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Pericolosità sociale: quando si valuta dopo il carcere?

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile un ricorso riguardante una misura di sorveglianza speciale, chiarendo un punto cruciale sulla valutazione della pericolosità sociale. La Corte ha stabilito che, per giudicare la persistenza della pericolosità sociale di un soggetto dopo un lungo periodo di detenzione, il giudice può considerare anche episodi avvenuti in carcere più di due anni prima della scarcerazione. Tale valutazione deve essere attuale, ma si basa sull’intera evoluzione della personalità del soggetto, senza preclusioni temporali sugli elementi da considerare.

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Pubblicato il 4 dicembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Pericolosità Sociale: La Valutazione Dopo il Carcere secondo la Cassazione

La valutazione della pericolosità sociale è un tema centrale nel diritto della prevenzione, specialmente quando un soggetto, destinatario di una misura come la sorveglianza speciale, sconta un lungo periodo di detenzione. Come si stabilisce se, una volta tornato in libertà, sia ancora socialmente pericoloso? La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 27378/2024, offre un chiarimento fondamentale: il giudizio sulla pericolosità attuale può basarsi anche su fatti risalenti nel tempo, avvenuti durante la carcerazione. Analizziamo insieme la decisione.

I Fatti di Causa

Il caso riguarda un individuo a cui era stata applicata la misura di prevenzione della sorveglianza speciale di Pubblica Sicurezza con obbligo di soggiorno. L’esecuzione di tale misura era stata sospesa a causa di un lungo periodo di detenzione scontato dal soggetto. Una volta terminata la pena, la Corte di Appello di Catania era stata chiamata a rivalutare la persistenza della sua pericolosità sociale per decidere se dare finalmente corso alla misura.

La Corte territoriale confermava la pericolosità, basando la propria decisione anche su alcuni episodi negativi avvenuti in carcere (una lite e un danneggiamento) risalenti al 2020, ovvero a quasi tre anni prima della scarcerazione. L’individuo ha quindi proposto ricorso per cassazione, sostenendo che tali episodi fossero troppo datati per fondare un giudizio di pericolosità attuale e che il giudice non avesse considerato adeguatamente il suo percorso carcerario complessivo.

La Questione Giuridica: Valutazione della pericolosità sociale e limiti temporali

Il cuore della questione legale ruota attorno all’interpretazione dell’art. 14, comma 2-ter, del D.Lgs. 159/2011. Questa norma, introdotta in seguito a una pronuncia della Corte Costituzionale (sent. n. 291/2013), stabilisce che se l’esecuzione di una misura di prevenzione è sospesa per più di due anni a causa della detenzione, il tribunale deve rivalutare d’ufficio la persistenza della pericolosità sociale prima di renderla esecutiva.

Il ricorrente sosteneva che il decorso di un così lungo periodo imponesse al giudice di fondare la sua nuova valutazione solo su elementi recenti, verificatisi nell’immediata prossimità della scarcerazione. Utilizzare episodi del 2020, secondo la difesa, equivaleva a violare la ratio della norma, che è quella di garantire un giudizio sulla pericolosità effettivamente “attuale”.

Le Motivazioni della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, respingendo integralmente la tesi difensiva. Gli Ermellini hanno chiarito i seguenti principi:

1. La regola dei due anni è un presupposto procedurale, non un limite probatorio: Il superamento dei due anni di detenzione fa scattare l’obbligo per il giudice di procedere a una nuova valutazione della pericolosità. Tuttavia, ciò non significa che gli elementi valutabili siano solo quelli successivi a tale biennio. Il giudice deve condurre un’analisi completa e retrospettiva per capire l’evoluzione della personalità del soggetto.

2. Il giudizio deve essere “attuale”, ma basato sull’intera storia del soggetto: L’attualità della pericolosità non si misura escludendo il passato. Al contrario, si accerta proprio analizzando il percorso di vita del soggetto, inclusi i precedenti penali e il comportamento tenuto durante la carcerazione. Episodi di aggressività o incapacità di controllare gli impulsi, anche se non recentissimi, possono essere sintomatici di una pericolosità che non è venuta meno con il trattamento penitenziario.

3. Il comportamento in carcere è un indicatore cruciale: La Corte ha sottolineato che il periodo di detenzione è un banco di prova fondamentale. Nel caso specifico, gli episodi di violenza e danneggiamento, sebbene risalenti, sono stati ritenuti dalla Corte di Appello come espressione di una persistente aggressività, un dato che non poteva essere superato dalle relazioni carcerarie che, pur attestando un comportamento formalmente corretto, evidenziavano comunque tali criticità.

4. I limiti del ricorso per cassazione in materia di prevenzione: La Cassazione ha ribadito che nel procedimento di prevenzione il ricorso è ammesso solo per violazione di legge. Criticare il modo in cui il giudice di merito ha ponderato i vari elementi (es. dando più peso a un episodio negativo che a una relazione positiva) costituisce una censura sul merito della valutazione, non ammissibile in sede di legittimità.

Le Conclusioni e le Implicazioni Pratiche

La sentenza consolida un principio di fondamentale importanza pratica: la valutazione della pericolosità sociale post-detenzione è un giudizio globale che non subisce preclusioni temporali. Il giudice ha il potere e il dovere di esaminare ogni elemento utile a comprendere se il percorso di risocializzazione in carcere abbia avuto successo o se, al contrario, permangano tratti di personalità che rendono probabile la commissione di futuri reati. Per i soggetti sottoposti a misure di prevenzione, questa pronuncia significa che ogni comportamento tenuto durante la detenzione, anche a distanza di anni dalla scarcerazione, potrà essere utilizzato per decidere del loro futuro una volta tornati in libertà.

Dopo una lunga detenzione, come viene valutata la pericolosità sociale per applicare una misura di prevenzione?
La valutazione deve essere “attuale”, cioè riferita al momento in cui la persona esce dal carcere. Tuttavia, per compiere questa valutazione, il giudice può e deve considerare l’intera storia del soggetto, inclusi i comportamenti tenuti durante la detenzione, anche se risalgono a più di due anni prima della scarcerazione.

Un episodio negativo avvenuto in carcere più di due anni prima della scarcerazione può essere usato per confermare una misura di prevenzione?
Sì. Secondo la sentenza, il limite temporale dei due anni di detenzione serve solo a rendere obbligatoria una nuova valutazione della pericolosità, ma non impedisce al giudice di considerare fatti precedenti a tale periodo per formare il suo convincimento sulla persistenza della pericolosità sociale.

È possibile contestare la valutazione sulla pericolosità sociale davanti alla Corte di Cassazione?
No, non nel merito. Il ricorso per cassazione nei procedimenti di prevenzione è ammesso solo per “violazione di legge”. Non è possibile chiedere alla Corte di rivalutare i fatti (ad esempio, se un certo comportamento dimostri o meno pericolosità), ma solo di verificare se il giudice di merito abbia applicato correttamente le norme giuridiche.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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