Cassazione

La vicenda giudiziaria ha origine da un decreto del Tribunale che applicava a un soggetto la misura di prevenzione della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza per quattro anni, con obbligo di soggiorno nel comune di residenza. La misura era fondata su gravi indizi di appartenenza a una potente associazione mafiosa e sul suo coinvolgimento in gravi reati-fine, come estorsioni aggravate dal metodo mafioso.

La decisione veniva confermata dalla Corte di Appello. L’interessato decideva quindi di ricorrere in Cassazione, sostenendo che i giudici di merito non avessero adeguatamente considerato il lungo tempo trascorso dai fatti contestati e, soprattutto, il suo percorso di riscatto personale. Durante il periodo di detenzione, infatti, aveva intrapreso con successo un percorso di studi universitari, dimostrando una concreta volontà di reinserimento. A suo dire, i giudici avevano presunto l’attualità della pericolosità sociale senza analizzare a fondo questi positivi indicatori comportamentali.

La Valutazione della Pericolosità Sociale e l’Attualità del Pericolo

La Corte di Appello aveva basato la sua decisione su una serie di elementi ritenuti decisivi. Non si trattava solo di fatti risalenti, ma anche di condotte più recenti (fino al 2018) che indicavano la persistenza di un ruolo di primo piano dell’individuo all’interno della cosca. Egli veniva descritto come “capo della famiglia”, pienamente inserito nel programma criminale dell’associazione.

Secondo i giudici di merito, la vicinanza temporale di alcune condotte e la gravità complessiva del quadro indiziario rendevano la pericolosità sociale ancora attuale, nonostante i segnali di cambiamento inviati dal proposto. La Corte territoriale ha quindi ritenuto che il percorso di studi, pur lodevole, non fosse un elemento sufficiente a provare un reale e definitivo allontanamento dalle logiche mafiose.

Le Motivazioni della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, confermando la validità del ragionamento dei giudici di merito. Innanzitutto, ha ricordato che il ricorso in Cassazione in materia di prevenzione è consentito solo per “violazione di legge”, escludendo la possibilità di contestare la logicità della motivazione, a meno che questa non sia del tutto assente o meramente apparente. Nel caso di specie, la motivazione della Corte di Appello è stata giudicata congrua, coerente e tutt’altro che apparente. I giudici di legittimità hanno sottolineato che la Corte territoriale si era confrontata esplicitamente con gli elementi positivi addotti dalla difesa (il percorso di studi e l’inserimento lavorativo). Tuttavia, li aveva ritenuti inidonei a superare il peso dei numerosi e concreti elementi che, al contrario, indicavano la persistenza del vincolo criminale. La Cassazione ha ribadito un principio fondamentale: sebbene l’attualità della pericolosità non possa essere semplicemente presunta sulla base di condotte passate, spetta al giudice di merito compiere una valutazione complessiva di tutti gli indicatori disponibili. Il percorso di reinserimento deve essere tale da dimostrare un abbandono effettivo e irreversibile delle logiche criminali, cosa che, nel caso in esame, non è stata ritenuta provata.

Le Conclusioni

La sentenza in commento ribadisce che la valutazione della pericolosità sociale, specialmente in contesti di criminalità organizzata, è un’analisi complessa che non si esaurisce nella presa d’atto di singoli elementi positivi. Un percorso di studi o un’attività lavorativa sono certamente indicatori importanti, ma devono essere letti nel contesto generale della vita dell’individuo. Se a fronte di questi segnali di cambiamento persistono gravi, precisi e concordanti indizi di un ruolo attivo all’interno di un sodalizio mafioso, i giudici possono legittimamente ritenere che la pericolosità sia ancora attuale. La decisione sottolinea l’importanza di fornire una prova concreta e inequivocabile del proprio distacco dal mondo criminale, un onere che, in questo caso, non è stato considerato assolto.

Un percorso di studi universitari è sufficiente per dimostrare la cessazione della pericolosità sociale di un individuo?
No, secondo la sentenza, un percorso di studi e di inserimento lavorativo, seppur positivi, non sono stati ritenuti di per sé sufficienti a dimostrare l’abbandono delle logiche criminali, specialmente a fronte di numerosi e concreti elementi che indicano la persistenza di legami con un’associazione mafiosa.

La pericolosità sociale può essere presunta sulla base di condotte molto risalenti nel tempo?
No. La Corte chiarisce che il requisito dell'”attualità” della pericolosità deve essere accertato. L’applicazione di una misura di prevenzione non può fondarsi su una mera presunzione di permanenza della pericolosità desunta da condotte passate, soprattutto dopo lunghi periodi di detenzione. È necessaria una valutazione complessiva degli elementi.

Quali sono i limiti del ricorso per cassazione in materia di misure di prevenzione?
Il ricorso per cassazione in questo ambito è ammesso solo per violazione di legge. Non è possibile contestare l’illogicità della motivazione o chiedere una nuova valutazione dei fatti, a meno che la motivazione del giudice d’appello non sia totalmente inesistente o meramente apparente.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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